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Cooperazione & Relazioni internazionali

Solo 29 Paesi raggiungeranno l’obiettivo Fame Zero nel 2030

Presentato la tredicesima edizione del Global Hunger Index, curato per l’Italia da Cesvi. Anche se il livello di fame e malnutrizione grave è in calo rispetto al dato del 2000, resta grave o allarmante in 51 Paesi ed è estremamente allarmante solo in Repubblica Centrafricana. Focus di quest’anno il legame con le migrazioni forzate e gli sfollati interni

di Antonietta Nembri

124 milioni. È questo il dato delle persone che soffrono di fame acuta a livello globale. I bambini che sono affetti da un arresto della crescita – dovuta alla malnutrizione -sono 151 milioni, mentre quelli che soffrono di deperimento sono 51 milioni. Numeri certo, ma dietro a essi ci sono persone e Paesi che la tredicesima edizione dell’Indice globale della Fame (Ghi 2018) mette al centro dell’attenzione con un focus speciale: il legame tra fame e migrazione forzata.

Un legame che si può leggere anche nei numeri, come ha ricordato Daniela Bernacchi, Ceo e General Manager di Cesvi (nella foto), aprendo l’incontro di presentazione a Milano dell’edizione italiana del Global Hunger Index 2018, ricordando che sono – dati Unhcr – 68 milioni le persone nel mondo costrette ad abbandonare la propria casa (di queste 40 milioni sono sfollati interni, 25,4 mln i rifugiati e 3,1 mln i richiedenti asilo) e che quello che viene affrontato è un problema «multidimensionale da affrontare in un approccio multistakeholder».

«Il mondo ha compiuto progressi sostanziali nella lotta alla fame, ma a una velocità ancora non sufficiente per raggiungere l’Obiettivo Fame Zero entro il 2030. L’Indice Globale della Fame contiene un messaggio chiaro: è necessaria l’azione congiunta di vari attori, quali la comunità internazionale, i governi nazionali e la società civile, per affrontare le crisi alimentari nelle aree del mondo dove la situazione è ancora allarmante» ha continuato Bernacchi. «Ma rispondere all’emergenza non basta: occorre aumentare gli investimenti e promuovere programmi di sviluppo a lungo termine nelle regioni più critiche. La fame è un pericolo persistente che minaccia la vita di milioni di persone, molte delle quali vivono il dramma degli sfollamenti forzati».

A guidare nei dati del rapporto che si basa su quattro indicatori denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita e mortalità dei bambini sotto i cinque anni, è stata Valeria Emmi, Advocacy coordinatore di Cesvi. Sono 119 i Paesi per i quali sono disponibili i dati e il GHI2018 indica che il livello di fame e malnutrizione a livello mondiale rientra nella categoria grave (valore 20,9) in calo rispetto al dato del 2000. Il livello grave o allarmante permane in 51 Paesi, mentre è estremamente allarmante solo in Repubblica Centrafricana. «L’Indice ci aiuta a capire i trend per comprendere se l’obiettivo fame zero (il numero 2 degli obiettivi dello sviluppo sostenibile – Sdg) sarà raggiunto entro il 2030», ha chiosato Emmi. A guardare i dati dei 79 Paesi che sono a livello fame moderato, grave, allarmante ed estremamente allarmante (i quattro livelli previsti dall’Indice) solo 29 riusciranno a raggiungere l’Obiettivo fame zero. Africa a sud del Sahara e l’Asia meridionale sono le aree del mondo in cui i tassi di denutrizione, la mortalità infantile, l’arresto della crescita e il deperimento sono a livelli inaccettabili. Ci sono Paesi, inoltre per i quali non ci sono dati sufficienti come il Burundi, la RdC, l’Eritrea, la Libia, la Somalia, il Sud Sudan e la Siria e sono sette Paesi fonte di preoccupazione per la loro situazione di fame e malnutrizione.

Emmi ha anche posto l’attenzione sul fatto che 16 dei 20 Paesi in cui sono presenti moltissimi sfollati fanno parte di quelli che registrano un Indice della fame “grave”. «La fame a lo sfollamento sono problemi politici che spesso vengono affrontati con l’aiuto umanitario di emergenza, mentre in realtà servirebbe un approccio di lungo periodo: basti pensare che la durata media del periodo di sfollamento è di 27 anni», ha concluso. Del resto basta guardare i dati per rendersi conto che i più importanti campi profughi al mondo ospitano molti più sfollati di quanti ne arrivino in Europa.

Dalla Somalia arriva Mohamed A. Ahmed, deputy head of Programs Cesvi in Somalia e Kenya che ha sottolineato come i problemi quali fame e sfollamento sono principalmente problemi politici e di sviluppo. «Le calamità naturali esistono, ma servono strutture politiche per superare i problemi. Nel 2011 in Somalia c’è stata una delle carestie peggiori degli ultimi 60 anni, gli aiuti umanitari non sono sufficienti, occorre trovare soluzioni», ha ricordato citando un proverbio africano «se si è abituati a portare il martello, si vedono sempre i problemi come chiodi». Sottolineando la complessità di questi problemi ha richiamato la necessità di una mentalità olistica «siamo esseri umani e l’umanità che è in noi dovrebbe aiutarci a essere in linea con le persone che soffrono».


I partecipanti al dibattito

Nel corso del dibattito a più voci, introdotto da un video messaggio di Emanuela Claudia Del Re, vice ministra agli Affari esteri e cooperazione internazionale, sono intervenuti Paola Alvares (Iom), Fabrizio Nava, consigliere d’Ambasciata, Mary Kozhaya (Fao) e l’europarlamentare Patrizia Toia, a moderare Giampaolo Musumeci. Al centro degli interventi il valore della cooperazione allo sviluppo e la necessità di rafforzare la resilienza delle popolazioni sfollate fornendo accesso all’istruzione e alla formazione, all’occupazione, all’assistenza sanitaria, ai terreni agricoli e ai mercati perché possano costruire la propria autonomia e garantirsi la sicurezza alimentare e nutrizionale a lungo termine, favorendo un’ottica di partenariato andando al fondo delle cause strutturali dell’emigrazione non solo a quelle legate all’emergenza.

L’indice Globale si chiude con una serie di raccomandazioni strategiche sottolineano l'importanza del “Non lasciare indietro nessuno” cosa che comporta il concentrare le risorse sulle regioni del mondo in cui si trova la maggior parte degli sfollati (i Paesi a basso e medio reddito e quelli meno sviluppati); fornendo maggiore sostegno politico e umanitario agli sfollati interni e sostenendone la protezione giuridica in linea con il Piano d’Azione 2018-2020 delle Nazioni Unite. Ma anche l’aumentare gli investimenti, promuovere pratiche agricole sostenibili e migliorare la governance per accelerare lo sviluppo delle zone rurali dalle quali proviene un gran numero di sfollati e dove la fame è spesso maggiore.


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