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Il Reddito di Cittadinanza rischia di escludere 50mila senza dimora

Sono i più poveri tra i poveri, ma c'è il rischio che il Reddito di Cittadinanza non lo possano nemmeno chiedere, per via dei 10 anni di residenza richiesti. Ma queste persone non hanno una residenza anagrafica e quella fittizia è riconosciuta oggi solo da 200 Comuni in Italia

di Sara De Carli

C’è il rischio che i più poveri tra i poveri siano esclusi dal Reddito di Cittadinanza, per una serie di requisiti richiesti per l’accesso, che possono diventare una barriera. A denunciarlo è stato questa mattina la Federazione italiana organismi per le persone senza dimora, nel corso delle audizioni in Commissione Lavoro del Senato sul decreto sul reddito di cittadinanza.

Secondo il censimento fatto nel 2015, sono in Italia 50mila le persone senza dimora. «Sono persone multiproblematiche, per loro serve un’attenzione in più se questa vuole essere una misura di contrasto alla povertà, occorre soffermarsi di più su questo piccolo target di persone che hanno perso la casa, il reddito, la famiglia, le relazioni ma che primo lo avevano: occorre ricreare e offrire loro le condizioni per rimettersi in piedi. I giovani aumentano, molte possono essere occupabili».

Tre i punti evidenziati dalla Federazione italiana organismi per le persone senza dimora.

Primo, la residenza: è chiesta la residenza per 10 anni, una cosa pressoché irraggiungibile per la gran parte di chi ha perso casa e domicilio. Queste persone non hanno la residenza anagrafica e quella fittizia, equiparata per legge a quella anagrafica, viene riconosciuta ad oggi solo da 200 Comuni in Italia. Nell’articolo 2 del decreto c’è un’apertura a modifiche dei requisiti di accesso in casi eccezionali, questo è uno dei possibili casi.

Due, l’accesso: favorire l’accesso dei senza dimora significa lavorare con i territori, con i Comuni, con il circuito dell’accoglienza a cui queste persone si rivolgono per i bisogni primari ma non solo per quelli. Prevedere presidi socioassistenziali, potenziare una infrastrutturazione sociale che già c’è, migliorare la comunicazione e cercare di avere un atteggiamento inclusivo anche verso gli ultimi.

Terzo, creare sistemi di comunicazione interistituzionale che facilitino la presa in carico complessiva. Queste persone sono l’emblema della povertà multidimensionale, che significa casa, lavoro, istruzione, salute. L’invito è a usare le rete che esistono, al servizio della persone e per avere logica inclusiva. Ci sono pratiche innovative, una fra tutte solo l’housing first, che stanno funzionando: le risorse che sono state messe, devono lavorare in maniera strategica, lungimirante e inclusiva con queste reti.

Ieri in audizione anche il presidente di Inps aveva evidenziato proprio questa criticità: «Oltre ad essere penalizzante per le famiglie numerose, il RdC, in virtù dei requisiti stringenti di residenza che impone (10 anni di residenza in Italia, di cui gli ultimi 2 continuativi) può escludere una fetta importante di poveri dal trattamento. Tra gli esclusi i senza fissa dimora, che spesso si spostano da un Comune all’altro senza avere un determinato punto di riferimento. Molti Comuni non hanno indirizzi “virtuali” dove collocare le persone senza fissa dimora che chiedono l’iscrizione anagrafica».


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