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Roberto Trucchi: “Obiettivo: costruire una rete aperta a tutto il Terzo settore”

L'intervento ("Il più antico movimento del volontariato italiano per una grande rete del terzo settore") del presidente nazionale pronunciato questa mattina a Roma in apertura dei lavori dell’Assemblea nazionale

di Redazione

Care consorelle, cari confratelli, eccoci di nuovo qui, a distanza di un anno dall’assemblea di Assisi; un momento bello ed entusiasmante che ha chiuso la legislatura confederale precedente e dato avvio ad un nuovo mandato di Presidenza per me e per il Consiglio Nazionale che è stato eletto.

Siamo qui dopo un anno non facile, direi per certi versi addirittura drammatico.

All’indomani di Assisi l’intero Movimento è stato investito dalla vicenda di Isola Capo Rizzuto, che ha scosso profondamente tutte le Misericordie ed i nostri confratelli in ogni parte d’Italia. In quei momenti non vi nascondo di aver avuto la sensazione di un baratro. E devo ringraziare chi in quei giorni e sin dalle prime ore si è immediatamente preso in carico la situazione affrontandola con serietà, determinazione, umiltà ed impegno, dimostrando ancora una volta che noi siamo un grande Movimento di gente vera, genuina, di sani principi, con un ieri ed un oggi di servizio umile e generoso alle nostre comunità. Un movimento della gente e per la gente. Quella gente che – al di là di un comprensibile sbandamento – ha continuato e continua a riconoscerci e viverci come espressione concreta di carità, solidarietà, gratuità e legalità.

1.1 Un anno difficile

E' stato un anno difficile, impegnativo, anche per il nostro Paese. Ed un anno ricco di sfide e di possibilità.

I dati sono noti e sono disarmanti: secondo l'ultima rilevazione ISTAT sono oltre 5 milioni i cittadini in povertà assoluta, circa l'8,3% della popolazione. Se pensiamo che 10 anni fa questo dato non raggiungeva il 4%, possiamo avere un'idea di quanto la povertà, quella più dura, sia diventata un'esperienza quotidiana per molti fratelli e per molte sorelle. A questi dati vanno aggiunti quelli altrettanto allarmanti che raccontano la quotidianità delle famiglie che vivono in condizioni di povertà relativa.

Dobbiamo ricordare, poi, la povertà dei minori, ricordare che sono oggi in Italia moltissimi i bambini che vivono in condizioni di deprivazione, almeno 1 su 10 per Save the children e molti di questi vivono nelle regioni del nostro bellissimo Sud, dove, per esempio, il tasso di abbandono scolastico appare davvero allarmante.

Con la ferita della povertà, vanno poi ricordate le ferite che rendono la nostra Italia oggi più vulnerata, meno capace di accoglienza e di convivenza pacifica, meno generativa di futuro: la ferita delle disoccupazioni, prima di tutto quella dei giovani, delle solitudini anziane, della progressiva erosione dei diritti sociali, della crescente disoccupazione.

Di pari passo con le povertà e le solitudini – ci dice il V rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile in Italia – cresce anche la disuguaglianza e con essa il senso di insicurezza, di fragilità che spinge le persone spesso a chiudersi alle relazioni e al dono. Gli italiani si dichiarano meno soddisfatti dei propri rapporti sociali e mostrano una minore partecipazione civica e politica.

Quello che i dati descrivono con i numeri, noi, i nostri volontari, la gente di Misericordia, lo trova raccontato dalle parole di coloro che serve ogni giorno. Lo trova scritto nei volti di chi chiede aiuto e di coloro che raggiunge nonostante la vergogna, il pudore a chiedere, dietro le porte che apre, oltre le soglie che varca.

Sappiamo le fatiche. Tocchiamo le ferite.

Vediamo il Paese Italia raccontato nelle microstorie preziosissime degli Ultimi, che abbiamo scelto per carisma e per vocazione come testimoni.

2.1 Individualismo v/s Comunità

Se questo è il quadro del contesto sociale, politico ed economico in cui ci viviamo, dobbiamo dire con altrettanta franchezza che il nostro è un tempo triste per l’idea di comunità, oggi più che mai messa in discussione dall’affermarsi in ogni ambito di vita dell’individualismo e dell’egocentrismo.

