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Quanti sono gli omicidi commessi con armi detenute legalmente?

Presentata a Roma “Sicurezza e legalità: le armi nelle case degli italiani”, indagine sugli omicidi commessi con armi legalmente detenute. Dal 2007 al 2017 solo il 5% degli omicidi è commesso con armi legalmente detenute. Tra questi, solamente il 2,45% si è verificato per eccesso di difesa, mentre il 68% è un omicidio familiare

di Marco Dotti

È stata presentata oggi all'Università La Sapienza di Roma la prima ricerca italiana sugli omicidi commessi con armi legalmente detenute, dal titolo Sicurezza e legalità: le armi nelle case degli italiani. Il fine dello studio è quello di verificare la consistenza del fenomeno, raccogliendo dati certi e analizzandoli, per comprendere i meccanismi che vi sono alla base e determinare le strategie per innalzare eventualmente il livello di sicurezza.

«Nonostante le accese polemiche a riguardo – commenta il professor Paolo De Nardis, curatore della ricerca – solo il 2,45% degli omicidi oggetto della nostra analisi scientifica si è verificato per eccesso di difesa. Un dato che ridimensiona la discussione sulla difesa legittima e che riguarda in realtà pochissimi casi».

I dati raccolti della ricerca riguardano 11 anni, dal 2007 al 2017, e raffigurano un fenomeno limitato: solo il 5% circa degli omicidi è commesso con armi legalmente detenute, e di questi circa il 12,28% è costituito da atti di eutanasia, realizzati con l’intento di alleviare le sofferenze della vittima.

La «mancanza di posti letto nelle strutture di lungodegenza, la carenza dell’assistenza domiciliare ad anziani e malati cronici, la scarsa integrazione tra servizi sociali e sanitari, il ritardo nell’attuazione della normativa sulla terapia del dolore e le cure palliative, l’inadeguatezza del sistema sanitario nel trattare chi non può guarire: sono tutte criticità che possono portare, e spesso portano, a livelli di sofferenza che possono facilmente essere considerati intollerabi» sono, ancor prima che concause, spie e indicatori di un problema allargato che coinvolge a pieno le grandi aree di intervento della sussidiarietà.

Dalla ricerca apprendiamo inoltre che il 68% degli eventi è un omicidio familiare, e in quasi la metà dei casi l’uccisore si è suicidato.

La ricerca ha messo in luce che in oltre il 45% dei casi erano presenti delle criticità che avrebbero potuto far immaginare il pericolo di un omicidio: nel 5,6% dei casi l’uccisore era stato fatto oggetto di denunce o di diffide di pubblica sicurezza, e in un caso anche di un TSO.

Nel 22% dei casi l’omicida ha tenuto dei comportamenti indicativi (maltrattamenti, atti di violenza fisica o verbale, etc.) mentre in oltre il 15% dei casi mostrava problemi psicologici rilevanti (depressione, paranoia, etc.). Da non sottovalutare le difficoltà economiche, presenti in oltre il 15% dei casi, che sono state talvolta l’elemento scatenante di eventi particolarmente sanguinosi.

Un importante elemento di novità e sicuramente contro intuitivo è costituito dal fatto che tra i detentori di armi il numero degli omicidi è più basso del 20% rispetto alla popolazione generale, e al recente aumento delle licenze di porto d’armi ha corrisposto una diminuzione degli eventi.

«Il sistema di controllo dei detentori è evidentemente efficace – ha concluso De Nardis – anche se sono sempre possibili prospettive di miglioramento, e in particolare lo stabilimento di un modello di monitoraggio che, mediante specifici alert, solleciti un controllo nei confronti dei soggetti meritevoli di maggiore attenzione».


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