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Economia & Impresa sociale 

Cooperazione, quattro strade per uscire dall’angolo

L’editoriale del numero di gennaio a firma del presidente del Gruppo Cgm e di Federsolidarietà/Confcoopertive. «Urge uscire al più presto reagire e sottrarsi da posizioni di passiva difesa per tornare a giocare un ruolo di protagonismo vero»

di Stefano Granata

Il 2019 si apre con uno scenario a tinte più scure che chiare per la cooperazione sociale.

Una politica che fatica a riconoscere il valore di un movimento che con straordinario vigore si è fatto carico di gran parte della gestione del welfare degli ultimi 20 anni, una campagna mediatica che indica la cooperazione come terminale delle inevitabili storture di un sistema emergenziale delle politiche di accoglienza che dura da anni, e, soprattutto di una buona parte dell’opinione pubblica che guarda quantomeno con diffidenza all’operato delle nostre organizzazioni. Sintomatici sono i sondaggi che una decina di anni fa individuavano ai primissimi posti la reputazione delle cooperative sociali e che, viceversa oggi le relegano in fondo alle classifiche.

La sensazione è proprio quella che urga uscire al più presto dall’angolo, reagire e sottrarsi da posizioni di passiva difesa per tornare a giocare un ruolo di protagonismo vero.
Certamente la cooperazione necessita di un deciso moto di orgoglio che legittimamente le consenta di rialzare la testa con fierezza, in virtù di un sistema valoriale unico e di una presenza costante così significativa nei confronti dei più deboli e dei più fragili. Importante perciò fare sentire la nostra voce, ma non basta.

Abbiamo bisogno di ricostruire un patto fiduciario con i territori e le persone che li abitano, fondato sulla capacità di garantire prossimità e soluzioni condivise alle grandi domande che oggi generano inquietudine e senso di impotenza diffusa.

Quali sono le vie perché la cooperazione sociale possa affrontare consapevolmente le grandi sfide che le si prospettano?

Prima via, spogliarsi di ogni tentazione autoreferenziale: condividere i linguaggi dell’oggi, rimettersi su un piano di dialogo e vicinanza reale, cogliere le istanze che vengono dal basso, sapere mettersi a fianco, dare spazio, valorizzare le molteplici istanze che nascono dentro i movimenti spontanei di cittadinanza attiva. Un atteggiamento che diventa metodo.

Seconda via: adoperarsi per costruire alleanze significative capaci di generare soluzioni, di produrre azioni di impatto volte alla rimozione di diseguaglianza sociale. Lo sviluppo locale connesso alle grandi reti, produrre innovazione, co-produrre risposte in merito ai grandi temi del lavoro, della sostenibilità, della cura , dell’educazione.

Terza via: individuare un panel di risposte di sistema e lavo- rare per un’infrastruttura capace di interventi efficaci. Un percorso che richiede non solo una visione comune, ma anche la crescita di competenze professionali oltre che di strumenti adeguati e supportati dall’improrogabile evoluzione tecnologica. La cooperazione sociale, ad esempio, ha giocato storicamente un ruolo fondamentale nell’ambito del disagio psichico, oggi forse non potrebbe giocarlo nell’individuare percorsi decisivi per quasi 2 milioni di giovani che non lavorano e non studiano?

Quarta via: spalanchiamo le porte alle nuove generazioni…


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