Cooperazione & Relazioni internazionali

Vescovi venezuelani: le nostre strade sono pieni di morti

Ospiti delle Missioni Don Bosco a Torino per un convegno dedicato al Venezuela due vescovi venezuelani hanno raccontato la condizione tragica del Paese

di Camilla Cupelli

«Ci mancano solo gli spari perché sia una vera guerra. Ma penso ci siano più morti per le nostre strade che in alcune zone di guerra nel mondo». Lo sostiene il vescovo Jonny Eduardo Reyes, venezuelano, che da quasi tre anni lavora al confine colombiano, a Puerto Ayacucho in Amazzonia. E insieme a lui lo sostengono tanti cittadini che si trovano ormai da tempo in una crisi profonda, senza sapere come uscirne. «Difficile vedere una soluzione all’orizzonte. La diplomazia non ha funzionato. Le forze esterne sono una possibilità. Ma non c’è più speranza tra le persone» gli fa eco Pablo González, vescovo salesiano che opera nella zona di Apure.

Dopo l’elezione di Nicolas Maduro, non riconosciuta dai Paesi del G7, la situazione peggiora di giorno in giorno. Alle ultime elezioni i cittadini hanno disertato le urne. L’inflazione è a livelli mai visti prima e i prezzi dei beni primari cambiano di minuto in minuto. «Ti serve una penna: costa un dollaro. Mezz’ora dopo costa un dollaro e mezzo». E lo stesso vale per carne, pane, latte. Oggi un bolivar venezuelano vale 0,016 dollari americani.

I due vescovi sono stati ospiti di Missioni Don Bosco a Torino per un convegno dedicato al Venezuela. Erano volati in Italia anche a inizio settembre, quando una quarantina di rappresentanti della Conferenza episcopale venezuelana aveva incontrato papa Francesco a Roma per parlare della crisi del Paese. «Noi non ci pensiamo neanche ad andare via. Come ci ha detto il Papa, dobbiamo aiutare la gente a trovare la speranza» sottolineano i vescovi.

La frontiera

Entrambi lavorano in zone di frontiera, seppur molto diverse. Al di là dell’Amazzonia venezuelana, c’è la foresta. Quindi la via non è la prescelta per i tantissimi che fuggono dal Paese alla ricerca di una vita migliore. A Guasdualito, invece, il flusso è continuo. «Nella zona di San Cristóbal si parla di 38 mila persone al giorno. Ci sono tre tipi di persone che attraversano il confine: chi vuole andare dall’altra parte, abbandonare il Paese. Chi vuole fermarsi nella zona di confine e chi vorrebbe fermarsi, ma alla fine fa avanti e indietro. Perché compra da una parte e rivende dall’altra. Perché in Colombia trova qualche medicina. C’è tantissima gente che se ne va come se andasse alla terra promessa ma non sa cosa trova» spiega González.

Per anni la frontiera era attraversata al contrario e tanti venezuelani sfruttavano la condizione dei vicini colombiani, oggi il flusso è invertito. Per chi non può avere il passaporto, che costa diverse centinaia di dollari, arrivare senza documenti in un altro Paese porta spesso a una condizione di vita difficile. «Al di là della frontiera, in Colombia, la guerriglia ha messo posti di reclutamento per i ragazzini. La povertà e la miseria spingono tantissimi verso di loro, verso la violenza. Spingono tante giovani donne verso la prostituzione» racconta il vescovo di Puerto Ayacucho. «Per il governo però non c’è nessuna crisi umanitaria. C’è una negazione della situazione» spiega Reyes. «Il problema più grave, per noi, è la crisi morale: non c’è speranza, non c’è motivazione» aggiunge ancora González.

Il rapporto con la Chiesa

«Come conferenza episcopale siamo molto uniti. Il governo ha provato a metterci uno contro l’altro ma siamo l’istituzione più credibile – sostiene Reyes – Il Papa ci ha detto di resistere, in nome della solidarietà e della verità. Spingiamo la gente a capire cosa accade, per il ritorno della democrazia». Il clero lavora a stretto contatto con le persone. È una religione di strada, un lavoro quotidiano di conoscenza e aiuto. «Non possiamo far morire la gente – spiega González -. Come salesiani abbiamo attivato un progetto per bambini sotto i 5 anni e mamme incinte, i medici volontari girano le comunità e offrono le cure. Incentiviamo il lavoro agricolo».

A gennaio la comunità internazionale dovrà decidere se riconoscere il nuovo mandato di Maduro, dopo le scorse elezioni. Il rischio, per il Paese, è quello dell’isolamento. «Potrebbe andare via anche il nunzio apostolico. Vedremo cosa accadrà».

Da Vatican Insider


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