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Salire a Barbiana: l’attualità di don Lorenzo Milani

Don Milani è una figura ancora vicina e le questioni che ha trattato restano aperte. L’azione educativa di don Milani è stata per la scuola un punto di riferimento

di Daniela Di Iorio

Don Milani è una figura ancora vicina e le questioni che ha trattato restano aperte. L’azione educativa di don Milani è stata per la scuola un punto di riferimento. Sono alcune delle riflessioni emerse durante l’incontro che si è tenuto nella sede centrale della Dante Alighieri, in Palazzo Firenze, a Roma, in occasione della presentazione del libro Salire a Barbiana. Don Milani dal Sessantotto ad oggi, edito da Viella.

Il dibattito è stato moderato dallo storico e Presidente della Dante Alighieri, Andrea Riccardi, che ha analizzato il volume dedicato alla figura di Don Milani, insieme a Marco Rossi Doria e ai due curatori Raimondo Michetti e Renato Moro.

È’ un libro su un uomo che rappresenta, dal ‘68 a oggi un incontro inevitabile per tanti che si muovono nei più diversi settori: la scuola, il mondo delle periferie, la Chiesa, l’ educazione – sono state le prime parole del professor Riccardi, che hanno aperto l’incontro – un libro su un libro, su Una lettera a una Professoressa”. Libro che è stato di formazione per un’intera generazione, ha fatto notare Marco Rossi-Doria, che ha voluto ricordare i punti cardine del pensiero di Lorenzo Milani, e al contempo, attraverso un confronto tra l’esperienza della scuola di Barbiana e la scuola attuale, mettere in evidenza le lacune del sistema scolastico attuale, rimasto ancora indietro: “Don Milani criticava l’ingiustizia della scuola ma non che la scuola fosse rigorosa: da questo punto di vista è stato un maestro tradizionale e non distruttivo. Un altro aspetto rilevante – prosegue – che emerge da Una lettera a una Professoressa è l’ importanza della scrittura, perché questa rende cittadini, se non sai le cose non puoi parlare e rimani in una situazione subalterna. Questo libro (Salire a Barbiana) mostra che il tema è attuale perché la questione posta in quel libro di Don Milani è rimasta aperta: la scuola è ancora di classe, molti ragazzi non finiscono la scuola nelle periferie. Gli elementi molteplici di esclusione ci sono ancora, il problema rimane nella società italiana. La questione della scrittura e del sapere, di poter dare la parola ai ragazzi in una situazione di rischio e di esclusione rimane una grande questione, è questa la fortuna di Don Milani ancora”.

Rossi-Doria ha voluto poi ricordare un convegno dal titolo “La didattica della parola” dove si era trattato il tema di come aiutare i ragazzi ad impossessarsi della parola, della cultura del mondo, e si era concluso che forse non basta la scuola, non basta l’alfabetizzazione, ma è necessario un accompagnamento alla persona oltre all’apprendimento, è importante un’attenzione alla didattica.

La nostra scuola è indietro ancora oggi, la scuola è basata sulla parola sì ma quella dell’insegnante, le esperienze che c’erano a Barbiana continuano ancora a non esserci. È ancora una scuola che non ha l’innovazione didattica di Barbiana. È un metodo sconosciuto, in quanto a Barbiana c’era la biblioteca nel piano di sopra, mentre c’era anche il piano di sotto dove si usavano le mani insieme alla mente (si lavorava il legno e il metallo), una commistione che il maestro Lorenzo Milani ha sempre curato. Questo libro, dunque – conclude -mostra la complessità di Don Milani che io continuo però a difendere perché questi temi a cui ho accennato sono ancora all’ordine del giorno : la formazione professionale è considerata di serie b in questo paese, il sapere teorico è considerato di serie b, e l’alfabetizzazione ancora oggi non raggiunge tutti come da Costituzione, tant’è vero che l’ascensore è fermo almeno dalla fine degli anni’70. Le emergenze che Don Milani ha posto ci costringono ancora guardare all’esperienza di Barbiana con passione, questo è il motivo per cui tanta gente continua “a salire a Barbiana”, perché le questioni poste non si sono chiuse, suscita emozione la sua parola di indignazione che sono ancora aperte sulla scena della scuola, della società italiana e anche del mondo. Libro fondamentale per guidarci in queste emozioni che non sono eliminabili”.

