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Economia & Impresa sociale 

L’egopower tra gli scaffali premia prodotti bio, etici e del territorio

È stata presentata a Milano la ricerca di Censis e Conad "Miti dei consumi, consumo dei miti" che ha indagato la nuova filosofia del consumatore egocentrico: la selezione dei prodotti è rigorosa, puntando a quelli che soggettivamente fanno stare bene e che lo gratificano nella convinzione di agire per rendere il mondo migliore. Nel tempo della crisi ci si interroga su come far ripartire la crescita economica

di Antonietta Nembri

Il modo di consumare o di non farlo può essere la chiave per leggere l’oggi. E lo dimostra la ricerca “Miti dei consumi, consumo dei miti” realizzata dal Censis in collaborazione con Conad dalla quale emerge un ritratto degli italiani caratterizzato dall’egopower. In pratica, la dinamica dei consumi mostra come la filosofia dominante guardi molto all’io, a ciò che “mi fa stare bene” e in base a ciò i consumatori selezionano i prodotti. Sotto la lente della ricerca e della tavola rotonda che si è tenuta venerdì 8 settembre a Milano l’immaginario collettivo degli italiani, la politica, le scelte e ovviamente la crisi in cui siamo immersi.

Ma cosa emerge dalla ricerca? A raccontarlo Francesco Maietta, responsabile area politiche sociali di Censis. Che l’Italia sia in recessione, lo sappiamo ufficialmente da pochi giorni «ma gli italiani lo sapevano già. Le famiglie lo dicevano già all’inizio dell’anno», ha osservato Maietta. Il 70,5% degli italiani, infatti, è convinto che nei prossimi dodici mesi non potrà spendere di più per i consumi, dato che risulta più alto nei territori con una maggiore capacità di spesa: il 75,9% al Nord-Ovest, il 69,4%. Il potere d’acquisto delle famiglie è basso e non è ancora tornato ai livelli pre-crisi: -6,3% nel 2017 rispetto al 2008. Anche i consumi stentano: -2% nello stesso periodo. «E i soldi restano fermi: la liquidità è aumentata del 17,1% nel periodo 2008-2018, come se le famiglie dicessero “non si sa mai”». Da non trascurare il contesto: il rancore e l’incattivimento sociale perché la non ripartenza dei consumi non può essere spiegato solo dai redditi stagnanti. «Se la società è incattivita e ostile, allora tanto vale pensare a me stesso e alla mia famiglia»: ecco la radice egoistica dell’egopower. Ad amplificare il fenomeno l’uso delle piattaforme digitali: sono 9,7 milioni gli italiani «compulsivi» nell’uso dei social network (pubblicano di continuo post, foto, video per mostrare a tutti quello che fanno ed esprimere le loro idee), 12,4 milioni sono «pragmatici», cioè li usano per ampliare i propri circuiti relazionali, e 13,2 milioni sono «spettatori», nel senso che con regolarità leggono i post e guardano le foto degli altri, ma intervengono poco o per niente in prima persona.
Il primato dell’egopower uccide i miti: il 90,8% degli italiani non ha modelli a cui ispirarsi e il 49% (il 53,3% tra i più giovani) è convinto che oggi chiunque possa diventare famoso. Ecco l’immaginario collettivo in cui tutti sono divi e famosi o possono diventarlo. Il risultato è che nessuno lo è più.

A prevalere nei consumi è la propensione a comprare i prodotti che soggettivamente fanno stare bene, che consentono al consumatore di dire qualcosa di sé e che lo gratificano nella convinzione che tramite quei consumi agisce per rendere il mondo migliore. Ecco perché crescono prodotti come i “free from”: senza lattosio (+8,5% in valore nel periodo gennaio-agosto 2017-2018 nei punti vendita Conad, di cui +94,3% i formaggi grana), i prodotti con farine benessere a base di cereali superfood (+3,1% nello stesso periodo, di cui la pasta vegetale +30,2% e i biscotti +11,5%), gli integratori (+3,3%, di cui gli antiossidanti +19,5% e le vitamine e i minerali +12,3%). Sono i consumi dell’io che vuole bene a se stesso. Poi a tirare di più sono i prodotti biologici (+8% nello stesso periodo, di cui le bevande +23,8% e l’ortofrutta +17,2%) che, oltre a fare stare bene il consumatore, gli consentono di dire la sua sul mondo e lo gratificano nella convinzione che contribuisce a cambiarlo. Ed è boom anche per i prodotti certificati: i vini Doc e Docg italiani biologici (+27,8% nello stesso periodo) e i vini Igp e Igt italiani biologici (+26,1%), ovvero prodotti iconici della fusione delle logiche «io mi voglio bene» e dell’italianità. Crescono, insomma, i consumi che migliorano la qualità della vita, che fanno raccontare noi stessi e il mondo, che ci convincono che grazie a quei prodotti lo miglioriamo. Se il consumatore attribuisce un alto valore soggettivo al prodotto, perché risponde a sue specifiche esigenze e valori, allora mette mano alla tasca e la spesa aumenta. È il tramonto del consumismo compulsivo anni 80 e 90. E questo non è proprio un male.