L’individualismo sembra la regola aurea dell’economia, dove l’arricchimento ed il profitto sembrano diventati il motore principale non solo a livello aziendale ma anche personale, individuale; e questo produce imprese ed individui di successo, che aumentano la ricchezza di qualcuno ma senza generare sviluppo per tutti. Con la conseguenza di trovarci oggi con fasce ricche sempre più ricche e fasce povere sempre più povere; e con il ridursi di tutte quelle situazioni intermedie che rappresentano il collante indispensabile di ogni consesso sociale.

L’individualismo sembra dominare anche la politica, che in pochi anni si è trasformata radicalmente: non esiste più l’aggregazione sulle idee, sulla visione della società, sulle proposte strategiche ma tutto si fonda sui personalismi, sulle leadership, sugli slogan di facile presa. In politica la capacità di discutere, condividere, pensare comune – che è il vero senso della “Polis” – si riduce oggi ad una consultazione on-line, che ci viene venduta come massima espressione di trasparenza e democrazia nascondendo invece populismi e demagogia. E non è un caso se il dialogo con le forze politiche emergenti è risultato fino ad oggi quasi impossibile da percorrere: queste forze ritengono se stesse interpreti del sentire e del volere della gente, e mal digeriscono quei corpi intermedi che vedono anzi come un ostacolo al diretto rapporto tra cittadino e stato.

Ma la massima espressione di individualismo la vediamo nell’affermarsi di una società “nucleare”, dove neppure gli atomi si incontrano, dove viene sempre meno la relazione tra le persone. Nei decenni passati la televisione ha svolto sicuramente un ruolo importante di integrazione e globalizzazione ma spesso nelle nostre case e nelle nostre famiglie ha finito per essere il nuovo punto di riferimento, riducendo il dialogo all’ascolto passivo e talvolta favorendo anche la fuga dalla realtà. Oggi tutto questo è moltiplicato all’infinito dalle nuove frontiere della telematica. Facebook ed i social, che per certi versi potrebbero rappresentare senz’altro una opportunità di allargamento senza confini delle relazioni tra le persone, combinati con l’individualismo imperante portano a chiudersi in se stessi, confrontarsi con gli altri in modo virtuale e falsato, estraniarsi sempre più dalla realtà. Con conseguenze gravissime nella concezione del “noi”, del nostro essere comunità.

Penserete che sia una visione esagerata. Ebbene, qualcuno di voi ha mai sentito il termine “hikikomori”? E’ una parola giapponese, che letteralmente significa “stare in disparte, ritirarsi” usata per riferirsi a coloro che hanno scelto di autoescludersi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento, sostituendo i rapporti sociali diretti con quelli mediati attraverso internet. Persone che non escono dalla propria casa, spesso dalla propria stanza, da mesi od anni. In Giappone gli hikikomori sono oltre mezzo milione. Mezzo milione di persone che non escono mai dalla propria stanza! Una patologia che si sta estendendo anche in Italia, con decine di casi accertati e presi in carico.

2.2 La cultura dominante

Sono solo brevi flash, ma che vogliono rappresentare un quadro culturale di cui dobbiamo necessariamente acquisire consapevolezza. Perché la nostra idea di vita, di relazioni, di comunità, di servizio al prossimo saranno nei prossimi decenni profondamente influenzati da questi grandi cambiamenti.

Guardate, fratelli, il nostro comune pensare si fonda su una idea di persona, di democrazia, di libertà, di Dio sviluppati in secoli, persino millenni di storia. E’ la nostra storia, è parte del nostro DNA, è cultura diffusa vissuta per generazioni ma che oggi è profondamente in discussione. Il vivere in una realtà globalizzata risente pesantemente dell’influsso da un lato dell’individualismo dominante dall’altro delle culture extraeuropee, portatori di concezioni, idee, modi di pensare profondamente lontani dai nostri. E che arrivano nelle nostre case e nelle nostre famiglie con una rapidità ed una forza tale da diventare invasivi, senza lasciarci il tempo di metabolizzarli, di filtrarli, di coglierne gli stimoli e di trasformarli in elementi di crescita.

