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La solidarietà batte il razzismo: siamo tutti con Fara

Ondata di solidarietà nei confronti della ragazza eritrea diciannovenne sbarcata nella notte tra sabato e domenica a Pozzallo e aggredita verbalmente da alcune mamme italiane in ospedale mentre andava a trovare la figlia di soli 15 giorni, partorita in un centro di detenzione in Libia. Il sindaco e l’ex direttrice dell’hotspot di Pozzallo le hanno fatto visita, portando un’orchidea alla madre e giocattoli per la neonata. E sul Web tra donazioni di ovetti e passeggini c’è chi le vorrebbe adottare

di Alessandro Puglia

A quelle mamme che nel reparto di neonatologia dell’ospedale Maria Paternò Arezzo di Ragusa le hanno urlato frasi del tipo: “vattene via”, “porti malattie”, “tua figlia ha un virus è inaccettabile che stia qui”, verrebbe da dire guarda con chi te la stai prendendo. Perché la giovane A., nota come Fara, giovane eritrea di soli 19 anni sbarcata sabato scorso a Pozzallo, quel “fagottino gracile” di soli 15 giorni l’ha partorito non in una clinica o in un letto di ospedale, ma in una prigione in Libia, senza medici o infermieri, e con altre donne che quel parto non sono riuscite a portarlo a termine. La piccola M. non è stata infatti la sola neonata nello sbarco dei 263, in gran parte eritrei, di sabato scorso. C’era anche un’altra neonata, orfana, arrivata con lo zio o un cugino perché la madre pare proprio che sia morta proprio nello stesso lager libico dove ha partorito Fara.

Basterebbe soltanto il racconto di questa nascita difficile alla giovane eritrea per meritarsi una carezza o una parola di conforto dalle altre mamme italiane che invece l’hanno aggredita, allontanata, spaventata tanto da aver reso necessario l’intervento dei carabinieri per placare gli animi. «Quando abbiamo soccorso la piccola abbiamo notato delle crosticine di sangue e che la neonata non era ancora stata lavata. Abbiamo chiesto alla madre da quanto tempo avesse partorito e lei in inglese ha rispoto “15 days”, 15 giorni, e così abbiamo capito che la bimba era nata pochi giorni prima della partenza in Libia», racconta Angelo Gugliotta, responsabile della Misericordia di Modica. Prima dell’episodio di razzismo l’associazione di volontariato cattolica tramite la sua pagina Facebook aveva lanciato una gara di solidarietà nei confronti del “fagottino” appena sbarcato, come ama ripetere Gugliotta.

E un gesto di solidarietà può sconfiggere un’ondata di razzismo. Dal numero della Misericordia di Modica risponde Rossana: «C’è una grandissima mobilitazione, chi vuole donare l’ovetto o il passeggino, chi pannolini, tutine, corredi, altri la vorrebbero persino adottare. Non appena la bimba sarà trasferita in un centro di accoglienza porteremo a tutto ciò che abbiamo raccolto». L’ospedale Maria Paternò di Ragusa fa sapere invece che ci sarà una stanza dove mamma e figlia potranno stare insieme, mentre il sindaco di Pozzallo Roberto Ammatuna insieme ad Emilia Pluchinotta, ex direttrice dell’hotspot e responsabile della protezione civile di Pozzallo, sono andati immediatamente a fare visita a Fara donando un’orchidea alla madre e un giocattolo da appendere alla culla per la piccola.

«Inizialmente era diffidente, ma poi da uno sguardo ha capito che eravamo lì per dimostrarle l’affetto della nostra comunità, ha sorriso e l’abbiamo abbracciata», racconta Emilia Pluchinotta che in quel virtuoso luogo di accoglienza dell’hotspot di Pozzallo storie come quella di Fara ne ha incrociate tante.

La giovane eritrea dopo l’aggressione è rientrata all’hotspot, era spaventata e non capiva perché quelle altre mamme ce l’avessero così tanto con lei. Insieme agli altri 263 migranti sbarcati sabato notte Ester in Libia ha vissuto l’inferno, uno, due anni di detenzione, secondo quanto accertato dalla squadra mobile di Ragusa. Non si esclude che la neonata sia proprio frutto di una violenza subita, come quasi sempre accade alle donne detenute il Libia prima e dopo il momento della partenza.

Sull’accaduto è intervenuta Emma Bonino che sulla sua pagina Facebook ha scritto: «Fara, donna eritrea di 19 anni, l'abbiamo conosciuta nella giornata contro il femminicidio e subito ne è diventata uno dei simboli più attuali: sbarcata a Pozzallo, con una neonata di pochi giorni che ha fatto nascere da sola in un campo libico dove è stata rinchiusa per mesi, violentata e abusata. Leggiamo che Fara è stata oggetto di una vergognosa aggressione nel reparto di neonatologia dell'ospedale di Ragusa dove è ricoverata la sua bambina. A urlarle di andarsene perché colpevole di "portare le malattie" un gruppo di mamme con i propri figli ricoverati lì, esattamente come Fara. Di fronte a tutto ciò non possiamo non sentire l'obbligo di reagire e provare a fermare quest'ondata di odio e xenofobia che sta pervadendo il nostro Paese, cominciando a denunciare pubblicamente ogni episodio, più o meno grave, di cui si ha notizia, e a chiedere conto di questa terribile trasformazione a cui stiamo assistendo a chi è politicamente responsabile di continuare a diffondere toni e argomenti di pura propaganda, soffiando sul fuoco dell'intolleranza e della guerra sociale».

A chiedere scusa per conto della comunità cristiana Ragusana è stato il vescovo di Ragusa, Monsignor Carmelo Cuttitta: «Una donna eritrea, che si temeva, per il solo colore della sua pelle, potesse contagiare chissà quali malattie agli altri bambini, mi induce a chiedere scusa perché ad agire sono stati ragusani, sicuramente battezzati che magari si professano cristiani. E allora spetta anche al vescovo chiedere scusa perché l'umanità non ha colore, perché siamo tutti figli dello stesso Padre, perché non possiamo professarci cristiani e poi assumere comportamenti che negano il Vangelo».

Care mamme di Ragusa, forse anche voi dovreste chiedere scusa a Fara e darle un abbraccio.


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