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Cooperazione & Relazioni internazionali

Cute Project, i volontari che curano gratis le ferite da ustioni

L’associazione opera in vari paesi africani, formando personale locale, ma anche presso il Sermig di Torino dove segue soprattutto straniere con lesioni della pelle procurate in casa o prima dell’immigrazione

di Redazione

Cute in inglese vuol dire “carino”. In italiano, invece, è il termine tecnico per “pelle”. Un calembour che traduce il duplice scopo che anima i volontari di “Cute-project” di Torino. Questa associazione nata nel 2012 su iniziativa del presidente Daniele Bollero, chirurgo plastico, conduce diversi progetti umanitari in Africa, in particolare in Benin e Uganda e nei due Congo, volti sia alla cura delle persone che alla formazione del personale locale; mentre in Italia, oltre ad attività di raccolta fondi, gestisce un ambulatorio presso il Sermig dove esegue interventi di chirurgia plastica o di cura per chi non se lo può permettere, in gran parte persone straniere con lesioni della pelle e ustioni prevalentemente domestiche oppure procurate nel periodo precedente l’immigrazione.

Secondo l’Oms le ustioni provocano circa 180mila decessi all’anno, soprattutto di bambini, due terzi dei quali nei paesi in via di sviluppo, Africa e Sud Est Asiatico. «Parlare di emergenza forse è eccessivo, ma di certo le necessità sono numerose: due terzi dei pazienti che curiamo sono bambini», racconta Marta Cravino, medico di medicina interna e responsabile dei rapporti con il Banco Farmaceutico per l’associazione, appena tornata da un periodo di due settimane in Uganda. -«Rimangono ustionati anche gravemente perché cadono nel focolare, o si rovesciano addosso sostanze bollenti, come the o porridge».

Ma a volte le storie coinvolgono anche gli adulti: «Non posso dimenticare una giovane maestra africana, sfregiata volontariamente con acido per batterie», continua Cravino, «Dopo quattro anni di operazioni di chirurgia ricostruttiva, quest’anno era raggiante perché per la prima volta le faranno la carta d’identità, in quanto prima le cicatrici la rendevano irriconoscibile».

Qui si innesta la relazione con il Banco Farmaceutico: «Oltre a fornirci i medicinali», dice Cravino, «a volte mi chiama per propormi opportunità e chiedermi se ci servono farmaci specifici di cui è entrato in possesso. Una ricchezza enorme perché in Africa i medicinali adeguati scarseggiano. Quello che portiamo durante le missioni e che non utilizziamo resta ovviamente a disposizione, ma non è mai abbastanza».

Riguardo la formazione locale, Cravino racconta dell’infermiera Proxy in Uganda, «che lavora tutto l’anno in ospedale, curando i casi più gravi e organizzando l’attività in previsione della nostra prossima missione». E di Edris Kalanzi, primo chirurgo plastico del suo paese, che opera presso l’ospedale di Fort Portal dopo essersi formato anche a Torino presso il Maria Vittoria e il Martini, e ora collabora ancora attivamente con Cute Project, insegnando agli altri medici come curare le ustioni e le ferite e fornendo supporto in loco all’organizzazione delle missioni. «In Sudafrica c’è invece Evanthia», dice ancora il medico, «una terapista occupazionale a cui abbiamo fatto una formazione specifica per una tipologia di bendaggio».

Inoltre grazie ai fondi raccolti in Italia, in Benin è stato costruito l’ospedale Saint Padre Pio di N’dali dal gruppo missionario “Un pozzo per la vita” di Merano: «All’interno», dice Cravino, «stiamo cercando di costruire un centro permanente per la cura della pelle intitolato a Germana Erba, artista e fondatrice del liceo coreutico e teatrale presso il Teatro Nuovo di Torino».

Sono molti i volontari di Cute Project, «anche perché le necessità sono tantissime», conclude Cravino, «non soltanto dal punto di vista strettamente sanitario, ma anche da quello logistico, dai visti, ai viaggi, alla gestione dei container. Ma abbiamo bisogno di altri volontari, non soltanto medici, e anche di medicine, antibiotici per bambini, quindi in sciroppo, ibuprofene e paracetamolo. Qualunque aiuto è importante».


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