La velocità di questi cambiamenti è tale che oggi tendiamo a vivere solo il presente; non c’è passato, non c’è futuro, conta solo il momento. “Carpe diem”, diceva Orazio, “cogli l’attimo”; “carpe diem” – ricorderete – recitavano anche i giovani ne “L’attimo fuggente”. Ma pochi conoscono il senso di questa locuzione, che abbiamo sempre preso estratta dal suo contesto e che invece è ben spiegata dal resto della frase oraziana: “carpe diem quam minimum credula postero" "cogli l’attimo confidando il meno possibile nel domani". Nella filosofia di Orazio l’esistenza è vista come limitata e precaria, da cogliere sul momento perché è inutile guardare al futuro.

Oggi il carpe diem è divenuto cultura dominante. Una logica che porta a non avere sogni, desideri, obbiettivi; e quante volte oggi sperimentiamo questa apatia, questa mancanza di stimoli nei nostri giovani e non solo. Ma questa concezione, che concentra tutto sul momento presente negando ogni sguardo di prospettiva, è profondamente lontana dalla nostra cultura di vita e dal nostro credo cristiano, cha al contrario dà certezza di un futuro e ci invita ad una operosa collaborazione al piano creativo di Dio. E’ proprio perché crediamo nel valore della nostra azione di cambiamento che ci impegniamo nelle opere e nei servizi di carità, che non sono finalizzati al solo dar sollievo ai bisogni immediati ma anche ad un progetto, un disegno più ampio.

3 Tre indicazioni ed una promessa

Come Movimento, possiamo ignorare questo contesto culturale? Non è possibile, ci viviamo dentro, ci confrontiamo ogni giorno con le conseguenze pratiche che queste tendenze hanno sul piano politico, economico e sociale nella vita quotidiana delle persone che incontriamo nel nostro servizio.

Ed allora, che possiamo fare? Quale ruolo possono giocare in questo quadro le nostre, le vostre Misericordie? Non si tratta certo di guardare indietro, nostalgicamente, alzando muri per difendere un passato che conserva il suo valore ma che non può mai rimanere inerte, oggi men che meno. La storia plurisecolare del nostro movimento non è una storia di difesa, ma anzi di sguardo in avanti, con lungimiranza, costruendo e progettando il futuro, innovando le modalità di una presenza attiva a fianco della gente.

Ed è in questa direzione che mi permetto di lanciare tre frecce, tre indicazioni che devono a mio avviso rappresentare impegno consapevole e coerente per tutti noi ed una promessa che deve orientare il lavoro futuro di Confederazione

3.1 Le Misericordie, organizzazioni di comunità

La prima indicazione: radicarsi nella comunità deve diventare un imperativo categorico per le nostre associazioni.

Dobbiamo essere associazioni di popolo, largamente partecipate, aperte, vissute dalla gente come elemento costituente la propria comunità. Dobbiamo essere “casa del noi”, luoghi e momenti accoglienti e vivi in cui la gente si incontra, si relaziona, si confronta, si scontra anche; luoghi “veri” e reali, cuori pulsanti nelle nostre città e nei nostri paesi. Quando vedo associazioni con venti, trenta, quaranta soci, che con il passare degli anni non crescono di numero ma anzi tendono a diminuire, io mi preoccupo, perché non è nella nostra natura, non siamo piccoli club né tantomeno strutture a gestione familiare!

Lasciatemi ripetere quanto già dissi l’anno scorso, perché conserva intatta la sua validità. “E’ necessario che le nostre Misericordie contino non solo su un bel numero di volontari ma anche su una aggregazione sociale vasta e diffusa nella propria realtà; che le nostre sedi diventino punto di riferimento e di aggregazione per persone di tutte le età, “occupando” gli spazi con attività aperte a tutta la popolazione; che i nostri dirigenti, quadri, responsabili curino e sviluppino relazioni vere e consolidate con le diverse espressioni della vitalità ecclesiale, sociale e civile.”

Non è impossibile, ma occorre volerlo, crederci e porlo come uno dei nostri obbiettivi primari!

3.2 Le Misericordie, la scelta educativa

La seconda indicazione. Mi chiedo – e vi chiedo – di affiancare al nostro essere “associazioni del fare” anche quella di essere “luoghi dell’educare”. Se dalle nostre sedi passa tanta gente, noi dobbiamo sentire la responsabilità di promuovere strutturalmente la crescita, la maturazione, la consapevolezza nelle nostre comunità, proprio a partire dall’esperienza di accoglienza e di servizio che svolgiamo ogni giorno.

