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Lavoro e caso Foodora. Cafiero: «Una sentenza storica e di compromesso»

Sono oltre 700mila i lavoratori della gig economy in Italia. Per l'economia dei lavoretti, di cui la multinazionale Foodora è stata protagonista, anche se il suo ramo italiano è in liquidazione, arriva da Tribunale di Torino una sentenza storica. Sono o non sono subordinati i lavori dei riders che consegnano cibo? Ne parliamo con il giuslavorista Ciro Cafiero

di Marco Dotti

Sono oltre 700mila i lavoratori della gig economy in Italia. Per l'economia dei lavoretti, di cui la multinazionale Foodora è stata protagonista, anche se il suo ramo italiano è in liquidazione, arriva da Tribunale di Torino una sentenza storica. Sono o non sono subordinati i lavori dei riders che consegnano cibo? Ne parliamo con il giuslavorista Ciro Cafiero.

Che cosa è successo con la sentenza della Corte d’Appello di Torino…
A fronte del ricorso dei riders di Foodora di Torino il Tribunale ha riconosciuto l’applicazione delle tutele della subordinazione. In particolare, il diritto alla retribuzione prevista dal contratto collettivo nazionale della logistica. Tuttavia, a questi lavoratori non è stata riconosciuta la conversione del rapporto di lavoro in un rapporto di natura subordinata.

Ci spieghi meglio…
Sono state applicate loro le tutele tipiche della subordinazione ma questi lavoratori non sono stati qualificati pienamente come subordinati.

È un punto chiave, non crede?
Assolutamente e può essere un punto critico o un punto di vantaggio, a seconda di come la sentenza viene letta e interpretata. Al momento, abbiamo solo il dispositivo e non la motivazione, per cui non possiamo andare al cuore delle ragioni dei giudici. Ma si tratta certamente di un’applicazione peculiare dell’articolo 2 del decreto legislativo 81 de 2015, il cosiddetto Job act.

Il giudice ha colto l’etero organizzazione di cui parla l’articolo 2 del decreto legislativo 81 del 2015: applicando le tutele relative alla subordinazione, ha visto che questi lavoratori erano tenuti a rispondere alle commesse, dovevano evaderle rispetto a tempi e luoghi che non sceglievano in maniera così autonoma e rispetto anche a meccanismi di rating che sono nient’altro che esplicazioni del potere disciplinare del datore di lavoro, anche se esercitati attraverso algoritmi. Ma pur vedendo l'etero direzione, il giudice non ha riconosciuto la natura subordinata ab origine del rapporto di lavoro, come in teoria avrebbe dovuto.

Per questo parla di una applicazione peculiare dell'articolo 2?
Sì. D’altronde è la prima volta che accade in Italia e si tratta, quindi, di una sentenza storica. Credo che il giudice abbia preso a riferimento un vecchio articolo della cosiddetta Riforma Biagi che imponeva già allora al committente l’applicazione delle tutele retributive in favore dei “co.co.co” previste dai contratti collettivi. Questo è stato il criterio che ha seguito il giudice. Credo si tratti di un compromesso perché, da un lato si riconoscono alcune tutele ai lavoratori, dall’altro – ed è questo un dato importante – non si incentiva un “lavoro dei poveri”. Una cosa è dire “avete delle tutele”. Ben altra cosa è dire ai nostri giovani, “fate i fattorini perché sarete subordinati a vita”. Credo si tratti di un segnale abbastanza forte.

Lei ha parlato di una sentenza storica, di compromesso, ma anche di scenario…
Se vogliamo contestualizzarla in uno scenario più generale, credo che la sentenza si iscriva nel solco del cosiddetto decent work, che da tempo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro va predicando, e che parte dal presupposto di assicurare tutele minime a qualsiasi lavoratore. A prescindere a che sia esso subordinato o autonomo, per il solo fatto di lavorare, questa impostazione prevede che, a prescindere dalla loro qualificazione, ai lavoratori siano, ad esempio garantite coperture assicurative e contributive, per i periodi di maternità o di malattia.

Un po’ quello che è accaduto in Inghilterra con la differenza tra worker ed employee.
Esattamente: al worker, che è “lavoratore qualsiasi” sono state garantite alcune tutele, all’employee, che è lavoratore subordinato, restano le tutele previste dall’Employment Rights Act del 1996.


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