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Media, Arte, Cultura

I desideri che marciscono producono odio

L'open space come paradigma del vuoto morale. Nel suo ultimo libro, "Bontà", pubblicato da Einaudi, Walter Siti getta uno sguardo lucidissimo sull'unico salto di paradigma che il mondo della cultura sembra in grado di compiere: quello verso il niente

di Marco Dotti

Che cosa accade alle belle intenzioni, se le vie dell'inferno sono lastricate da un pezzo e di spazio libero, per i nostri buoni propositi, proprio non ce n'è più?

Deve pur esserci, da qualche parte, un cimitero per tutti i propositi non realizzati, per tutte le promesse andate in fumo, per tutto l'amore del prossimo che ha schiacciato il prossimo. Deve pur esserci per le buone intenzioni e per i desideri. Ma «i desideri che marciscono», scrive Walter Siti nel suo Bontà, «producono odio, il cielo d'Europa è un cielo di frustrazione». C'è poco da fare.

I desideri che marciscono producono odio, il cielo d'Europa è un cielo di frustrazione

Walter Siti

Racconto lungo o romanzo breve scritto su commissione, Bontà, da poco pubblicato per Einaudi Stile Libero è una boccata d'aria fresca, d'intelligenza e distacco. Parla di editoria e del suo micromondo che pullula di ego repressi che «usano la modestia come una clava».

Non è più il salotto o la terrazza romana, ma l'open space il luogo non luogo del nostro sotto zero intellettuale quotidiano.

La pagina d'apertura del lavoro di Siti è da mandare a memoria e riconcilia – almeno noi, modesti lettori – con una letteratura italiana che supplisce alla mancanza di spessore, stile e visione con una farlocca discesa in campo a favore dell'ultimo di turno (debitamente ricacciato indietro, quando cerca di risalire la china). Beati i primi, perché gli ultimi resteranno tali anche nel regno dei cieli.

Fare schifo è un atto politico: Ugo ci ripensa stando seduto sul water, a questa frase scritta con mano incerta e vernice bordò su una saracinesca di viale Monza (…) una di quelle frasi facili da capire e difficili da spiegare; soprattutto in una bella mattinata di primavera, nell'open space rimbombante come un alveare, dove l'unico riparo in muratura è il cesso – come se la sola cosa degna di essere protetta col segreto fossero gli spurghi. Non le creazioni o le idee, dio guardi; che anzi quelle devono mostrarsi sgargianti, bling bling, trasparenti agli occhi del Potere. Casa di vetro disegnata da un'archistar, innovativa e redditizia, in un orizzonte di pattume e detriti. Non mollare mai, non smettere di sperare, avere per limite l'infinito, chi ha fede nei sogni vince sempre; la luce in fondo al tunnel, la sintesi positiva, il salto di paradigma, ecco il compito della cultura in un momento complesso di transizione. Alla fine l'umanità troverà la strada migliore per vivere serena nell'universo, la tecnologia consentirà all'uomo di superare se stesso, solo non chiedeteci attraverso quali mutazioni; voi mantenetevi liberi, aperti ai cambiamenti, freschi come i fiori di pesco selvatico che tremano in giardino; even the death, perfino la morte sarà sconfitta. Contro i ritornelli dell'integrazione ottimista, sì, fare schifo è un atto politico, mio sconosciuto e strafatto writer, fratello mio

Walter Siti

Ugo, il protagonista, è un lavoratore meticoloso, preciso, chirurgico. Ma è soprattutto un poeta senza poesia che progetta un suicidio per procura e un grandioso finale d'epoca che, ovviamente, non andrà in porto.

Redazioni, start-up, hub. Tutto è open nel mondo dell'editoria che Ugo frequenta. Open, sì, ma l'apertura è verso il basso: sul vuoto. Il salto di paradigma, se c'è, è dentro il niente.

Solo chi vive fuori dalla legge, cantava Dylan, può permettersi la legalità. Per la bontà le cose non sembrano stare diversamente.


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