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Figli di “colore”. La sfida della diversità

Spesso l’arrivo di un bambino di un’altra etnia, pone i genitori di fronte a una domanda cruciale: come vivrà questa diversità rispetto ai suoi coetanei? Come posso facilitargli la vita? Come fargli capire che ciò che conta è che per noi è una persona unica e irripetibile? L'esperienza di Gerolamo Fazzini, giornalista e padre adottivo

di Gerolamo Fazzini

Fosse dipeso da nostro figlio Luca, che oggi ha vent’anni, la “new entry” in famiglia che aveva sempre desiderato avrebbe dovuto essere un maschietto, preferibilmente appassionato di calcio. Se milanista, poi, sarebbe stato perfetto. Poi, però, arrivò la notizia che in casa avremmo accolto Ana Maria, colombiana, che all’epoca aveva tre anni (due meno di lui) e di calcio non era per nulla appassionata. Luca comprese infretta che, per tirare calci al pallone, avrebbe dovuto farsi bastare due cugini della stessa età. Ma constatò subito anche la forza dei legami: una delle prime parole imparate dalla sorella arrivata dall’altra parte del mondo, infatti, fu “Kakà”.

Benché siano fisicamente diversi e si colga immediatamente che non hanno la medesima provenienza biologica, a Luca (biondo, con occhi chiari) l’arrivo della sorellina color cioccolato e dai capelli neri neri non ha provocato problemi. E lo stesso è avvenuto per me e mia moglie Laura. Forse perché il Ciai (l’associazione che ci aveva seguito nell’adozione) ce l’aveva ripetuto in tutte le salse: «Il bambino che arriverà è senz’altro “colorato”, preparatevi». O forse, più semplicemente, perché qualche bambino dalla pelle scura già faceva part e della cerchia dei nostri conoscenti e amici.

Un figlio di pelle diversa cambia la famiglia. Anche se non se ne rende conto

Questo non toglie che, sia io che Laura, più volte ci siamo interrogati, non senza un pizzico di paura e trepidazione, su come sarebbe stato l’inserimento di Ana Maria in casa nostra, nelle rispettive famiglie di origine e nel nostro contesto, a partire dalla scuola: avrebbe fatto problema quel colore diverso, tratti somatici che dicevano di una storia “altra”?

Ma, ancor prima, ci dicevamo: saremo in grado di non far differenze, di amare ciascuno nella sua unicità? Domande che, immagino, qualsiasi genitore (adottivo e non) porta in cuore: domande legittime, espressioni di un’apprensione comprensibile, perché ciascuno di noi si augura il meglio per coloro ai quali vuol bene.
Crescendo, Luca si è “accorto” che la sorella ha un colore diverso: non in senso negativo, ma come progressiva maturazione della percezione che ognuno di noi è unico e diverso. È la stessa esperienza che abbiamo fatto progressivamente anche io e Laura, per entrambi i figli: la scoperta dell’unicità di ciascuno.

Al di là dei ricordi e delle esperienze personali, credo che, in generale, una famiglia un po’ cambi con l’arrivo di un figlio con la pelle di un altro colore, anche se forse non se ne rende conto. Provo a dirlo così, a costo si sfiorare la retorica: ogni figlio, “biologico” o meno, chiede, prima ancora che spazio o attenzioni particolari, di essere riconosciuto per quello che è: una persona unica e irripetibile.

Ora, quando un figlio percepisce questo “pregiudizio positivo” nei suoi confronti, capisce — anche se non gli viene detto a parole — che conta. Anzi: che vale. Semplicemente perché è lui (o lei). Indipendentemente dal fatto che abbia poche o tante doti, che sia brillante in compagnia, sappia suonare bene il piano a 9 anni, arrampichi come un baby-Messner o nuoti come la Pellegrini. E tutto questo rimane vero al di là del milione di rimproveri che quotidianamente gli (o le) verranno rivolti (da «metti in ordine la camera» a «finisci i compiti di matematica»…).

Ana Maria è in partenza per la Romania per occuparsi di bimbi soli

Ora: il figlio o la figlia che vengono “da un Paese lontano” manifestano già nei loro tratti somatici questa inoppugnabile alterità, sono una rappresentazione viva, in carne ed ossa, della differenza. E, dunque, un richiamo — costante e silenzioso — a non tradire quel patto che ogni genitore fa con colui o colei che vivrà nella stessa casa: «Tu sei importante, semplicemente perché sei tu».

Detto ciò, la diversità dei nostri figli per noi oggi ha a che fare con il carattere, le attitudini e la sensibilità, le differenti passioni (Ana Maria la danza, Luca il basket). Il colore della pelle ce lo siamo dimenticati, tranne d’estate, quando Ana Maria, col sole, assume una tonalità che tutti le invidiamo.

Ci è stato chiesto, talvolta, se abbiamo mai sperimentato forme di razzismo. Abitiamo a Lecco, città nella quale la presenza di stranieri è visibile ma, per fortuna, non problematica. Ora, a nostra memoria, solo una volta è capitato che un coetaneo (Ana Maria era ancora alle elementari) le abbia rivolto un apprezzamento offensivo. Un caso isolato, che per fortuna non ha avuto conseguenze.

L’esperienza scolastica di nostra figlia è stata, fortunatamente, molto positiva: Ana Maria è cresciuta in una scuola paritaria dove i bambini sono accolti con grande attenzione e sensibilità, presupposti indispensabili perché cresca e maturi quell’autostima che diventa la molla in ogni persona a camminare con le proprie gambe.
Quest’estate toccherà ad Ana Maria provare ad essere “straniera”: andrà in Romania con un’associazione che si occupa di bambini abbandonati o con alle spalle famiglie con problemi. Sarà un test interessante, ne siamo certi. E, per lei, sicuramente un’esperienza di indubbio arricchimento.


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