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Il raddoppio non c’è: 4mila assunzioni nei Centri per l’Impiego

L'emendamento presentato dai relatori in Commissione Bilancio prevede per il 2019 l'assunzione di 4mila addetti nei centri per l'impiego: gli operatori salirebbero così da 8mila a 12mila circa. Con altri emendamenti si stabiliscono nuove regole transitorie per i medici palliativisti e si stanziano 400mila euro per il registro nazionale delle DAT

di Sara De Carli

Fra gli emendamenti presentati da Governo e relatori alla legge di bilancio ce n’è uno che autorizza l’assunzione nel 2019 di 4mila nuovi operatori nei Centri per l'impiego (emendamento 21.86). Gli oneri derivanti dal reclutamento di questo contingente di personale sono stimati in 120 milioni di euro per l'anno 2019 e 160 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020: i 120 milioni di euro per l'anno 2019 verranno dalle risorse destinate dalla legge di bilancio stessa al potenziamento del centri per l'impiego mentre per gli anni successivi i 160 milioni di euro annui verranno direttamente dal Fondo per il reddito di cittadinanza.

A luglio un comunicato del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali annunciava come «il primo step della riforma, essenziale anche per l’introduzione del reddito di cittadinanza, è quello di aumentare il numero di operatori impegnati nella attività svolte dagli uffici, procedendo subito ad assunzioni su tutto il territorio nazionale, con l’obiettivo di arrivare a raddoppiarne a breve il numero di cui oggi dispongono. Un obiettivo raggiungibile grazie alle risorse che il Governo si appresta a stanziare in bilancio, sin dalla prossima manovra da portare in Parlamento»: l’aspettativa quindi era di un raddoppio di addetti in legge di bilancio. Per Di Maio, questi nuovi addetti «servono per far sì che i centri per l'impiego diventino una opportunità per i giovani e non una umiliazione: non più un muro di gomma che respinge i disoccupati ma finalmente uno strumento per reinserire lavorativamente le persone» dal momento che – scriveva sempre il Ministero – «nella situazione attuale, solo il 2% si rivolge a loro [i centri per l'impiego]».

Secondo il Monitoraggio sulla struttura e il funzionamento dei servizi per il lavoro 2017 (Anpal) nel complesso nei Cpi, eccetto la PA di Bolzano, risultano essere operative 7.934 unità, di cui l’83,5% opera in front office. Il raddoppio significherebbe quindi avere circa 16mila addetti, contro i circa 12mila a cui invece si arriverebbe con questo emendamento. È la richiesta che anche le Regioni avevano fatto. Nel 2018 in realtà, dovrebbero essere state assunte altre 1.600 persone in base alla Legge di Stabilità 2018 che prevedeva già poi un primo rafforzamento dei centri per l’impiego utilizzando risorse UE per l’assunzione di 1.600 unità di personale di cui 600 dedicate alla gestione delle misure per l’inclusione attiva e al reddito di inclusione (Rei).

Fra gli emendamenti presentati ieri dal Governo non c’è l’annunciato “pacchetto famiglia”. Ci sono invece un emendamento (il 42.036) che stanzia 400mila euro annui per la manutenzione e gestione del sistema per la creazione di una banca dati destinata alla registrazione delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) e uno (il 41.18) che definisce nuove regole transitorie per i medici palliativisti: «sono considerati idonei a operare presso le reti, pubbliche o private accreditate, dedicate alle cure palliative medici sprovvisti dei requisiti di cui al decreto del Ministro della salute 28 marzo 2013 [….] e che alla data di entrata in vigore della presente legge sono in servizio presso le reti medesime e sono in possesso di tutti i seguenti requisiti, certificati dalla regione competente: a) esperienza almeno triennale, anche non continuativa, nel campo delle cure palliative acquisita nell'ambito di strutture ospedaliere, di strutture residenziali appartenenti alla categoria degli hospice e di unità per le cure palliative (UCP) domiciliari accreditate per l'erogazione delle cure palliative presso il Servizio sanitario nazionale; b) un congruo numero di ore di attività professionale esercitata, corrispondente ad almeno il 50 per cento dell'orario previsto per il rapporto di lavoro a tempo determinato, e di casi trattati; c) acquisizione di una specifica formazione in cure palliative conseguita nell'ambito di percorsi di educazione continua in medicina, ovvero tramite master universitari in cure palliative, ovvero tramite corsi organizzati dalle regioni per l'acquisizione delle competenze».

Foto Dương Trần Quốc/ Unsplash


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