«La preferenza dei prodotti del territorio è un trend europeo, una sorta di sovranismo alimentare che però può diventare pericoloso nel momento in cui viene spinto all’eccesso e ideologizzato», ha chiosato l’Ad di Conad Francesco Pugliese che ha spiegato nella volontà di «cercare di comprendere più a fondo gli stati d’animo e i sentimenti che influenzano gli stili di vita e le scelte di consumo degli italiani, e avviare una riflessione comune per cercare soluzioni condivise» la scelta di realizzare questa ricerca. «La crisi che sta attraversando l’Italia non è più solo economica, ma anche sociale: la politica del rancore e dell’intolleranza ha incoraggiato la diffusione di un atteggiamento di chiusura e di ostilità in tutti gli strati della società. Ma una società che resta ripiegata su se stessa, intrappolata nella paura e diffidente verso tutto ciò che è altro, non può che decrescere. Compito delle imprese è remare in direzione opposta, dando spazio ai valori positivi attraverso una narrazione in cui emergono principi come condivisione e comunità. E adottando un modello di impresa improntato alla sostenibilità non solo ambientale, ma anche sociale ed economica». Insomma per far ripartire la crescita il mito dell’io deve diventare un noi «Se l’io è importante, ma diventa io valgo più di te, allora è negativo».

Ma come catturare questo nuovo consumatore? Occorre inseguirlo nel suo tour tra i diversi canali di comunicazione. Nell’ultimo anno 23,7 milioni di persone hanno acquistato un prodotto o un servizio perché ne hanno visto o sentito la pubblicità su tv, radio, giornali o riviste, 18 milioni perché ne hanno visto o sentito la pubblicità sui social network, 7,7 milioni perché consigliati da un influencer su blog e social media, 6,8 milioni perché consigliati da una celebrity di cui si fidano. Però sono 17 milioni gli italiani che nel corso dell’ultimo anno non hanno acquistato prodotti perché hanno giudicato la pubblicità fuorviante. E quasi 37 milioni hanno comprato prodotti in totale autonomia, senza fidarsi di nessun suggerimento. Diffidenza e gelosa custodia della propria autonomia decisionale: ecco il sentiment del nuovo consumatore che è un mix di razionalità ed emozioni. E l’egopower lo rende diffidente persino verso esperti e competenza (il 25% dei giovani ne diffida) rendendolo a volte vulnerabile alle fake news.

Marco Bentivogli, segretario generale della Fim Cisl, ha sottolineato nel corso della tavola rotonda come rischiamo di vivere nella grande finzione dello scontro tra popolazione ed élite «è una lettura vecchia, il problema è centro/periferia. La rappresentanza politica è in crisi, anche perché abbiamo strumenti sbagliati per leggere la realtà e nel nostro Paese abbiamo il 40% di analfabeti funzionali anche tra i laureati. Pure il sindacato», ha osservato «ha abdicato alla sua funzione educativa così che il populismo sindacale ha fatto da ostetrica al populismo politico. Abbiamo assistito alla follia dello sciopero contro l’alternanza scuola lavoro».

Gli italiani hanno smesso di sognare, di avere miti positivi «Negli anni Sessanta stavamo peggio però avevamo un sogno positivo del futuro» ha chiosato Pugliese che è intervenuto anche sulla proposta di chiusura domenicale dei punti vendita ricordando che «un terzo degli italiani fa la spesa di domenica e se si impone la chiusura che ne sarà delle persone impiegate in più per favorire le turnazioni? Oggi la priorità è far ripartire e far crescere l’economia. Occorre portare lavoro, con investimenti pubblici e delle imprese. La decrescita è infelice».

Da parte sua il presidente di Confindustria Veneto ha osservato: «Siamo in recensione tecnica e ci vengono a dire che l’assistenzialismo crea più Pil dell’industria 4.0». Da parte sua Massimiliano Valerii, direttore generale Censis ha concluso mettendo in guardia dal vero pericolo: «cadere nella deflazione delle aspettative, come se fosse una nuova categoria dello spirito. Servirebbe invece la cultura del rischio che è stato l’ingrediente principale delle fasi di sviluppo».


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