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Monsignor Hinder: «L’Arabia non è il deserto per i cristiani»

Una realtà sorprendente raccontata in un libro dal vicario apostolico dell'Arabia meridionale Paul Hinder

di Marco Dotti

C’è chi, esagerando, si spinge a dire che potrebbero presto diventare la maggioranza della popolazione degli Emirati Arabi. Ma anche nell’esagerazione c’è un po’ di verità. Oggi, più del 70% dei residenti segli Emirati sono immigrati provenienti dall'India, dal Pakistan, ma anche da un terra in cui il cattolicesimo è fortemente radicato: le Filippine. I cattolici non trovano il deserto, in Arabia. Per precise ragioni storiche, ma anche socio-culturali.

«In questa parte del mondo, la restante parte del mondo pensa non ci siano cristiani», spiega monsignor Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale, ovvero Emirati Arabi Uniti, Sultanato di Oman, Repubblica dello Yemen.

«Quando sono stato nominato vescovo, oramai più di quindici anni fa», ci racconta Paul Hinder, «mi ha scritto un caro amico, dicendomi “mi congratulo, anche se non so cosa potrai fare in terre dove non ci sono cristiani"».

È una situazione singolare e paradossale, quella della terra d’Arabia. Una situazione che monsignor Hinder racconta in un bel volume, Un vescovo in Arabia, da poco pubblicato per Emi, che è una sorta di geopolitica esperienziale della fede in terra d'Islam.

Paradossale e singolare perché, «probabilmente, nella mia diocesi ho più cattolici di quanti non ne abbiano, oramai, molte diocesi europee. Tutta la penisola araba ha una stima di almeno cinque milioni di cattolici».

Bianco e nero, e basta: non funziona così. E soprattutto non funziona così alcun dialogo. L’analisi delle differenze è nemica della spettacolarizzazione emotiva e della mobilitazione. Ma quando si vive in regioni come la nostra, allora tutto diventa più frammentario e complicato, perché noi facciamo altre esperienze

Paul Hinder

Oggi, racconta monsignor Hinder, «ho 65 sacerdoti, due terzi di loro sono cappuccini, l'ordine a cui la cura pastorale della zona è affidata. Questi cappuccini vengono da 20 province diverse. Ci sono suore, soprattutto per le scuole che negli Emirati ci è concesso di avere». Particolarmente importante, poi, la presenza delle suore di Madre Teresa in Yemen, a Sanaa, dove continuano a presidiare un Paese martoriato dalla guerra, offrendo assistenza e cura.

In Arabia, spiega il vescovo, «siamo una Chiesa di migranti, per migranti. Siamo un misto di oltre cento nazioni, in gran parte asiatici, ma ci sono africani, ispanofoni, americani, europei».

A dicembre, a Dubai, i filippini festeggiano una sorta di pre-Natale. «Ogni sera, e non esagero, arrivano oltre 25mila fedeli. Ci raduniamo in un campo di calcio talmente grande che è impossibile fotografare per intero».

Nel suo libro, Monsignor Hinder racconta delle gabbie moderne, ovvero delle gated communities in cui vengono rinchiusi migliaia di lavoratori edili, dopo l'orario di lavoro.

Racconta il vicario generale: «anche io sono migrante. Io come questi lavoratori appartengo a una seconda classe, in un certo senso: non abbiamo potere, non siamo cittadini. Questa esperienza ci rende, prima di tutto, umili. Non siamo noi a dirigere il mondo. E questa esperienza di umiltà la condividiamo assieme. Io sono in parte privilegiato, come vescovo sono riconosciuto dall'autorità, ma l'operaio che arriva dall'Asia ad Abu Dhabi è messo in una zona residenziale chiusa, dove vivono cinque, diecimila, talvolta ventimila operai come lui e, come lui, la mattina vengono trasportati col bus sul posto di lavoro e vengono riportati la sera. Quale vita fanno? Come vivono questo isolamento? Ecco, una sfida per la nostra pastorale: come essere in contatto con queste persone e come permettere loro di partecipare alla vita comunitaria della Chiesa. Noi cerchiamo di organizzare i trasporti, il venerdì, giorno solitamente libero nel mondo musulmano, per permettere loro di venire in Chiesa».

La sfida è grande, la fatica anche. Ma «quando mi sento chiedere: "come fai?", mi sorprendo. Il sorriso, la voglia, la fede, la speranza che vedo sul volto dei miei fedeli supera ogni stanchezza»

Essere vescovo qui è straordinario, spiega monsignor Hinder. «Una mattina, alla messa delle sei e mezza c'era un lavoratore venuto da Dubai, a 120 km. Veniva alla messa prima di rientrare al lavoro: altri 120 km. Quando sono venuti a trovarmi dei miei compagni non credevano ai loro occhi: hanno constatato una fede e una vitalità che non riescono a constatare in Europa».

Il libro

Paul Hinder, Un vescovo in Arabia. La mia esperienza con l'Islam, trad. di Fabrizio D'Angelo, prefazione di Paolo Branca, Emi, 2018, pagine 194, 18 euro

Dal 2003 Paul Hinder è vescovo nella Penisola araba, la terra sacra per ogni musulmano perché qui Maometto fondò la religione ispirata dal Corano. In queste pagine, per la prima volta un vescovo cattolico racconta cosa significa vivere da cristiani nei Paesi governati dagli sceicchi dei petrodollari, dove la fede islamica avvolge ogni aspetto della vita e non esiste libertà religiosa, ma solo di culto. La testimonianza del vescovo Hinder è preziosa perché racconta in presa diretta le difficoltà, le speranze e le conquiste di quel dialogo tra cristiani e musulmani che resta una delle chiavi per la pace nel mondo».


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