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Uscire dal rancore e costruire un nuovo orizzonte collettivo per lo sviluppo? Serve una visione

L’amministratore delegato di Conad, Francesco Pugliese, spiega a Vita.it il progetto di ricerca, comunicazione e confronto fatto insieme con il Censis con il titolo «Miti del rancore, miti per la crescita: verso un immaginario collettivo per lo sviluppo». L'intervista

di Paolo Biondi

«Per costruire un nuovo immaginario collettivo bisogna che ci sia un progetto, che ci sia una visione. Noi di Conad pensiamo che ci sia bisogno soprattutto di verità»: l’amministratore delegato di Conad, Francesco Pugliese, spiega così il progetto di ricerca, comunicazione e confronto fatto insieme con il Censis e presentato nella sala Zuccari del Senato, a Roma, con il titolo «Miti del rancore, miti per la crescita: verso un immaginario collettivo per lo sviluppo».


Come è nato il progetto?
Il progetto doveva servire per uso interno, per studiare strategie commerciali e l’avevamo fatto commissionando al Censis una ricerca su cosa sta succedendo nei consumi. Quando abbiamo avuto i risultati, che sono quelli presentati oggi, abbiamo pensato che non si poteva tenerli come una conoscenza individuale, privata, di una singola impresa. La presentazione fatta in Senato è stata solo il primo passo di un programma che proseguirà anche tutto l’anno prossimo. Vedremo chi vorrà starci. Noi possiamo fare solo valorizzazioni degli apporti che verranno, essere di stimolo. Per ora abbiamo finanziato il programma e questo, per una impresa, è tanto, non crede? Generalmente ricerche di questa natura le tieni per te. Noi la rendiamo pubblica e chiediamo a tutti i soggetti, comunità, territori di rendersi protagonisti.

Cosa significa che occorre una visione per poter costruire un nuovo immaginario collettivo?
Se vuoi mettere al centro la persona, che per noi vuol dire i nostri clienti e i nostri fornitori, devi valorizzare quelli che ti stanno vicino. È un impegno che per noi si concretizza in una serie di atti, di comportamenti: vuol dire, ad esempio, firmare al ministero il codice etico da rispettare nella scelta dei prodotti per fermare il fenomeno del caporalato. È un bisogno che sentiamo anzitutto come uomini e cittadini, poi come imprenditori.

Come i comportamenti incidono sui prodotti?
Mia figlia mi ha chiesto qual era secondo me la differenza tra un selfie ed una fotografia. Uno è un’affermazione di sé stesso, l’altra è una immagine della realtà. Questo si traduce in comportamenti nei consumi che sono praticamente fermi, con variazioni dello zero virgola. Ma non siamo ancora in regressione perché assistiamo a fenomeni stranissimi. Crescono ad esempio sensibilmente i consumi di certi prodotti: se c’è una bandierina italiana su un pacchetto le sue vendite aumentano. Questo succede non solo da noi, ma in ogni Paese europeo. Il fenomeno è partito da due Paesi: l’Italia e la Francia, per la forte organizzazione degli agricoltori in questi Paesi. Gli storytelling necessitano di un fattore di continua validazione di quello che dico. La pubblicità comparativa, ad esempio, sta costruendo un clima non orientato allo sviluppo. Se andiamo tutti in questa direzione ci troveremo in una decrescita felice che a noi di Conad non piace.

Ci può fare esempi di prodotti che aumentando le vendite sono marcatori di crisi?
Facile. C’è un classico in questi casi. Il prodotto che ha avuto un netto incremento di vendite è il rossetto, simbolo della ricerca di gratificazione, di apparire al meglio seppure in un periodo di crisi. Ci sono alcuni marcatori: tutti i prodotti di bellezza per signora vanno di più. Vado meno dal parrucchiere, spendo meno, mi faccio bella in casa.

E un esempio di un atteggiamento pericoloso?
L’effetto della nostalgia canaglia. L’uomo nei ricordi tende e rimuovere il negativo, così anche dei momenti negativi ricorda solo il positivo. Ricordiamo il calore del focolare, ma non il freddo che c’era nelle case. Si costruiscono così degli immaginari pericolosissimi e rischiamo di valorizzare degli elementi fasulli.


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