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Solidarietà & Volontariato

Sanda, la migrante italiana diventata Giovane Volontaria Europea 2018 di Focsiv

26 anni, nata in Belgio da un papà bergamasco e da una mamma belga congolese, ha diviso la sua vita tra Italia, Belgio, Sudan, Rwanda e Burundi. «Grazie al Servizio Civile ho capito che spenderò la mia vita nella cooperazione. Un mondo quello dei migranti che mi ha sempre attirato perché anch'io sono una migrante, anche se non vengo discriminata»

di Lorenzo Maria Alvaro

Sanda Vantoni ha 26 anni. È Nata in Belgio da un papà italiano, più precisamente bergamasco, e da una mamma belga nata in Congo. «Sanda è un nome romeno di cui si è innamorato mio papà quando ha lavorato in Romania, Paese che ha amato molto». Da anni la sua famiglia risiede a Sorisole in provincia di Bergamo, Sanda tuttavia considera la sua casa il mondo «che non significa che non mie senta italiana ma mi solo che mi sento a casa nei posti in cui sono stata bene, che sono tangti».

«Da sempre sono molto legata all'Africa, grazie al lavoro di mio padre, che è tecnico Alcatel. Ho trascorso tutta l'infanzia tra Sudan, dove ho frequentato le scuole inglesi, Rwanda e Burundi dove ho trascorso le vacanze dagli zii», spiega Vanda.

Rientrata in Italia e finito il liceo scientifico, Sanda ha proseguito il suo percorso di studi scegliendo la Facoltà di Sociologia con una specializzazione sulle Migrazioni trasferendosi in Belgio, ha poi frequentato L'Università di Montreal in Canada e successivamente, nell’ambito del Master Erasmus Mundus, quelle d’Irlanda, Spagna e Olanda.

Infine la Tesi di Laurea sulle migrazioni internazionali, «che era incentrato sul comprendere l’influenza delle famiglie sulla migrazione di ritorno nei luoghi d'origine. Sono a tutti gli effetti una migrante ma non sono mai stata definita in questo modo. Quindi ero interessata dal capire come succede questo fenomneo dell'eslcusione». Gran parte delle interviste realizzate per la Tesi erano a persone che per propri motivi o per scelta oppure per costrizione tornavano al proprio paese d'origine: il Marocco.

Dopo la Laurea è stata assunta a Barcellona in una società di progettazione dei droni, un lavoro che dopo i primi sei mesi poteva diventare stabile, ma ha deciso che quella non era la sua strada ed è tornata a Sorisole. «I miei studi mi sono piaciuti tantissimo, quindi avevo capito che fosse la mia strada. Però appena laureata mi offrirono questa che era un ottima opportunità, così ho deciso di provare. Ma ho capito subito che ra stato un errore. Io volevo fare del volotariato il mio lavoro a tempo pieno. Io voglio fare la cooperante».

Dopo poco è andata a trovare una amica impegnata nel volontariato in Nepal e tornata in Italia si è candidata al bando di Servizio Civile nel progetto FOCSIV “CASCHI BIANCHI: Marocco 2017” ed è partita per il Marocco con il CEFA.

È lei la vincitrice del Premio Giovane Volontario Europeo FOCSIV 2018 che è stato celebrato nel suo 25esimo anniversario e che è stato consegnato alla ragazza a pochi giorni dalla Giornata Mondiale del Volontariato che si celebra il 5 dicembre. «È stato uno shock. Non mi aspettavo di vincere. È un grande onore e una responsabilità gogantesca perché oggi rappresento tutti i giovani che fanno queste esperienze. Voglio essere sicura di rappresentarli al meglio».

«Sono arrivata in Marocco lo scorso novembre e in questo anno ho prestato il mio servizio Civile promuovendo l’inclusione sociale, garantendo la dignità ed il sostegno alla popolazione migrante in situazione di vulnerabilità, per prevenire i fondamentalismi e i radicalismi di ogni genere, in un'area dove molti giovani non trovano lavoro e sono possibili vittime di condizionamenti», racconta. Per realizzare queste finalità ha collaborato con i rimpatriati volontari sostenendoli con l'avvio di piccole cooperative e piccole attività economiche. «Grazie al gruppo teatrale “Cantieri Meticci” di Bologna abbiamo coinvlto le persone locali nel teatro dove mescolando le lingue, il ballo, i racconti si sono superate le barriere della diffidenza verso l'altro», aggiunge la volontaria.

«Era un Paese che conoscevo già dal punto di vista culturale. Sapevo della loro accoglienza. € stata una scoperta dal punto di vista del lavoro. Ho avurto l'opportunità con persone che hanno fatto percorsi migratori e capire il loro pensiero su tematiche che mi stanno a cuore. Queste sono eprsone che hanno uno sguardo sul mondo molto matura», racconta Sanda.

Il Marocco infatti, dopo essere stato per molto tempo, una terra di emigrazione e di transito per i migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana, da qualche anno è diventato un Paese di stanziamento e un polo di attrazione migratoria. Inoltre, è aumentato anche il fenomeno dei migranti marocchini di ritorno che sono spinti a percorsi di rientro a causa della crisi economica europea. Questi ultimi insieme ai migranti sub sahariani e ai giovani delle periferie, tra i 15 e i 29 anni, che spesso si trovano in condizione di grave esclusione sociale ed economica, sono tra le categorie sociali più vulnerabili di tutto il Paese.

Il progetto di impiego di servizio civile nella sede di Rabat, con attività che si sono sviluppate gradualmente anche nei territori di Oujda, città di circa 500mila abitanti al confine con l'Algeria, integra l’impegno promosso dal CEFA attraverso diversi progetti di cooperazione internazionale su un ampia fetta di territorio marocchino, fino alle pianure dell'interno, note per essere state dei bacini di provenienza di numerosi giovani partiti per combattere nelle fila del Daesh, dove il lavoro del CEFA va a contrastare tali derive.

Il progetto di servizio civile in cui ha collaborato Sanda ha come fine quello di ridurre l’esclusione sociale, culturale ed economica dei migranti, tra questi i marocchini di ritorno ed i subsahariani, e delle fasce più deboli della popolazione locale, con un'attenzione maggiore verso i giovani e le donne. Là ove si interviene, soprattutto, si sta creando dei modelli di sviluppo inclusivo in grado di favorire l’integrazione e di prevenire qualsiasi forma di radicalizzazione. «Abbiamo creato percorsi per la realizzazione di start up di piccole imprese in grado di garantire un reddito minimo di sussistenza ai migranti di ritorno e si creano reti famigliari e reti di migranti di ritorno per la costituzione di un paracadute sociale per i migranti di ritorno e le loro famiglie, coinvolgendo le istituzioni, le scuole e le famiglie stesse», aggiunge Vanda.

«La mia esperienza in Marocco mi ha permesso di operare uno dei modi di realizzare una vera autonomia delle persone che incontriamo. Ma ci sono tanti altri modi che si possono usare. Penso che passerò tutta la vita ad occuparmi di questo». conclude Vanda.


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