«Quella di Salvini è una violazione del diritto internazionale»
di
Fulvio Vassallo Paleologo
11GiugnoGiu2018105911 giugno 2018
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L’analisi dell’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo, componente del Collegio del Dottorato in “Diritti umani: evoluzione, tutela, limiti”, presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell'Università di Palermo e componente della Clinica legale per i diritti umani (CLEDU) dell'Università di Palermo. «La minacciata “chiusura dei porti italiani”, se si andrà oltre la sparata elettorale, potrebbe comportare gravi profili di responsabilità a carico dei vari soggetti, da identificare»
Il Presidente del Consiglio Conte, alla fine, ha fatto sentire la sua flebile voce, come al solito, sotto dettatura dei suoi potenti alleati. «L’Italia si ritrova ad affrontare in totale solitudine l’emergenza immigrazione. Il problema è stato da me posto anche nel corso del G7 a tutti i partner europei in questi ultimi giorni dove ho anticipato che i flussi migratori devono essere gestiti in maniera condivisa anche per ciò che riguarda tutte le iniziative volte a prevenire le partenza. Il regolamento di Dublino va radicalmente cambiato». Conte ha parlato mentre a Palazzo Chigi era in corso un vertice del governo sul caso Aquarius. Potremmo dire la spettacolarizzazione di una violazione del diritto internazionale che l’Italia potrebbe pagare molto cara. Ci voleva un vertice di governo per decidere di violare il diritto internazionale, come imposto da Salvini. La risposta di Bruxelles, o di Strasburgo, se si arriverà alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, non si farà attendere. Ma di gravi violazioni se ne potrebbero riscontrare anche sul piano del diritto interno.
I Regolamenti UE
Non si comprende perché le tre motovedette italiane impegnate nei primi soccorsi coordinati da MRCC Roma non siano rientrate a Lampedusa sbarcando lì le persone soccorse, o non abbiano trasbordato gli stessi naufraghi su uno dei numerosi assetti militari presenti nelle acque circostanti, sotto il controllo della missione Themis di Frontex e dell’operazione Eunavfor Med. Nei mesi scorsi si era parlato di una regionalizzazione delle operazioni SAR a partire dall’avvio dell’operazione Themis di Frontex. Di certo però, istruzioni operative interne all’agenzia Frontex non possono modificare la portata di obblighi sanciti da Convenzioni internazionali, come peraltro ribadisce il Regolamento UE n.656 del 2014. Tra questi obblighi rientra anche la indicazione di un POS ( Place of safety), porto sicuro di sbarco da parte delle autorità MRCC che coordinano le attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali.
Il ruolo di Malta
Appaiono incomprensibili le prime dichiarazioni di oggi dell’ambasciatrice maltese a Roma secondo cui, nell’occasione di un precedente evento di soccorso, riguardante la nave umanitaria Sea Watch pochi giorni fa, Malta avrebbe dato disponibilità all’ingresso in porto. Dichiarazioni che segneranno probabilmente l’apertura di una indagine della magistratura di Reggio Calabria anche su questo “sbarco”, avvenuto ieri sera, con un lungo interrogatorio del comandante ed il sequestro dei materiali di lavoro dei giornalisti. Queste dichiarazioni di disponibilità a garantire uno porto di sbarco fornite dall’ambasciatrice maltese appaiono frutto di pressioni diplomatiche italiane, ma sono state contraddette dall’odierna querelle diplomatica nella quale si riconferma il consueto rifiuto delle autorità maltesi. La realtà è che Malta in termini percentuali ( rispetto alla popolazione residente) si colloca al secondo posto in Europa (18%) per l’accoglienza dei richiedenti asilo ( dati del 2016), mentre l’Italia figura in coda agli ultimi posti ( meno del 3 %). Lo sbarco di 600 migranti a Malta equivarrebbe allo sbarco di 60.000 persone in un solo luogo, in Italia. Ma una comunicazione politica truffaldina ed una informazione distorta hanno sbattuto sulle prime pagine un improponibile conflitto Italia-Malta, come se si trattasse di una partita di calcio, buona per tifare Italia per quelli che si sentono orfani dei mondiali di calcio.
