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Quelli che il REI preferiscono farselo sospendere

A Palermo su 15mila Carte REI attivate, solo 8mila sono al momento collegate a un piano personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa. Dopo sei mesi, l'Inps sospende l'erogazione dei soldi. Ma all'invito a presentarsi per stendere il progetto hanno risposto soltanto in 150. Gazzi (CNOAS): «L’idea di un progetto condiviso con la persona è l’unica strada oggi conosciuta per affrontare le situazioni di povertà»

di Sara De Carli

Non stupisce del tutto, dal momento che il piano personalizzato che nel Reddito di Inclusione affianca l’erogazione monetaria è la vera novità della misura. Una novità per i servizi, che richiede un lavoro di équipe non indifferente, che introduce un cambio di prospettiva importante e che rende il REI una misura attiva per l’uscita dalla povertà. Non sorprende del tutto ma i numeri sono impressionanti.

A Palermo su 15mila Carte REI attivate, solo 8mila sono al momento collegate a un piano personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa, volto – come dice la legge – al superamento della condizione di povertà e predisposto sotto la regia dei servizi sociali del Comune. La spiegazione c’è: solo per il 2018 era previsto che il beneficio economico partisse anche prima della sottoscrizione del progetto, per un periodo massimo di 6 mesi. Lo si sapeva, far partire la macchina non era uno scherzo (dal 2019 invece chi presenta la domanda non avrà attivata la Carta se prima non fa il colloquio con i Servizi). Il fatto è che i sei mesi ora sono trascorsi e il beneficio economico rischia di essere sospeso. Il Servizio Sociale di Comunità di Palermo così ha invitato le famiglie a prendere appuntamento per i colloqui per la predisposizione del progetto sociale: a presentarsi sono stati soltanto in 150. A darci i dati, Carla Maria Carollo, referente per il REI del Coordinamento Servizio Sociale di Comunità-Contrasto alla Povertà.

«Molti preferiscono che l’Inps sospenda la carta piuttosto che avere a che fare con i servizi sociali. C’è un forte pregiudizio nei nostri confronti, anche alimentato dai media, oppure hanno qualcosa da nascondere, magari lavorano in nero e questo se parte il progetto emergerebbe»: così spiega Carla Maria Carollo, assistente sociale, referente per il REI del Coordinamento Servizio Sociale di Comunità-Contrasto alla Povertà.

Inizialmente – ricorda Carollo – il Servizio Sociale di Comunità dava automaticamente l’appuntamento per il colloquio per l’analisi preliminare «ma poi ci siamo accorti che aver fatto questo colloquio prima di sapere se la domanda fosse stata accettata dall’Inps o meno, generava aspettative nelle persone. Così abbiamo cambiato: le persone potevano prenotarsi solo dopo che noi avevamo caricato le liste delle domande accolte». Che è successo a quel punto? Qualcuno non ha capito, qualcuno si è dimenticato… di fatto i colloqui non sono stati fatti. E adesso chi ha ricevuto il beneficio REI per la prima volta nei mesi di marzo, aprile, maggio e giugno 2018 rischia di vedersi sospesa la Carta. Ad alcuni anzi è già stata sospesa.

La possibilità di caricare i progetti – spiega ancora Carollo – è partita solo a fine giugno e si tratta di un lavoro enorme. Là dove c’è bisogno solo di una progettazione più leggera, legata essenzialmente al lavoro, le persone devono fare non un progetto personalizzato ma il Patto di servizio, in capo ai Centri per l’Impiego, che però danno appuntamenti tra un anno». Per di più, aggiunge, l’Inps non ha ancora attivato il tasto per i controlli: «ci sono una serie eventualità, se le persone non vengono al secondo colloquio è prevista una decurtazione dell’importo, se non vanno al Centro per l’impiego un’altra… Ma non c’è il tasto per segnalarlo».

Ma quanto è importante questo progetto personalizzato? «È importantissimo perché altrimenti richiamo di avere uno strumento puramente assistenziale. Anche rispetto ai lavori socialmente utili, chi li “inventa”? Meglio le borse lavoro, il far fare esperienze, il vedere chi è veramente disponibile a fare un percorso, il lavorare anche sulla formazione… circa il 25% degli adulti beneficiari del REI non ha la licenza media». Avviare il REI è stato per i territori «uno sforzo enorme», conferma Carollo, «anche perché non è stato ancora assunto il personale a supporto del REI previsto dal PON Inclusione, per il momento abbiamo ampliato le ore del personale part time. Però abbiamo acquisito competenze che non avevamo e nel 2019 potremmo giocarcele appieno. A breve partiranno i servizi educativi domiciliari, stiamo firmando i patti di accreditamento e a gennaio partiranno le borse lavoro. Avere un rapporto più diretto con i CPI sarebbe certamente positivo e lo avevamo in mente, nei CPI con il PON Inclusione devono entrare 600 persone, se ci fossero ulteriori risorse sarebbe ottimo. Buttare tutto per ricominciare da zero sarebbe un peccato, pur essendo consapevoli che questa è una scelta politica».

«Tutti noi sapevamo benissimo che lavoro avrebbe comportato l’avvio di una misura di questo tipo, tant’è che sono stati previse risorse per rinforzare i servizi sociali territoriali», commenta Gianmario Gazzi, presidente dell’Consiglio Nazionale dell'Ordine Degli Assistenti Sociali. «Confermo la necessità di non smantellare il processo avviato, sembra peraltro che il legislatore sia intenzionato a non togliere i fondi per i servizi ma anzi a proseguire nel loro rinforzo, una scelta che apprezziamo. Siamo anche consapevoli che negli anni si è fossilizzato uno stereotipo sui servizi e da tempo come Ordine stiamo lavorando per ridurre questa visione che le persone hanno nei confronti dei servizi del territorio. Va sottolineato il fatto che i due temi dell’infrastrutturazione e dello stereotipo sui servizi sono legati, perché servizi inefficienti e poco strutturati non possono certo farsi carico di tutte le esigenza che arrivano da un territorio. L’auspicio è che con il reddito di cittadinanza, su cui siamo convinti si potrà lavorare tutti assieme, si riuscirà a intervenire sia sulla parte di politiche attive del lavoro sia sui servizi, perché sappiamo – anche a livello politico c’è consapevolezza di ciò – che la povertà e l’esclusione sociale sono situazioni multidimensionali, nessuno di noi ritiene di poter affrontare la povertà in una logica di solo trasferimento economico o senza un supporto sia sociale sia lavorativo. A noi come categoria interessa sostenere le persone, al di là delle questioni nominalistiche: sostenerle attraverso risorse che siano sì monetarie ma prevalentemente quelle di un accompagnamento verso una emancipazione dalla difficoltà legata magari anche a un periodo di crisi personale. L’idea di un progetto condiviso con la persona è l’unica strada oggi conosciuta per affrontare le situazioni di povertà».

Photo by Tomas Anton Escobar on Unsplash


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