In questo stesso momento a pochi passi da noi un migliaio di giovani sta sperimentando un grande momento di condivisione e di incontro. Questi giovani sono espressione viva della capacità aggregante del nostro Movimento.

Sono i giovani delle GeMMe, il nostro movimento giovanile. Li abbiamo chiamati così perché nascono dalle nostre radici e costituiscono i germogli su cui si svilupperanno i nuovi rami della nostra pianta associativa. Rappresentano un bene prezioso, di valore spesso inestimabile. Dobbiamo assolutamente prendercene cura, preparargli un terreno accogliente, coltivarli nella crescita con pazienza, con impegno costante, con passione. Formarli non solo al servizio, ma alla consapevolezza, alla partecipazione, al “I care”.

Sono anche i giovani che svolgono servizio civile nelle nostre sedi. Ormai ci stiamo attestando su 3.000 giovani in servizio ogni anno: un potenziale umano enorme, ma anche una enorme responsabilità per le nostre associazioni! Non possiamo guardare a questi ragazzi solamente per la capacità operativa che ci consentono di svolgere, possiamo e dobbiamo proporre loro percorsi di crescita della propria personalità e del proprio sentire sociale. Un impegno che deve andare anche oltre quanto formalmente ci viene richiesto dagli obblighi di formazione generale e specifica, investendo oggi parte del loro tempo e del loro servizio per costruire i cittadini ed i volontari del domani.

Verso questi giovani, queste G.eMMe, ma anche verso le famiglie, i volontari, la nostra stessa dirigenza io vi propongo di costruire percorsi strutturati e non occasionali di crescita. Un “patto educativo” che a partire dall’esperienza concreta di servizio sia capace di cogliere quel bisogno di socialità che è insito in ogni persona e sviluppare la capacità di incontro, di confronto, di messa in discussione, di condivisione, di pensiero. Dando senso e prospettiva al nostro stare insieme e cogliendo così, dal basso, com’è nel nostro stile, forti del nostro passato, la sfida culturale dell’oggi per costruire il futuro.

3.3 Le Misericordie, insieme ed in rete

La terza indicazione riprende quanto ci siamo detti un anno fa ad Assisi: fare rete per affrontare insieme le grandi sfide sociali e culturali del nostro tempo.

Il quadro che ho sommariamente descritto richiede un impegno forte e vasto, proiettato a leggere i cambiamenti in atto ed a costruire le basi sempre nuove di una convivenza culturale, sociale, politica ed economica. E’ un impegno su cui le Misericordie possono portare un contributo autentico e concreto, palpabile, a partire dai territori in cui siamo inseriti; ma non possiamo affrontarlo da soli, sarebbe sciocco anche solo pensarlo. E’ necessario che apriamo il nostro Movimento ad una prospettiva più ampia di collaborazione e di sinergia organizzativa.

Già da alcuni anni abbiamo sviluppato percorsi per l’adesione alla Confederazione di associazioni di volontariato che hanno origini diverse ma perseguono come noi la realizzazione delle opere di misericordia; ed oggi, alla nostra Assemblea, partecipano alcune di queste realtà in tutto e per tutto assimilabili alle Misericordie.

In questi mesi abbiamo però lavorato anche alla costruzione di una rete più vasta, che coinvolga organizzazioni ed enti di terzo settore accomunati da valori e impegni condivisi e da un obbiettivo congiunto per la costruzione di una realtà sociale fondata sul rispetto della persona, sulla fraternità, sulla solidarietà operosa, sulla sussidiarietà. Una rete aperta non solamente ad organizzazioni di volontariato ma a tutte le espressioni degli Enti di Terzo Settore, che insieme costituiscono quelle “formazioni sociali” richiamate anche dall’art. 2 della nostra Carta Costituzionale.

Una nuova e più ampia rete basata su regole chiare, condivise ma effettive, governate da un sistema di autocontrollo che assicuri libertà di scelte alle singole organizzazioni ma evitando gli individualismi e valorizzando invece la logica di partecipazione ad un gruppo e ad una comunità.