Alla fine il premier maltese Muscat conferma come l’Italia stia violando le Convenzioni internazionali, utilizzando i corpi di centinaia di migranti già martoriati in Libia, per tentare una forzatura sulla modifica del Regolamento Dublino, che non appare certo modificabile con i colpi di ruspa imposti da Salvini. Secondo Muscat, “siamo preoccupati per la direzione presa dalle autorità italiane sull’Acquarius, che è in alto mare. Vanno manifestamente contro le leggi internazionali e rischiano di creare una situazione pericolose per tutti coloro che sono coinvolti”. Così il premier maltese Joseph Muscat su Twitter sul caso dell’imbarcazione con a bordo oltre 600 migranti in cerca di un approdo. La posizione maltese è rafforzata dalla invenzione di una zona SAR libica, sulla quale il precedente ministro dell’interno Minniti ha basato la sua politica di attacco contro le ONG. Una zona SAR libica ad oggi non esiste. Quasi tutte le operazioni di soccorso in acque internazionali nelle ultime settimane sono state coordinate dal Comando della Guardia costiera italiana, perchè la Libia non esiste come paese unitario e non ha un Comando centrale unificato. Adesso il governo de La Valletta ricorda all’Italia che le operazioni di soccorso si svolgono in quasta zona SAR libica, e quindi rifiutano qualunque possibilità di sbarco nella loro piccola isola, salvi casi di evacuazione per emergenza sanitaria. La risposta di chiusura di Malta trova il suo fondamento nelle scelte politiche di Minniti nei rapporti con il governo di Tripoli e con la sedicente Guardia costiera libica.
La Convenzione SAR di Amburgo del 1979 impone un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare ed il dovere di sbarcare i naufraghi in un porto sicuro (place of safety) indicato dal paese che ha assunto il ruolo di Autorità SAR competente. Generalmente il primo paese che riceve le chiamate di soccorso è proprio l’Italia. ed oggi queste chiamate arrivano soprattutto da assetti aeronavali militari appartenenti a paesi dell’Unione Europea.
Gli Stati membri dell’IMO (International Maritime Organization), nel 2004, hanno adottato emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR, in base ai quali gli Stati parte devono coordinarsi e cooperare per far sì che i comandanti delle navi siano sollevati dagli obblighi di assistenza delle persone tratte in salvo, con una minima ulteriore deviazione, rispetto alla rotta prevista. Malta non ha accettato questi emendamenti. Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004) dispongono che il governo responsabile per la regione S.A.R. in cui sia avvenuto il recupero, sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso sia fornito.
Secondo un rapporto della Guardia Costiera italiana dello scorso anno, «in alcune occasioni particolarmente complesse, caratterizzate cioè da elevato numero di migranti,dalla scarsità di vettori idonei a trasferire i migranti verso i P.O.S., da avverse condizioni meteorologiche, è stata richiesta la collaborazione e cooperazione ai Maritime Rescue Coordination Centre viciniori (Malta e Tunisi) che tuttavia non hanno accolto la richiesta di sbarcare i migranti soccorsi presso i propri porti. In particolare:
MRCC Tunisi ha declinato la richiesta di accogliere i migranti in quanto gli stessi non erano di nazionalità tunisina né erano partiti dalle coste tunisine e l’assetto intervenuto nelle operazioni SAR non batteva bandiera tunisina; in aggiunta, ha dichiarato di non essere in grado di accogliere l’ingente numero di migranti (578 in totale) a causa dello scarso preavviso ed in considerazione della mancanza di strutture e risorse logistiche per l’accoglienza.
MRCC Malta, invece, ha declinato la medesima richiesta per non aver coordinato le operazioni SAR essendo le stesse avvenute al di fuori della propria Search and Rescue Region.
Dovrebbe essere noto a tutti il caso di scuola della nave greca Salamis che nel 2013 si vide rifiutato l’ingresso per lo sbarco dei naufraghi nel porto di Malta. Una vicenda che precedette le stragi del 3 e dell’11 ottobre 2013, quest’ultima dovuta proprio ad un conflitto di competenze tra autorità maltesi ed italiane. Nel caso della nave greca Salamis l e autorità italiane, dopo una lunga trattativa con le autorità maltesi e greche, offrivano in Italia un place of safety (POS) di sbarco ai 102 migranti salvati da un gommone in avaria al largo delle coste libiche e che il governo di Malta, nonostante le pressioni europee, aveva respinto, asserendo che si sarebbero dovuti consegnare alle autorità libiche nel porto “più vicino” di Khoms.
Nella prassi, le autorità maltesi hanno fatto sovente riferimento ad accordi con la Libia stipulati nel 2009, un anno dopo la stipula del Trattato di amicizia tra Berlusconi e Gheddafi, ed all’esistenza di una zona SAR libica, quando si trattava invece di interventi di ricerca e soccorso che si svolgono al di fuori della pur vasta zona SAR attribuita a Malta. Ma dall’avvio dell’operazione Mare Nostrum, nel mese di ottobre del 2013, la prassi era ormai consolidata nel senso che le autorità maltesi non venivano più richieste di indicare un luogo di sbarco nel proprio territorio. Ed anche negli anni successivi, nessuna delle numerose navi di Frontex o di Eunavfor Med coinvolte in operazioni SAR, coordinate dalla Centrale operativa della Guardia Costiera italiana, ha mai sbarcato a Malta persone soccorse in acque internazionali.
