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L’economia civile spiegata con 11 cammelli

È la sintesi della seconda edizione di Porti di Terra, il Festival del Welcome e del Welfare, svoltosi nel Sannio. Protagonisti i comuni di Benevento, Castelpoto, Pietrelcina e Torrecuso, aderenti alla rete dei piccoli “Comuni del Welcome” promossa da Caritas Benevento

di Sara De Carli

L’economia civile spiegata con 11 cammelli. È questa la sintesi della seconda edizione di Porti di Terra, il Festival del Welcome e del Welfare, svoltosi da venerdì 18 a domenica 20 maggio nel Sannio. Protagonisti i comuni di Benevento, Castelpoto, Pietrelcina e Torrecuso, aderenti alla rete dei piccoli “Comuni del Welcome” un manifesto che unisce accoglienza dei migranti e sviluppo locale, budget di salute ed efficienza energetica, lotta alla povertà e inclusione sociale.

La storia è questa. Un padre aveva tre figli e 11 cammelli. Decise di dividere la sua ricchezza fra i figli, lasciando al maggiore la metà dei cammelli, al secondo figlio un quarto dei cammelli e al più piccolo un sesto dei cammelli. I tre figli, che erano sempre andati d’accordo, iniziarono a litigare fra loro, perché i cammelli non erano divisibili. Arrivò un saggio, che regalò ai figli un suo cammello. I cammelli così divennero 12 e dividerli fu semplice: il primo figlio ebbe 6 cammelli, il secondo figlio tre cammelli, l’ultimo due cammelli. Alla fine il saggio riebbe indietro il suo cammello, perché 6 + 3 + 2 fa 11. Esattamente il numero di cammelli che i figli già avevano. Il dono torna indietro, ma crea. Consente che accadano cose. È generativo. E la generatività è elemento fodnamentale del benessere e della felicità, ha ricordato a commento il professor Leonardo Becchetti. È questa la lezione di Benevento.

È quel che accade qui, tra le colline verdi del Sannio, dove si è sviluppato un piccolo ma efficiente ecosistema di economia civile, grazie all’impegno di Caritas Benevento e al consorzio Sale della Terra, che riunisce una quindicina di cooperative, cooperative di comunità e imprese sociali, con un valore di produzione di 2 milioni e 400mila euro e impiego stabile per 186 persone. Negli Sprar dei 15 Comuni aderenti alla rete del Welcome, sono state accolte 204 persone, di 22 diverse nazionalità, con 64 tirocini attivati. L’unico Festival che è un modo di essere, martellavano i comunicati stampa, ed è vero: perché hanno trasformato il welfare dei servizi in welfare delle relazioni.

«In una piccola Caritas di provincia riusciamo a far stare bene la comunità di quelli che ci sono insieme alla comunità di quelli che arrivano. Se l’abbiamo fatto noi lo possono fare anche altri, perché noi non siamo straordinari», ha detto Gabriella Giorgione, direttrice del Festival, durante la presentazione del volume L’Italia che non ti aspetti, appena pubblicato da Città Nuova, il libro che racconta la sfida di trasformare piccoli comuni in luoghi di accoglienza e di crescita sociale ed economica, un vero manifesto politico per una diversa governance del territorio. «La sfida per il nostro percorso è far camminare il welcome per chi arriva di pari passo con un altro welcome, quello rivolto alle persone come noi: facile essere welcome con le persone fragili, che provocano uno scossone etico. Dobbiamo dire welcome a chi ci è vicino e ha la fortuna di vivere in una condizione di non fragilità». L’unico Festival, come ha detto il professor Leonardo Becchetti, «in cui lo spettacolo non è sul palco, ma il pubblico in sala»: colorato, eterogeneo, con tanti bambini in perenne movimento ma rimasto fino alla fine, commosso davanti al video che raccontava l’esperienza di inclusione nell’Istituto comprensivo locale, con una sezione primavera aperta grazie ai bimbi stranieri e che ha saputo trasformare le pluriclassi in ambienti di apprendimento aperto, trasformando i limiti in opportunità.

«Il welfare non è solo un “sistema teorico” o una “carta di servizi”, ma è rappresentato da una folla di “volti”», ha ricordato il cardinal Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana. «Lo Stato sociale è stato senza dubbio una delle più grandi conquiste del ‘900 nel mondo occidentale», ci sono state «le inefficienze, le furberie, i crimini, la spersonalizzazione, [che] hanno pesato e pesano ancora oggi e rendono difettoso e faticoso il sistema, in certe situazioni specifiche addirittura fallimentare. Il peso di ciò lo portano sempre i più deboli e poveri. Inefficienze, carenze di risorse e furberie però non giustificano la denigrazione del welfare. Il welfare è il contrario dell’assistenzialismo: è promozione della persona e delle sue capacità, è presupposto di crescita sociale e culturale armoniosa, è ingrediente indispensabile per una crescita economica duratura». Oggi, che assistiamo a «un indebolimento degli stati e della loro capacità di organizzare e garantire la solidarietà», «la soluzione non è quella di diminuire la solidarietà, né tanto meno di sostituirla con palliativi filantropici o con una carità che dimentica diritti e dignità (e magari si compiace di se stessa). L’orizzonte che abbiamo davanti, quello nel quale dobbiamo camminare se vogliamo che le giovani generazioni abbiano – come noi più anziani abbiamo avuto – prospettive di miglioramento e una speranza solida di stabilità su cui fondare il futuro, è un orizzonte che amplia la solidarietà, non la diminuisce. Un orizzonte che riconosce la naturale propensione sociale, relazionale, della persona umana, non fa leva sul suo egoismo. Dobbiamo guardare all’umanità come ad un’unica famiglia, alla terra come a un’unica casa comune (le cui risorse sono generose a patto che siano godute con equilibrio), informati dall’unico comune bene universale».


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