Gli ha fatto eco Riccardi sottolineando che il volume “Salire a Barbiana” non è un libro qualsiasi, ma coraggioso perché mette ordine alla storia della ricezione di Don Milani nella nostra cultura. Il don Milani della storia e il Don Milani dei miti. “Perché tutta questa attenzione? Mi ha dato una risposta questo libro. Perché è figura paradossale, è prete ma nemico delle gerarchie, è maestro ma contestatore del sistema scolastico. È un personaggio inevitabile, per gente di tutti i tipi. Andavano tutti a Barbiana. Questo libro non solo fa una storia di Don Milani ma storicizza i miti di Don Milani o e lo libera dal Sessantotto, in quanto è un pensiero originale rispetto al Sessantotto. Lo ha caratterizzato il suo carattere profetico ed evangelico, un cristiano fervido, appassionato e profeta. Voleva ridare ai poveri la parola, perché senza parola non c’è libertà e quindi giustizia”, poi citando Calati “la frequentazione dei poveri sviluppò in lui il carisma del servitore. Calati non dimentica di sottolineare il fondo laico ed ebraico della cultura familiare, Milani sembra faccia scuola a sé, ha scritto”. Quali erano le idee forti? “La prima – spiega Riccardi – era rifiutare lo svantaggio che segnava tutta la vita; la seconda era che nessun bambino poteva essere considerato non dotato abbastanza e da dover essere escluso e che lo studiare insieme poteva armonizzare le difficoltà dell’uno o dell’altro; la terza era che tutti potevano lottare ed essere maestri se motivati, anche se non preparati in maniera particolare ma preparati dalla passione e dall’impegno. La lettura fatta a scuola non doveva essere un privilegio ma doveva rifluire in questo mondo degli ultimi. La scuola popolare, poi scuola della pace nella Comunità di Sant’Egidio, era una restituzione”. Tanti giovani nel ’68, cattolici e non cattolici, si impegnavano nelle periferie per i bambini in quel fascio di scuole e doposcuole, “quel movimento di andare in periferia, voglio ricordare così – conclude Riccardi – come per la nascente Comunità di Sant’Egidio in quella che era la scuola fatta nelle borgate, nelle periferie dove la condizione era di esclusione dalla scuola, quel libro (Lettera a una professoressa) fu un grande impulso, divenne una lettura di base”.

Della consapevolezza intellettuale di Don Milani ha detto invece il curatore del libro, Raimondo Michetti: “Questo cinquantennio è stato contrassegnato da questa presenza altalenante, presente soprattutto nella classe colta. L’italianità è anch’essa una caratteristica di Lorenzo Milani perché è rappresentativo di un pezzo della storia italiana ed è questo il punto di osservazione che abbiamo scelto per districarci nella fama di Don Milani degli ultimi cinquant’anni. Hanno tutti avuto un’emozione culturale nell’essersi avvicinati alla sua scrittura: se Don Milani non avesse avuto una consapevolezza tutta intellettuale, questo non sarebbe accaduto. Scrivere era uno strumento fondamentale per i suoi ragazzi, strumento di emancipazione e di mobilità sociale ma anche strumento di espressione sua e del suo rapporto con la Chiesa e con la società e il mondo. I suoi scritti hanno tutti colpito il cuore e il cervello della società italiana, quella che sapeva leggere, degli intellettuali, della borghesia impegnata. La sua consapevolezza intellettuale forte ci spiega perché tanti ambienti variegati hanno sentito l’urgenza di entrare in contatto con la sua personalità attraverso la lettura delle sue opere. Tutti coloro che sono venuti in contatto con lui lo hanno fatto proprio, i pedagogisti, i pacifisti e altri.

Infine, il curatore Renato Moro, ha spiegato che il libro permette di conoscere Milani e aggiunge una dimensione in quanto permette di conoscere noi italiani della storia della Repubblica, a partire dal dopoguerra sino ad oggi. Figlio di una famiglia di professori, mamma e zia insegnanti , il Prof. Moro ricorda le discussioni animate tra le due sorelle sul contenuto di Lettera a una professoressa. “I problemi che Don Milani pone sono veri – svela così la questione – ma una professoressa è libera o deve sottostare a un programma ministeriale? Milani dovrebbe chiedere una riforma dei programmi e della scuola, il punto è il riformismo. Anch’io sono andato nei dopo scuola nelle baracche e ho letto Lettera a una professoressa. Don Milani appartiene alla schiera di intellettuali scomodi, atipici, non catalogabili, perché difende due mondi che la globalizzazione sta distruggendo: la campagna e la borgata. Forse questi intellettuali atipici sono lo specchio di un Paese proprio per la loro atipicità. Milani infatti era letto trasversalmente perché era nata una cultura di massa, una cultura giovanile in qualche modo nuova, ma anche religiosa capace di parlare al mondo laico come probabilmente nessun altro prete cattolico aveva fatto prima. Aveva avuto un’importanza enorme nel formare le mentalità collettive, i simboli collettivi, i valori collettivi di tutta una intera generazione giovanile. La storia della Repubblica è storia di maestri, di magistrati, di medici, cioè di operatori sociali la cui storia dobbiamo ancora raccontare, ma che hanno contato per ricostruire il Paese prima e per costruire una mentalità collettiva, un mondo di valori poi, che è stato determinante. Non mi interessa la strumentalizzazione più o meno ortodossa di Don Milani – conclude il Prof. Moro – ho usato sì il termine profeta, ma non nel suo significato valoriale, bensì nel senso descrittivo, perché è stato capace di dire agli italiani qualcosa di originale, diverso, infatti abbiamo voluto specchiarci in lui già da diverse generazioni. È una chiave di lettura che suggerisco ai lettori per la lettura di questo libro e agli storici per leggere la storia del nostro Paese”.


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