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Quei confini affollati che delimitano il nuovo Terzo Settore

La presentazione del libro Diritto del terzo settore, edito da Il Mulino e scritto a sei mani da Pierluigi Consorti, Luca Gori ed Emanuele Rossi, è stata l'occasione per un confronto fra professori universitari di diritto, economia e costituzionalisti svoltosi nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma. Il tema è stata proprio la definizione dei nuovi confini, più incerti e confusi, stabiliti dalla riforma per l’intero settore

di Paolo Biondi

«Con la legge 106 del 2016 si è passati dalla separazione tra pubblico e privato alla collaborazione. Con la riforma del Terzo settore si rompe una distanza anche perché si passa da un regime concessorio ad un regime di riconoscimento». Ma è proprio l’annullamento di questa distanza tra pubblico e privato, sottolineata da Giovanna Razzano, che porta per Cesare Pinelli ad un’altra conseguenza: «Nell’ambito del Terzo settore ci vuole ora una immensa attenzione nel rapporto pubblico/privato; ci si deve rendere conto e sollecitare una serie di rigorosi controlli e il solo autocontrollo non basta più». L’occasione per questo confronto fra professori universitari di diritto, economia e costituzionalisti è stata la presentazione del libro Diritto del terzo settore, edito da Il Mulino e scritto a sei mani da Pierluigi Consorti, Luca Gori ed Emanuele Rossi, dibattito svoltosi nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma.

A tema del confronto è stata proprio la definizione dei nuovi confini stabiliti dalla riforma per l’intero settore, confini che si sono fatti però, a detta della maggioranza dei relatori, più incerti e confusi. Bruno Bises, docente di economia a Roma Tre, ha sottolineato che i settori di attività per definire una attività di terzo settore sono passati dai precedenti 11 a 26 e Pinelli ha aggiunto che giustamente l’ultimo capitolo del libro parla eufemisticamente di «confini affollati del Terzo settore».

Ed è proprio la mutabilità del quadro a far sì che fra le luci e le ombre della riforma alla fine a finire sul tavolo del dibattito siano state soprattutto le ombre. Come ha sintetizzato Consorti, che insegna Diritto del Terzo settore all’università di Pisa dal 2001, intenzione del volume è «dare voce a una visione più larga del Terzo settore, visione che anche il legislatore poteva cogliere. È un settore fatto da soggetti collettivi e un soggetto non si può definire solo da quello che fa, ma anche da ciò che lo spinge a farlo. La riforma sotto questo profilo ha mancato di coraggio, sia dal punto di vista civile sia da quello tributario. La disciplina non tiene conto dell’articolazione della realtà. Il volontariato come era una volta, ad esempio, in quanto espressione di realtà sociali, non esiste più ed oggi ha piuttosto una valenza personale e riguarda la singola persona. Con la riforma non c’è stato lo sforzo di una pulizia concettuale».

Al termine dell’articolato dibattito è stata Giovanna Razzano a sintetizzare le due osservazioni principali emerse sulla riforma: la prima è che si tratta di «una legge che imbriglia», piuttosto che liberare energie e la seconda che «la riforma pare nata piuttosto per colpire le mele marce».

Osservazioni che sono state poste ad Alessandro Mazzullo dell’Agenzia delle entrate, uno degli estensori della riforma e mebro del Consiglio nazionale del terzo settore: «Il processo di riforma è stato avviato dalla legge, non concluso, e siamo ancora in attesa dei decreti attuativi. Da parte del nuovo governo c’è una attenzione forte, sottolineata dal vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio ad un incontro del Terzo settore e dallo stesso presidente Giuseppe Conte. Malgrado queste dichiarazioni va rilevato che il Consiglio nazionale del terzo settore non è mai stato convocato dal governo. Gli enti aspettano di adeguare i propri statuti, in attesa che venga implementata la legge, ma il termine si sta avvicinando senza che ci sia ancora nulla all’orizzonte».


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