Solidarietà & Volontariato

Quando Terzo settore e PA parlano la stessa lingua

In tutta Italia si stanno moltiplicando le esperienze di amministrazione collaborativa. Da Brescia e Bergamo, passando dalla Liguria fino a Grosseto, Latina e Bologna stanno innovando il welfare. Ecco come funzionano

di Sara De Carli

A Lecco sono stati pionieri: la prima gara europea di coprogettazione è stata fatta qui nel 2006, preceduta da una lunga storia di collaborazione tra Comune e Terzo settore, in particolare il consorzio Consolida. La Liguria ha messo la coprogettazione nella sua legge di riordino del Terzo settore già nel 2012, proceduralizzando i patti di sussidiarietà. Ferrara nel 2016 ha adottato un regolamento comunale sulla coprogettazione. A Latina hanno cercato di integrare la coprogettazione con le procedure del Codice dei Contratti, ad esempio con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Prima a Bologna e ora a Grosseto (con la Società della Salute, che riunisce diversi comuni) il servizio Sprar è stato coprogettato. In Italia sono diverse ormai le esperienze di coprogettazione fra Enti locali e Terzo settore: documentare queste pratiche collaborative, che stanno innovano il welfare, è una prima risposta alla sfida lanciata dal recente parere del Consiglio di Stato che di fatto imporrebbe che tutti gli interventi sul welfare venissero sottoposti a gara.

Nessun inciucio
Cristina Offredi è presidente del consorzio Solco Città Aperta di Bergamo, che fin dal 2010 ha esperienze di coprogettazione sia in città e sia sull’ambito territoriale di Dalmine. La prima cosa da chiarire, precisa, «è che tutto avviene nel rispetto della trasparenza amministrativa e dell’evidenza pubblica. La procedura di affidamento è una gara a cui partecipano solo cooperative sociali: il soggetto però viene valutato nella sua capacità imprenditiva, proattiva e di innovazione della specifica politica sociale del bando», spiega. L’aspetto qualificante «è che la proposta progettuale viene discussa prima dell’affidamento e poi ridiscussa continuamente all’interno della cabina di regia. C’è uno scambio di competenze fra operatori della Pubblica amministrazione e del Terzo settore. E ad ogni nuova coprogettazione, la rete si allarga un po’»: a Bergamo per esempio il servizio di sostegno domiciliare agli anziani aveva una natura molto prestazionale, con una figura ausiliaria che andava a casa per l’igiene della persona e un piccolo aiuto domestico, mentre con la coprogettazione l’intervento si è trasformato in un lavoro sulla coesione sociale del quartiere, con i custodi sociali e la costruzione di una rete di volontari. A Brescia è in corso una complessiva riorganizzazione dei servizi sociali della città: «Sono stati censiti 213 soggetti che gestiscono 700 unità di servizio. Il Comune è uno di questi soggetti e gestisce 40 servizi attivando risorse che coprono il 20% di quanto è necessario per il funzionamento del welfare cittadino», ricorda Felice Scalvini, che da pochi mesi ha terminato il suo mandato da assessore al welfare.

Negli ultimi due anni e mezzo a Brescia una quindicina di servizi sono stati accreditati senza appalto, passando invece per il “Consiglio di indirizzo del welfare cittadino”. «Il Comune non è più il soggetto che eroga servizi andando ad acquistare manodopera dal Terzo settore con gare al massimo ribasso, bensì l’animatore e il coordinatore delle risorse del territorio», sintetizza Scalvini. Graziella Benvenuti è direttore del Consorzio Intercomunale Servizi Socio-Assistenziali di Caluso (Cissac), nel Canavese. Fino a un anno e mezzo fa lei non conosceva la coprogettazione ma aveva esperienza del lavoro faticoso sui territori: «Si cercava la collaborazione, ma lo strumento finale era sempre l’appalto, magari vinto da una realtà distante 800 chilometri. Le colleghe si lamentavano, io rispondevo che gli strumenti che ave vo erano quelli del Codice degli Appalti», ammette. Invece «ho scoperto che c’è un altro “armadio” di strumenti amministrativi, su cui però nessuno di noi è formato. Questo ci ha galvanizzato». Insieme ad altri enti gestori che operano sull’Asl TO4, il Cissac ha fatto un avviso pubblico di manifestazione di interesse per il bando WeCaRe (Welfare Cantiere Regionale): la coprogettazione inizia ora e le realtà che coprogetteranno poi gestiranno gli interventi. «Non è “fare inciuci” con le cooperative: è lavorare meglio e anche disegnare servizi migliori, ammettendo che i servizi non sono i depositari del sapere», spiega Benvenuti.

In Liguria la coprogettazione si declina nella forma dei patti di sussidiarietà, con almeno una cinquantina di esperienze già realizzate. «Il punto di partenza è il riconoscimento della funzione sociale pubblica delle formazioni sociali di Terzo settore, che peraltro finanziano almeno il 30% del valore del progetto», precisa Valerio Balzini, segretario generale di Confcooperative Liguria. I patti di sussidiarietà «non sostituiscono gli appalti, gli accreditamenti e i bandi; la loro finalità è rispondere a un bisogno, non gestire un servizio». Le peculiarità? «Spostare l’ottica dalla competizione alla collaborazione, coinvolgendo 70/80 soggetti. La competizione nel welfare non è di per sé garanzia di qualità, spesso vince il progetto scritto meglio. La collaborazione invece, basata sul fatto che ognuno fa il pezzetto che sa fare, tira fuori il meglio di ciascuno. Nell’appalto la logica è escludere gli altri, il patto di sussidiarieà invece è aperto e aggregativo».

Il nodo del Codice Appalti
Un grande esperto di rapporti tra Pubblica amministrazione e Terzo settore è l’avvocato Luciano Gallo. Per lui la coprogettazione ha due importanti plus: «la risposta è più ricca perché il progetto viene implementato attraverso il lavoro del tavolo, con apporti di natura diversa e varia. In secondo luogo, la possibilità di risedersi al tavolo consente di risolvere tutte le problematiche operative che insorgono». Certo, bisogna capire come integrare il Codice del Terzo settore con il Codice degli Appalti («le prossime linee guida dell’Anac saranno decisive», dice Gallo) ma anche come interagiscono con la normativa nazionale le varie leggi regionali. Eppure c’è uno «spirito nuovo» che «non dobbiamo disperdere».


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