Media, Arte, Cultura

Se i radical chic finiscono nel mirino

Uno scambio di idee e opinioni con Giacomo Papi, scrittore e direttore della scuola di scrittura di Belleville. Suo il romanzo “Il censimento dei radical chic” (Feltrinelli Editore, 2019): 141 pagine di amare risate e profonde riflessioni sul presente e anche sul futuro che è già qui. Finale aperto a responsabilità individuali che diventano un pensiero collettivo. Giacomo Papi: “Non c’è niente di troppo difficile, da capire o fare”

di Erica Battaglia

141 pagine di amare risate e profonde riflessioni sul presente e anche sul futuro che è già qui: è questo il breve riassunto de “Il censimento dei radical chic”, l’ultimo romanzo di Giacomo Papi. Classe 1968, Giacomo Papi è nato a Milano e dirige la scuola di scrittura di Belleville. Il suo ultimo romanzo è la fotografia di una Paese, l’Italia, dove la parola articolata e il pensiero critico diventano un segnale inequivocabile di malaffare e corruzione, o peggio un “trucco delle élite” per ingannare il popolo. Ecco allora che le vittime del crescente clima di violenza e ostilità nei confronti di chi ha case piene di libri, ama il cinema e il teatro o semplicemente ama vestire cachemire diventano gli intellettuali. Dopo i rom, i migranti e gli omosessuali, gli intellettuali – definiti acriticamente “radical chic” – finiscono per essere le vittime predestinate.

Il libro si apre con l’omicidio di uno di loro, Giovanni Prospero, colpevole di aver citato Spinoza durante un talk show televisivo. Da quell’evento, complice anche un mdell’Interno che galvanizza il “diritto di chi non sa a non sentirsi inferiore”, è un susseguirsi di eventi: dall’idea di istituire un “Registro dei Radical Chic” che permetta al Governo di proteggerli agli escamotage per non vedersi iscritti a quel registro, da tonnellate di libri che vengono nascosti a principi rivoluzionari di giovani sconclusionati, fino alla revisione dell’intero romanzo ad opera di un’Autorità garante per la semplificazione della Lingua Italiana che straccia letteralmente tutti i termini desueti, latini o articolati presenti nel libro di Papi. L’occhio attraverso cui si scorge in parte anche tanto dell’Italia di oggi è quello di Gloria, figlia dell’assassinato Giovanni Prospero. E’ la sua personale indagine alle radici dei motivi che hanno portato all’omicidio del padre ad accompagnarci per strade, pensieri e azioni che non fatichiamo a ritrovare nella vita di tutti i giorni. Fatica che diventa finale aperto, dove tutti i personaggi sentono il dovere di ritrovare una responsabilità individuale, che poi diventa inevitabilmente anche collettiva.

Lei è un laureto in Filosofia. Nell'accezione comune, la Sua laurea è inutile a trovare un posto di lavoro e, presumibilmente, scrivendo un libro può attirarsi anche la definizione di "radical chic". Si sente un radical chic? quanto Le va stretta una definizione del genere?
La filosofia non è una competenza, ma un metodo che si può applicare a ogni attività. In questo senso non credo che offra meno possibilità di altre lauree. Anzi. Ho usato quello che ho imparato studiando filosofia in ogni cosa che ho fatto, per lavori anche molto lontani da quelli propriamente filosofici. La filosofia ti insegna che non c’è niente di troppo difficile, da capire o fare. Su un piano filosofico, l’uso di ‘radical chic’ non ha alcun senso. È ormai una sigla che viene applicata a chiunque ponga critiche anche culturali al sentire dominante. Anche a chi non è radical e non è chic. Quindi anche a me. Nonostante questo nel libro cerco di fare i conti con l’utilizzo che si fa dell’espressione.

Nel suo libro, che si apre con un omicidio ai danni di Prospero – un "radical chic" appunto – appaiono spesso correzioni a parole troppo complicate o desuete. A proporre queste correzioni stilistiche è un'Autorità Garante per la Semplificazione della Legge Italiana: invenzione letteraria che colora il libro dei commenti esterni di questo Ugo Nucci, il Funzionario Redattore che corregge il suo libro mentre lo leggiamo. La semplificazione del linguaggio è un fenomeno culturale che sta attraversando il Paese. Secondo lei l'impoverimento linguistico e culturale dei nostri tempi aiuta a comprendersi di più?
La semplificazione rende più difficile la comprensione reciproca perché tramuta tutto il dibattito pubblico in una scelta tra buoni e cattivi, bianchi e neri, ignoranti e colti, mentre la realtà è sempre più complessa e sfumata. Il confronto, la comprensione, possono avvenire solo in un terreno aperto. L’unico dialogo possibile, quando si fronteggiano due fazioni incapaci di addentrarsi nel territorio sfumato della complessità, è la guerra.

Il finale è molto aperto e richiama ad una storia ancora non scritta che dipende solo da ognuno di noi. E' un richiamo alla responsabilità individuale e alla reazione collettiva. Secondo lei ci sono margini per tornare ad avere parole che hanno un senso e ragion critica che abbia un ruolo?
Non credo che l’intelligenza e l’umorismo siano morti. Anzi. Perché fanno parte degli uomini. La storia ha molta fantasia ed è sbagliato leggere il presente come un approdo immutabile. Il presente è già passato e diverso da quello che sembrava un attimo prima. I margini ci sono. L’importante è continuare a essere curiosi di tutto, soprattutto degli altri, anche se a volte sembrano alieni, e non prendersi troppo sul serio.

«Il censimento dei radical chic – continua e conclude Giacomo papi in questa nostra conversazione – è un giallo in cui non si cerca tanto di scoprire i colpevoli dell’assassinio del professor Prospero, colpevole di avere citato il filosofo Spinoza in un talk show, quanto di capire perché gli intellettuali, da ceto rispettato e autorevole, siano oggi indicati come colpevoli di tutto quello che non va nel mondo. Volevo chiarirlo a me stesso soprattutto. E chiedermi davvero cose che tendiamo a dare per scontate: a che cosa servono i libri? Servono davvero? La cultura è ancora utile per avere successo e migliorarsi? Le risposte sono arrivate via via che scrivevo. E con le risposte credo di avere compreso di più anche quali siano le responsabilità degli intellettuali, dei cosiddetti radical chic, che il libro non assolve, ma descrive».


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