Welfare & Lavoro

L’adozione fra inchiesta, pregiudizio e realtà

«La realtà dell'adozione internazionale purtroppo non sempre emerge dal contenuto di articoli o trasmissioni che la presentano più come l’acquisto di un prodotto utile a soddisfare desideri e bisogni degli adulti e non quale prezioso strumento di tutela per l’infanzia abbandonata nel mondo», ha scritto ieri Laura Laera

di Sara De Carli

Un neonato bianco, con attaccato al polso – invece del braccialetto del reparto maternità – un cartellino che ne indicava il prezzo. Fino a 30mila euro. È «il commercio delle adozioni». Una brutta copertina, che si è aggiunta all'elenco dei non pochi articoli che parlano di adozione con toni in cui chi la vive poco o nulla si riconosce. Immediata anche questa volta era stata la reazione delle famiglie e degli enti, contro l’idea di adozione internazionale presentata come l’acquisto di un bambino. L’adozione internazionale ha dei costi, che possono essere giudicati alti e che certamente devono essere sempre più trasparenti: ma non è comprare un bambino.

«Le problematiche evidenziate non sono certo nuove e negli ultimi anni, ciclicamente, sono balzate agli onori delle cronache. La corruzione, le pratiche poco chiare, i rapporti con partner all’estero non del tutto affidabili sono state denunciate in più di un’occasione. In alcuni casi, hanno portato alla chiusura delle adozioni in alcuni dei Paesi coinvolti. Con altrettanta decisione e fermezza è stato richiesto un maggiore controllo sugli enti autorizzati, sulla loro professionalità e trasparenza. È però importante dire anche che le adozioni “fatte bene” esistono», aveva subito scritto il CIAI. «Curare ogni passaggio della procedura adottiva non vuol dire solo portare a buon fine il progetto adottivo ma, soprattutto, fornire alla nuova famiglia che si sta formando la solida certezza che tutto si è svolto secondo le regole, attraverso passaggi pensati, verificati, documentati. Anche questa certezza rappresenta una base solida sulla quale si costruirà il legame adottivo negli anni a venire e quindi rappresenta un presupposto per la buona riuscita dell’adozione stessa». Il Coordinamento CARE aveva postato una frase, senza riferimenti ma abbastanza esplicita: «L'adozione non è il problema. L’adozione è la soluzione». Mentre AiBi, rispetto al racconto di genitori adottivi «costretti a partire con migliaia di euro infilati nelle mutande e nei calzini, da rifilare sul posto a consulenti e avvocati», affermava che «gli enti autorizzati che incoraggiano tali prassi vanno fermati perché screditano tutto il sistema delle adozioni internazionali. Il nostro Paese ha ancora molta strada da percorrere per garantire una reale trasparenza finanziaria delle adozioni internazionali, è chiamata a trasformare in fatti concreti quelle linee guida che fino a oggi ha abbracciato solo a parole o ha trascurato».

Ieri anche la Commissione Adozioni Internazionali ha preso posizione: «Immagini di neonati con relativo cartellino del prezzo attaccato al polso esistono solo nelle fantasie di chi forse non ha mai rinunciato all'idea di un mercato dei bambini possibilmente piccoli e bianchi. In realtà, l’età media dei bambini che entrano in adozione internazionale è di circa 8 anni. Di questi, la maggior parte è costituita da minori con special needs. I paesi di provenienza hanno attuato progressivamente politiche nazionali di protezione dell’infanzia, con il risultato che, sempre di più, l’adozione deve considerarsi uno strumento sussidiario e residuale. Inoltre, nessuna coppia può vantare un diritto ad adottare, configurandosi tutto l’iter adottivo come una mera disponibilità ad accogliere un minore in adozione, talché il mandato che si conferisce a un ente è di mezzo e non di risultato», ha scritto in un comunicato la vicepresidente della CAI, Laura Laera. Sottolineando invece, ancora una volta, l’apertura delle coppie italiane, che – diversamente da quel che accade in altri Paesi – «mostrano grande disponibilità all'accoglienza anche di bambini grandicelli e con bisogni speciali. Questa è una peculiarità del nostro Paese che va riconosciuta e valorizzata, indice di una generosità verso i bambini più svantaggiati che purtroppo non sempre emerge dal contenuto di certi articoli o trasmissioni che trattano l’adozione internazionale come l’acquisto di un prodotto utile a soddisfare desideri e bisogni degli adulti e non quale prezioso strumento di tutela per l’infanzia abbandonata nel mondo».

Così commenta Pietro Ardizzi, portavoce del coordiamento di enti autorizzati Oltre l'Adozione: «Condividiamo il giudizio espresso dalla dottoressa Laera e ci rammarichiamo fortemente che continuino ad essere veicolati articoli che danno dell’adozione un’immagine fortemente falsata. Resta l’aspettativa e la richiesta da parte egli enti e delle famiglie che la Commissione Adozione Internazionali sia sempre più determinata e di un indirizzo politico forte, perché queste sono – insieme – le condizioni necessarie perché le adozioni internazionali riprendano a crescere, nella consapevolezza della grande risorsa umana rappresentata della coppie italiane e allo stesso tempo di tutti i problemi che ci sono in Italia e nel mondo. Problemi però che, con le due condizioni dette, possono essere affrontati e risolti».

Photo by Jakob Owens on Unsplash


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