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Il 5 per mille ai Comuni? Ecco che fine fa

Ogni anno circa 15 milioni di euro vengono destinati dai contribuenti ai municipi. Che lo destinano a finalità sociali

di Francesco Dente

Il primo è stato Schio (nella foto di apertura). Quarantamila abitanti in provincia di Vicenza. E una temperatura, soprattutto, che nei mesi più freddi scende in picchiata sotto zero. Con i 24.444 euro ricevuti ha assegnato un contributo per le spese sopportate dalle famiglie più bisognose per il riscaldamento domestico. Primo comune, Schio, ad aver presentato la documentazione sull’utilizzo del 5 per mille versato dai residenti che hanno optato per il loro municipio. Entro un anno dalla ricezione dei soldi, le amministrazioni locali hanno infatti l’obbligo di trasmettere il rendiconto e la relazione illustrativa al ministero dell’Interno. Che, a sua volta, li pubblica su una pagina internet dedicata. Non tutti i Comuni però sono tenuti a farlo: solo quelli che “incassano” più di 20mila euro.

Messina dovrà restituire i fondi

Al momento sono disponibili i dati di 20 dei 57 enti locali che hanno ricevuto i fondi nel 2017 (somme relative all’anno finanziario 2015) e di 53 dei 54 premiati dai concittadini con la quota Irpef dell’anno finanziario 2014. Manca Messina che dovrà restituire quasi 24mila euro frutto della generosità di 710 contribuenti che avevano dato fiducia, invano, agli amministratori isolani. Il motivo? Non li ha spesi in tempo. «Verifichiamo il rispetto delle scadenze, l’impiego per finalità sociali e la rendicontazione delle sole somme ricevute. Talvolta infatti i Comuni, ma è un dato non richiesto, certificano anche l’uso degli eventuali fondi propri aggiuntivi», spiega Renato Berretta della Direzione centrale della Finanza locale del Viminale. Le iniziative solidali sostenute con il cinque per mille sono le più diverse. Verona e Genova, le due città più grandi che finora hanno inviato i report, hanno finanziato con le somme ottenute la prima il progetto “Una risposta alle Nuove Povertà” (77mila euro), la seconda il trasporto e l’accompagnamento delle persone disabili (75mila euro). San Donato Milanese, invece, ha destinato i 24mila euro incamerati alla prevenzione del disagio scolastico e familiare, mentre Sassari a progetti individualizzati di assistenza domiciliare anziani (38mia euro). Più a Sud, Taranto ha concesso contributi abitativi di 300 euro al mese per un anno (27mila euro). Per saperne qualcosa in più sui big bisogna fare un passo indietro alle risorse assegnate nel 2016 (anno finanziario 2014). Milano, suffragata da 6.134 cittadini, ha utilizzato 340mila euro per retribuire il personale che opera nei Centri diurni per disabili; Roma e Napoli, scelte nella dichiarazione dei redditi da 8.829 e 2.170 contribuenti, hanno impiegato per l’assistenza alle persone senza fissa dimora rispettivamente 398mila e 68mila euro.

In 90 a quota zero
Nell’anno finanziario 2015, ben 90 municipi hanno percepito zero euro, 1201 meno di 100 euro e, quasi la metà degli enti locali (3.591) fra 100 e 500 euro. Somme con cui è davvero difficile realizzare interventi di welfare territoriale. «I cittadini non sembrano particolarmente interessati a destinare il 5 per mille ai Comuni. Se si esaminano i dati si scopre che le percentuali più alte vanno ai piccoli paesi nel Nord dove il municipio è l’unico punto di riferimento della comunità o comunque si presenta, più che come una istituzione, come un prolungamento delle varie organizzazioni di volontariato come le Pro loco», spiega Luigi Bobba, ex sottosegretario alle Politiche sociali. Le scelte espresse dagli italiani che hanno optato per le attività sociali comunali nell’anno finanziario 2016 (ultimo dato disponibile) sono state 547.484 su 16.428.218. Il 3,33% del totale. In termini economici 15,2 milioni di euro su 491,6.

Eppure il 5 per mille ai Comuni era partito bene nel 2006: 32 milioni di euro raccolti. Crollati a 13 milio- ni dopo la soppressione dell’opzione per le attività sociali comunali decisa per il biennio 2007-2008 e rimasti poi intorno a quella cifra. «Originariamente i Comuni non erano fra i beneficiari del 5 per mille. Se si applica infatti in modo coerente la sussidiarietà fiscale, principio che consente al cittadino di destinare direttamente la quota di imposta a una organizzazione di Terzo settore anziché allo Stato, perché mai poi si può invece dare il 5 per mille ai Comuni, che sono comunque parte del complesso dello Stato?», si interroga Bobba. Un’opinione che non trova d’accordo gli enti locali che, stressati dai tagli al welfare, vedono comunque con favore questa possibilità. Non va dimenticato, inoltre, che parte delle somme finisce comunque al Terzo settore in quanto le giunte municipali affidano la realizzazione degli interventi sociali finanziati con il cinque per mille al non profit. Parma, ad esempio, ha utilizzato i 45mila ricevuti euro per paga- re i servizi ai senza fissa dimora forniti da una cooperativa sociale. Altrettanto ha fatto Udine (47mila euro) con “CamminaMenti”, progetto di promozione dell’invecchiamento attivo gestito dal privato sociale. Il 5 per mille ai Comuni, che sarà rivisto, fra l’altro, dalla recente riforma del Terzo settore, è finito anche sotto la lente della Corte dei Conti che ha puntato il dito contro gli squilibri prodotti dalla diversa capacità contributiva dei residenti che fa sì che alcuni enti beneficino, in proporzione, di introiti più alti non bilanciati da meccanismi di perequazione o di coordinamento. Il ministero dell’Interno, dal canto suo, ha proposto due mosse per contrastare la polverizzazione dei modesti “assegni” devoluti ai Comuni. La creazione di un fondo ad hoc che raccolga i contributi inferiori a una soglia minima e la redistribuzione in base alle reali necessità degli enti locali.


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