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Messico, il 2018 sarà l’anno record per omicidi

Tra gennaio e agosto, secondo la Segreteria esecutiva del sistema Nazionale di Pubblica Sicurezza, si contano 24.625 vittime di assassinio doloso, 467 sequestri, 2.499 estorsioni. Con un incremento di morti del 21% rispetto al 2017 che era stato l’annus horribilis

di Nicola Nicoletti

Una fila grande, immensa, c’è chi dice di centomila persone, in gran parte giovanissimi universitari, visi color cannella di ragazze semplici, figlie di operai e ragazzi con bandiere inneggianti al diritto di sciopero e alla libertà, ha invaso Città del Messico non lontano del palazzo del Governo. Sfilavano il 2 di ottobre nel cuore della capitale, nello Zocalo, per ricordare 50 anni fa, quando la polizia iniziò a sparare contro i loro predecessori, gli universitari che protestavano per i diritti civili e contro la violenza dell’esercito. I giovani del 2018, del Politecnico e della Unam, la grande università pubblica e gratuita, che ospita chi non può permettersi le scuole private, assieme agli “ex giovani” di ieri, marciavano imbavagliati, per sostenere che non era loro intenzione provocare, ma invece lo era ricordare: «ci siamo e non dimentichiamo la nostra storia, consapevoli del presente», spiegava Marcos, 19 anni, con uno striscione rosso.

La protesta di ieri. Studenti, professori, operai e semplici donne e uomini, guidati da leader come Socrates Amado Campos, erano in piazza in quel tragico ottobre del 1968 per gridare la voglia di cambiamento a un governo che sentivano lontano, guidato dal presidente Gustavo Díaz Ordaz e dal partito Rivoluzionario Istituzionale, la forza che ha governato ininterrottamente il Messico dal 1929 per 70 anni. Il numero dei morti di allora, dopo 50 anni, è ancora incerto. Probabilmente tra luglio e ottobre furono ammazzate un’ottantina di persone. Manuel, Maribilla, Angel, figli di contadini che chiedevano all’esercito di lasciare le loro università e di sciogliere i granaderos, le brigate violente.

In Plazas de las tres culturas, la grande Piazza assolata dove il passato dei tempi aztechi viene rappresentato assieme ai monumenti del presente, avvenne l’apoteosi insanguinata dei moti di un Paese che voleva presentarsi al mondo come moderno, nuovo, l’unico senza una dittatura in quella fetta di latinoamerica. E invece, nei giorni che precedettero le Olimpiadi, gli occhi del mondo videro la crudeltà di ragazzi picchiati e presi in ostaggio dalle forze dell’ordine sotto gli sguardi impotenti dei loro poveri padri. Militari del battaglione Olimpia, travestiti da civili, strattonavano per giacche e capelli ragazzi di 16, 17 anni, arrestandoli, mentre un elicottero seminava lacrimogeni e pallottole sulla piazza. Tutto era pronto per i Giochi che dovevano rivelare al mondo la vittoria nei 200 metri di Tommie Smith e di John Carlos, uomini capaci della protesta per i diritti civili del popolo afroamericano in quei difficili anni. Improvvisamente la voglia di rinnovamento dei messicani si trasformò in una carneficina a pochi passi da Tlatelolco, come ci venne rivelato da Oriana Fallaci, ferita, ricoverata nel palazzo che ospitava i ragazzi della protesta, il Chihuahua, ma capace di dettare all’Espresso un vibrante pezzo su quella “macelleria messicana”. E oggi?

In questo anniversario i leader del movimento nazionale per lo sciopero di ieri, erano sul palco per annunciare che il movimento per i diritti civili, in lotta per libertà, giustizia e per far sentire le loro voci, non ha ancora compiuto la sua missione. E lo testimoniano i 43 studenti dell’università Normal di Ayotzinapa, fatti sparire nel 2014, probabilmente uccisi e bruciati in un connubio di collusioni tra poliziotti e politici corrotti. Un mix di narcocriminali e politici che sta causando in Messico una vera e propria strage. Giornalisti, preti, comuni cittadini e rappresentanti delle autorità, sono ammazzati con numeri spaventosi. Tra gennaio e agosto 2018, secondo la Segreteria esecutiva del sistema Nazionale di Pubblica Sicurezza, si contano 24.625 vittime di omicidio doloso, 467 sequestri, 2499 estorsioni. Con un incremento di morti del 21% rispetto al 2017. Gli stati con più vittime sono Colima, Baja California, Guerrero, Chihuahua y Guanajuato.

Il 2017 si ricorda come l’annus horribilis con 28.710 assassini, ma è facile che questo record venga battuto a dicembre. Francisco Rivas, il direttore dell’Observatorio Nacional Ciudadano, pronostica che facilmente aumenterà dal 5,5% al 15% rispetto all’anno passato. Un fenomeno in aumento rimane il femminicidio. Da gennaio ad ora si contano 328 omicidi contro le donne con un aumento del 13% rispetto al 2017 quando ne furono registrati 288.

Secondo Rivas si paga una mancanza di misure precauzionali di protezioni alle donne da quando la cifra è iniziata a impennarsi. Le coppie sono fragili, le moglie spesso sono picchiate e il passo seguente è la morte. "Le attività illecite sono moltissime e in crescita, e assieme ad esse prosperano azioni violente, poca prevenzioni e una carenza sostanziale dello Stato. Un delitto non punito è un delitto condannato a crescere e prosperare”, spiega Rivas.

Il neo eletto presidente Andrés Manuel López Obrador, politico navigato a capo di Morena, un partito nuovo da lui guidato, ha iniziato a viaggiare per il Paese a proporre gli incontri di pacificazione sociale. Non poche proteste, da parte delle famiglie delle vittime di omicidi o dei desaparecidos, si sono levate contro questi meeting, mentre lo scambio droga-armi, tra Messico e Usa, rimane florido e vivace. La corruzione, soprattutto delle polizie locali, quelle dipendenti dai sindaci, parla di una forte alleanza basata sull’illegalità. Spesso gli universitari della capitale sono preda delle bande di teppisti che frequentano i campus. I ragazzi guardano avanti, al futuro, anche se i programmi di studio e i contesti sociali dei piccoli centri, li marginalizzano a rimanere chiusi in schemi superati.

La strada sarà sicuramente lunga e dura a partire da dicembre, quando López Obrador entrerà nel pieno dei suoi poteri. Nella ricorrenza del 2 ottobre ha solennemente annunciato che mai l’esercito potrà sparare contro una manifestazione. Sarebbe importante che mantenga la parola in un Paese dove sempre più spesso ci si uccide, dimenticando la Costituzione, i diritti della persona e le lezioni della storia.


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