Cooperazione & Relazioni internazionali

Sea Watch: l’accoglienza di Siracusa, l’assenza del Gicic e lo sbarco a Catania

Dopo 13 giorni in mare, di cui 5 davanti alle coste di Siracusa l’odissea per i 47 migranti a bordo della nave della Ong è arrivata al porto di Catania dopo una lunga trattativa tra il Viminale e l’Ue. Il caso della Sea Watch ha portato in piazza l’Italia più bella, ma tra gli scogli di Stentinello l’assenza de Gicic, la più importante task force che combatteva il traffico di migranti, pone molti interrogativi

di Alessandro Puglia

Davanti agli scogli di Stentinello, in contrada Targia, a Siracusa, la nave della Ong Sea Watch che con 47 esseri umani a bordo è rimasta 13 giorni in mare evoca storie antiche.

Sarà perché gli allievi dell’Inda, l’Istituto nazionale dramma antico di Siracusa, su quegli scogli e nelle piazze della città non hanno mai smesso di cantare per i naufraghi. Sarà perché su quegli scogli si affermò la prima civiltà dei Siculi e quella nave, l’unica rimasta in mare, a soccorrere i migranti, appare troppo lontana per una città che vuole e sa accogliere.

Durante i cinque giorni in cui la Sea Watch 3 è rimasta parcheggiata in mare davanti alle coste di Siracusa, l’Italia ha provato a rialzarsi dopo aver «toccato il fondo» come ripete padre Carlo D’Antoni che nella sua parrocchia ha accolto negli ultimi anni quasi 30 mila migranti.

Dagli striscioni con scritto «Fateli sbarcare» affissi sui balconi dei siracusani del centralissimo Corso Umberto o dalle tantissime associazioni che hanno vegliato nei presidi – per citarne qualcuna Anpi, Libera, Legambiente, Amnesty, Collettivo Antigone, Borderline Sicilia, le giovani di No hate speech – agli albergatori pronti ad accogliere come la signora Claudia Parasole, 46 anni, che a Siracusa ha un B&B dove a prendersene cura sono migranti arrivati coi barconi. La signora Claudia dal presidio del tempio di Apollo espone assieme alla figlia un cartello con scritto: «Salvini torna in Padania» e spiega i motivi per cui è qui: «Ho paura per il futuro delle nuove generazioni».

Alle trattative politiche, ai bracci di ferro tra l’Italia e l’Europa mentre la Sea Watch era parcheggiata in mare, Siracusa ha risposto con la solidarietà dei suoi cittadini, con il suo sindaco, Francesco Italia, che dal primo giorno ha chiesto al Governo di poter fare sbarcare i migranti, con il suo il vescovo monsignor Salvatore Pappalardo che oltre a mettere a disposizione le strutture della Diocesi di Siracusa, ha invitato i cittadini a una veglia in Cattedrale ricordando la frase del vangelo di Matteo: «Ero forestiero e mi avete ospitato».

Ma su gli scogli di Stentinello, tra il via vai di deputati e senatori che mai hanno messo un piede nei porti siciliani in anni e anni di sbarchi, non vedere all’azione gli uomini del Gicic, la task force della Procura di Siracusa guidata dal commissario Carlo Parini fa capire perché attorno al caso Sea-Watch c’è soltanto il vuoto.

Negli ultimi dodici anni la provincia di Siracusa è stata la prima con il più alto numero di sbarchi in Italia: 1084 sbarchi per quasi 130 mila persone sbarcate. E a gestirli, nel più grande rispetto della dignità umana, è stato proprio il commissario Carlo Parini con il suo team d’eccellenza formato da uomini della Polizia di Stato, Guardia Costiera e con interpreti e mediatori culturali specializzati.

Lo sbarco dei 47 migranti della Sea Watch al porto di Catania e non ad Augusta o a Pozzallo, che sono i porti più vicini, ci pone alcune domande che non hanno risposta.

Su Twitter la Ong tedesca scrive: «Dobbiamo andare a Catania, questo significa che ci stiamo spostando da un porto sicuro verso un porto dove c’è un Procuratore noto per la sua agenda riguardante le Ong. Se non c’è un disegno politico, non sappiamo cosa significhi tutto questo. Speriamo per il meglio e ci aspettiamo il peggio».

Una cosa è certa. Se lo sbarco fosse avvenuto nel porto più vicino, quindi Augusta, ad intervenire ci sarebbe stato- almeno fino a qualche mese fa quando ne è stata ordinata la chiusura- il Gicic della Procura di Siracusa. E chi conosce il modus operandi di quella che era la più importante eccellenza italiana nella lotta al traffico di esseri umani sa che si sarebbe tentato in prima battuta un approccio con il comandante per individuare l’area di recupero e il mezzo di navigazione, e soprattutto sarebbero state raccolte le testimonianze dei migranti. I migranti sarebbero stati “ascoltati” più che “interrogati” per capire le loro reali condizioni psicofisiche e al tempo stesso per comporre un quadro investigativo- operativo che avrebbe condotto, in questo caso, direttamente in Libia.

Il Gicic avrebbe sin da subito permesso alle autorità sanitarie, Croce rossa d’intesa con l’Asp, di verificare le reali condizioni psicologiche di ciascun migrante a bordo. E di certo si sarebbero ravvisati degli elementi per accelerare le operazioni di sbarco, perché la task force italiana celebrata dai media di tutto il mondo ha fatto del rispetto della dignità umana il segreto di brillanti risultati nella lotta al traffico di migranti, sia dalla sponda africana che da quella turco-ellenica. Senza nulla togliere al quadro investigativo-operativo che negli anni ha portato all’arresto di 1084 scafisti “di professione”, 219 barche sequestrate, altri arresti a Malta con mandato internazionale.

Caro ministro Salvini, oggi non aver visto operare sugli scogli di Stentinello, la persona che gestiva il Gicic, il commissario Carlo Parini, il gigante degli sbarchi, fa capire perché questo Paese bistratta i suoi figli migliori, mentre la lotta al traffico di esseri umani si fa sempre più incerta .

Foto di Alessandro Puglia. Nella foto di cover l'approdo a Catania


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