Leanza e Caffio osservano nel 2014 come «Malta abbia dichiarato per innumerevoli occasioni la propria indisponibilità, anche a distanza di ore dalla segnalazione italiana». Abbiamo già ricordato il rifiuto di sbarco avanzato dalle autorità maltesi nel 2013, poco prima della strage dell’11 ottobre, nei confronti del mercantile Salamis carico di naufraghi, che poi furono sbarcati in Italia. Da allora ad oggi non risulta che le posizioni dei governi maltesi siano cambiate, al punto che negli ultimi anni si è registrato un costante calo degli sbarchi nell’”Isola dei Cavalieri” e lo scorso anno le persone soccorse in mare e sbarcate in quell’isola non sono state più di un centinaio. In termini percentuali, Malta ha un numero di rifugiati assai elevato, rispetto alla percentuale italiana, per il basso numero degli abitanti rispetto al nostro paese. Un dato che in queste ore sembra completamente travisato.
Come nota De Sena, per quanto possa in astratto succedere che uno stato competente per il coordinamento delle attività di ricerca e salvataggio in mare rifiuti di indicare un porto sicuro di sbarco, che non è necessariamente il porto più vicino, «la chiusura dei porti italiani implicherebbe necessariamente una serie di conseguenze sul piano del rispetto di norme internazionali sui diritti umani e sulla protezione dei rifugiati.Vari elementi permettono infatti di considerare che l’Italia eserciterebbe, de jure e de facto, sulle imbarcazioni in parola, poteri idonei ad incidere sul godimento effettivo di diritti elementari da parte di coloro che si trovino a bordo. In altri termini, questi ultimi, pur tenuti fuori dai porti italiani, non mancherebbero di rientrare nella giurisdizione italiana, ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretato nella giurisprudenza rilevante. Nel caso Women on Waves c. Portogallo, la Corte non ha esitato a valutare nel merito la violazione dell’art. 10 derivante dal divieto di accesso al mare territoriale imposto dalle autorità portoghesi alla nave olandese Borndiep, ritenendo (sia pure) implicitamente che tale divieto costituisse un esercizio di giurisdizione ai sensi dell’art. 1 della Convenzione (§ 22 della sentenza del 3 febbraio 2009). All’analogia con questo caso va aggiunto che la dichiarazione del rappresentante italiano si riferisce a un divieto di accesso ai porti, ovvero alle acque interne; ciò che lascia intendere che le imbarcazioni interessate abbiano già raggiunto le acque territoriali italiane. Anche a voler negare il carattere di precedente della sentenza Women on Waves, in ragione del fatto che la questione della carenza di giurisdizione non era stata espressamente sollevata dal Portogallo (elemento peraltro non decisivo, visto che le ragioni di inammissibilità sono sempre rilevabili d’ufficio dalla Corte), ulteriori circostanze sembrano corroborare la tesi secondo cui le imbarcazioni che chiedono l’autorizzazione di ingresso in porto, dopo essere state soccorse, rientrano nella giurisdizione dello Stato italiano.Infatti, come responsabile della zona SAR di soccorso – o anche nel caso in cui il soccorso sia avvenuto al di fuori della zona SAR italiana, ma comunque su impulso di un SOS diramato dall’MRCC (Comando generale del Corpo della Capitanerie di Porto) di Roma – l’Italia risulta essere il Paese giuridicamente responsabile del coordinamento dei soccorsi ed è dunque lo Stato che esercita, “conformemente al diritto internazionale”, le funzioni esecutive che tale coordinamento comporta». (v. mutatis mutandis, Al-Skeini c. Regno Unito e Jaloud c. Paesi Bassi).
Occorre ricordare anche la Convenzione di Ginevra ed il principio di non respingimento ( art. 33 ). Se uno Stato respinge una nave di migranti irregolari che ha fatto ingresso nelle proprie acque territoriali senza controllare se a bordo vi siano dei richiedenti asilo e senza esaminare se essi possiedano i requisiti minimi per il riconoscimento dello status di rifugiato, commette una violazione del principio di non respingimento sancito dall’art. 33 par. 1 della Convenzione del 1951 se i territori (Stati terzi o alto mare) verso cui la nave è respinta non offrono garanzie sufficienti per l’incolumità dei migranti, o anche soltanto per la possibilità di accoglienza e di accesso ad una procedura di asilo. Ma soprattutto, se gli ordini di Salvini si imporranno anche dopo la scadenza elettorale, sarebbe violato l’inalienabile diritto delle persone, quale che sia il loro stato giuridico, “a non subire trattamenti inumani o degradanti”, che potrebbero ben configurarsi qualora a seguito di un ennesimo braccio di ferro tra gli stati, la loro permanenza a bordo dovesse procurare loro ulteriori sofferenze, se non rischi per la salute o per la stessa vita. E per la violazione del divieto di trattamenti disumani od degradanti , imposto agli stati nei confronti di tutte le persone che ricadono nella loro giurisdizione, come qualunque migrante soccorso in operazioni coordinate da una autorità statale, si potrebbero ipotizzare ricorsi alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Mentre se il conflitto tra gli stati nella individuazione di un POS (porto sicuro di sbarco) si dovesse ripetere, dovrebbe occuparsene la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.