Il Consiglio Nazionale della Confederazione ha già il espresso il mandato alla Presidenza per dar vita a questa nuova, grande Rete di ETS; crediamo che il nostro Movimento – per la propria storia plurisecolare, per i valori che testimonia e per il radicamento che esprime – possa avere l’onore ma anche l’onere di partecipare alla costruzione di questa grande realtà organizzativa. E siamo particolarmente lieti di accogliere in questa nostra Assemblea alcuni degli Enti con cui abbiamo avviato il lavoro di elaborazione e definizione degli assi portanti della Rete.

3.3 La Confederazione, a fianco nei territori

  • cogliere la misericordia di domani che esiste già, nei territori, che si nutre di piccole esperienze orientate però a grandi sogni e concretissime visioni di futuro.

Dargli valore, appoggiarla, mettersi al servizo di qietsa misericordia che fa del piccolo la dimensione reale del servire. Che sceglie la minorità come principio ispiratore.

In questo senso, cofnederaizone può e vuole scegliere ancora una volta la dimensione del servizio ai territori, farsi compagna e fiancheggiatrice. Rendere possibili i cambi di passo, credere nei semi di futuro, accompagnare la crescita.

4.1 La riforma del terzo settore

Una novità importante ed anche una spinta decisa ad innovare il nostro modo di operare ci arriva anche dalla riforma del terzo settore, un traguardo importantissimo che si è realizzato nel corso dell’ultimo anno ed al quale il Movimento ha cercato di dare il proprio convinto contributo.

Una riforma che tende a valorizzare quei corpi sociali intermedi che operano non per fini privatistici ma perseguendo finalità di interesse generale e di bene comune. Organizzazioni ed enti tanto più indispensabili oggi di fronte ad uno Stato che non ce la fa più ad assicurare certi livelli di servizio e che chiede di poter contare su un terzo settore vero, garantito anche dall’adesione ad una rete associativa che assume l’onere di monitorare l’attività delle realtà aderenti.

Con la riforma, la sussidiarietà può esprimersi con maggior vigore. E’ il nostro tempo, e dobbiamo esser capaci di dare concreta attuazione alle previsioni degli articoli 55 e seguenti del Codice, che aprono nuove prospettive nei rapporti con gli Enti Pubblici. Norme chiare, che indicano con forza la strada della co-programmazione, co-progettazione ed accreditamento per sviluppare relazioni di partnership tra pubblico e privato sociale in grado di assicurare valore aggiunto ai servizi.

Sarà necessario uno sforzo ulteriore, che dobbiamo fare insieme tra livello centrale e territori, per far passare questi principi nella pratica ordinaria delle pubblica amministrazione, aiutandola a superare un atteggiamento miope e timoroso che l’ha portata nell’ultimo decennio a privilegiare l’affidamento dei servizi attraverso gare d’appalto. Un procedimento che – possiamo facilmente dimostrarlo – spesso non offre alcuna garanzia di trasparenza ed equità ma anzi porta a costi maggiori ed a disperdere il valore di esperienze nate e sviluppate al servizio della comunità locale.

4.2 un nuovo patto associativo

Certo, questo richiede serietà e responsabilità: dobbiamo evitare tante forme di pseudo-volontariato, soprattutto quelle che nascondono interessi economici o lavoro nero; dobbiamo assicurare il rispetto delle norme statutarie, della corretta gestione organizzativa, del perseguimento delle finalità sociali.

Per questo stiamo avviando un percorso di verifica puntuale ed attenta delle situazioni statutarie e gestionali delle nostre associate; un percorso che nei prossimi mesi coinvolgerà tutte le nostre Misericordie alle quali fin d’ora chiediamo la massima collaborazione. L’obbiettivo infatti è quello di affiancarle ed aiutarle, se necessario, a trovare le migliori soluzioni; ma certo non potremo sottrarci ad agire con fermezza laddove si evidenzino resistenze ed interessi poco chiari, nell’interesse di tutti ed a tutela del nostro nome

Nel far questo dovremo dare regole nuove anche al nostro stare insieme: ad autunno anche alla Confederazione, come tutte le nostre associate, sarà chiamata ad una assemblea straordinaria per rivedere il proprio Statuto, il patto associativo e le norme di coerenza interna alla luce della Riforma.