Media, Arte, Cultura

Quando il fondatore non c’è più

Luigino Bruni con un nuovo libro affronta una questione cruciale per tante organizzazioni comunitarie: come non restare prigioniere delproprio passato. E come alimentare un nuovo Capitale narrativo

di Giuseppe Frangi

Questo è un libro di cui c’era un grande bisogno. La nuova pubblicazione di Luigino Bruni, che raccoglie un percorso organico di interventi pubblicati su Avvenire, è davvero un libro necessario perché affronta una delle questioni cruciali per le grandi organizzazioni comunitarie, sociali o religiose che siano, nate e cresciute sul carisma di un fondatore: come ci rapporta con questo “capitale” una volta che il fondatore non c’è più? Come non si resta vittime di quella che Bruni ribattezza “sindrome parassitaria”? La scommessa è la capacità di generare nuovo “Capitale narrativo” (che è il titolo del volume, edizione Città Nuova, 13 euro). La diagnosi che Bruni traccia nelle prime pagine è precisa e frutto di tante esperienze incontrate e vissute in diretta. «Si continuano a raccontare le prime storie, con lo stesso linguaggio, con le stesse parole che non affascinano più nessuno», scrive Bruni. Così se le prime narrazioni erano capaci di attrarre persone disposte a dedicare la vita per quell’ideale condiviso, ora queste narrazioni appoggiate al passato «non selezionano più vocazioni ma simpatizzanti».

La conseguenza è che «quando le radici sono lette come passato, scatta quasi ineluttabile, la trasformazione in mummia del capitale narrativo dell’origine». La differenza sta nel leggere il capitale di famiglia, cioè il carisma, come uno scrigno in cui custodire gelosamente i gioielli di famiglia, o invece come un seme, quindi come qualcosa di vivo che morendo porta frutti. C’è da combattere anche contro una tentazione puritana, in base alla quale si esclude che l’eredità dei fondatori contenga sia grano che gramigna. Invece qualsiasi carisma cresce e si afferma se non ha il timore della contaminazione con l’erba del vicino.

E la narrazione cosa c’entra in tutto questo? È fondamentale perché è il termometro di un’esperienza che continua e non di una semplice riproposizione. Bruni su questo sottolinea una degli errori più frequenti e anche più drammatici: «Si pensa che la parte vera e buona del capitale narrativo si trovi nei suoi elementi più spettacolari e sensazionali, e quindi si strappano via le componenti più sobrie, semplici, povere, ordinarie». In sostanza si fa il contrario di quello che è invece accaduto nella narrazione della vicenda di Gesù: «Nell’abbondanza di racconti straordinari proposti ad esempio dai Vangeli apocrifi, le prime comunità scelsero di “sacrificare” gli aspetti più spettacolari, per salvare invece la novità della storia, capace di generare presente e futuro».
Sono tantissime le intuizioni contenute nel libro, frutto di uno spirito di osservazione libro da timori e da prudenze. Sono interessanti le pagine in cui Bruni analizza come tante volte accada che l’ideale decada in ideologia: è il passaggio dal “credere” a un ideale al “dirsi di credere”. L’ideologia, dice Bruni, è una malattia grave e diffusa in quelle che lui ribattezza Organizzazioni a movente ideale: «L’ideologia è la nevrosi dell’ideale, come l’idolatria è la nevrosi della fede».

E quale può essere un aiuto a non scivolare per questa china? Bruni lo identifica in un lavoro culturale concepito non come traduzione di una realtà già esistente, ma come uno svelamento, anche coraggioso, di novità che prima non si vedevano. Presupposto di questo lavoro è una libertà, che accetti anche il rischio di eresia e di tradimento. Solo attraverso un’esperienza di libertà è possibile che si rigeneri una novità.
Anche la conclusione del percorso che Bruni compie nel libro è a tutti gli effetti liberante. Infatti sottolinea come le dinamiche più positive all’interno delle organizzazioni che vivono il lutto e la fatica della transizione nella mancanza del fondatore, sono quelle originate dall’iniziativa di singoli, che non si sono preoccupati di formare correnti o di aggregare consensi, ma che si sono mossi sulla spinta di una ritrovata autenticità consapevole.


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