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Legge no slot del Piemonte: troppa confusione sui media

Un eccesso di allarmismo ha fatto prendere un abbaglio a molti, per la sentenza di un tribunale civile che sospende la multa a un esercente, chiedendo il parere della Corte Costituzionale sulla legge regionale di contrasto all'azzardo della Regione Piemonte. Facciamo il punto con il professor Maurizio Fiasco

di Maurizio Fiasco

È stata diffusa oggi la notizia che ha Torino una sezione del tribunale civile ha interrotto la procedura che impone a un esercente il pagamento della multa per violazione della Legge Regionale del Piemonte sulle distanze minime degli apparecchi automatici da gioco d'azzardo. Il giudice ha sospeso il procedimento e ha chiesto alla Corte Costituzionale di valutare se la normativa violi o meno il diritto alla libertà d'impresa. Il gestore di un locale aveva infatti mantenuto in funzione le slot machine a meno di 500 metri da scuole, chiese, ospedali e altri punti "intangibili". Ed era stato multato.

Rimettiamo le cose in fila. Dal primo di gennaio di quest’anno i Comuni piemontesi applicano la Legge regionale, provvedendo con i loro servizi ispettivi e di polizia locale a comminare le sanzioni a chi prosegua a far giocare d'azzardo laddove è divenuto proibito.

Gli spazi dove si accendono i display e risuonano i jingle delle slot machine si sono fortemente diradati, fino al punto che nei comuni più piccoli non ce ne sono affatto.

Quell’esercente che non aveva ottemperato alle limitazioni, e perciò era stato multato, si era opposto al pagamento in Tribunale. Sperando ovviamente che dal Palazzo della Consulta i giudici facciano decadere quel che la Regione Piemonte aveva deliberato oltre cinque anni fa. Fiducia molto labile, praticamente infondata, come saprà sostenere l’avvocatura della Regione.

La questione di legittimità, per l'ipotizzata violazione della "libertà d'impresa" con norme speciali rigide, venne risolta fin dal 1975 dalla stessa Corte Costituzionale. Con la sentenza 30 ottobre 1975, n. 237, Presidente Bonifacio – Estensore Amadei, affermò infatti che "non contrastano con l’autonomia e l’iniziativa economica privata quei limiti che a queste la legge ponga in funzione della utilità sociale e per impedire che possa derivarne danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, elementi con i quali mali si concilia, per gli aspetti che gli sono propri, il giuoco d’azzardo". Insomma, la Corte escluse oltre quarant’anni fa che l'azienda che esercita la vendita del gioco d'azzardo possa appellarsi al diritto di fare business riconosciuto nella Carta del 1948.

E’ difficile immaginare che nel XXI secolo il supremo organo di garanzia, nella sua attuale composizione, non confermi il dispositivo di quella sentenza. E non offra a sua volta alla Repubblica un altro “esempio di scuola”, qual venne da uno dei padri della Repubblica, Leonetto Amadei, e da uno dei migliori ministri della Giustizia (Francesco Paolo Bonifacio) che l'Italia abbia mai avuto nella sua storia.

Parimente è molto dubbio che, dal canto suo, la Regione Piemonte non mantenga la determinazione a difendere l'interesse pubblico alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. E questo in una stagione nella quale, finalmente, le ragioni della salute dei cittadini sembrano anteporsi al fine di lucro perseguito dall’impresa di gioco d'azzardo


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