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“Ricucire gli strappi”: accordo a Bari sulla giustizia riparativa

Nasce l’accordo tra Csv San Nicola, Uiepe Puglia-Basilicata e Servizio sociale minori: una rete di associazioni e operatori pubblici per sensibilizzare le comunità e creare occasioni di riscatto alle persone finite nel circuito penale

di Marilena De Nigris

«Il rafforzamento della giustizia riparativa è controcorrente: mai come in questo momento storico la solidarietà, l’aiuto dell’altro, lo spendersi nella relazione sono fuori moda. Le politiche riabilitative si inseriscono pertanto in un filone non riformista, ma rivoluzionario». Sono le parole di Giuseppe Centomani, dirigente del Centro Giustizia Minorile (Cgm) di Bari, alla presentazione avvenuta pochi giorni fa nel capoluogo pugliese dell’accordo di collaborazione tra lo stesso Cgm, l’Ufficio interdistrettuale per l’esecuzione penale esterna (Uiepe) di Puglia e Basilicata e il Centro di servizio per il volontariato di Bari.

L’accordo ha lo scopo di rendere ancora più efficace la giustizia riparativa come strumento per “ricucire gli strappi nelle comunità”. Prevede tra l’altro: azioni di sensibilizzazione sul sostegno e il reinserimento di persone sottoposte a procedimenti o in esecuzione penale; formazione degli operatori dell’Uiepe e dell’Ufficio servizio sociale minorenni (Ussm), nonché delle agenzie che contribuiscono ai programmi di trattamento delle persone condannate o messe alla prova; workshop sulla cultura della legalità e la gestione dei conflitti. In particolare, il Csv di Bari farà da garante delle associazioni del terzo settore che andranno a costituire una rete di risorse per l’accoglienza e la proposta di attività riparative a favore della collettività; collaborerà inoltre all’organizzazione degli incontri formativi e informativi.
Al 31 gennaio scorso l’Uiepe delle due regioni aveva in carico 3.687 soggetti che usufruiscono di misure di giustizia riparativa. Di questi, poco più di 3mila appartengono all’area della detenzione o sono interessati da misure di sicurezza particolari, tra cui l’affidamento in prova ai servizi sociali, i domiciliari, la libertà vigilata o controllata ecc. Altre 656 persone sono state invece ammesse alla sospensione del processo penale con “messa alla prova”, prevista dalla legge 67/2014 per reati di minor allarme sociale (tra cui violazioni del codice della strada e della legge sugli stupefacenti), puniti con pena non superiore a 4 anni o con la sola pena edittale pecuniaria: un istituto che, in sostituzione della condanna, prevede lo svolgimento di lavori di pubblica utilità anche presso organizzazioni del terzo settore.

Queste ultime, è stato sottolineato durante la presentazione, hanno un ruolo determinante in tutte le misure legate alla così detta “Restorative justice”. La Direttiva emessa in merito nel 2012 dall’Unione europea parla esplicitamente dei possibili interventi del privato sociale rivolti ai soggetti in conflitto con la legge: ad esempio azioni di aiuto al condannato e alla sua famiglia, di sostegno al reinserimento sociale, di formazione e orientamento al lavoro, di assistenza domiciliare, fino all’inserimento del soggetto nell’associazione e alla sua partecipazione alle attività di volontariato. Il tutto con finalità di riconciliazione sociale e “riparazione” delle conseguenze del reato.

Il Terzo settore è un pilastro importante di questo processo, sottolinea Rosa Franco, presidente del Csv San Nicola «perché ha in sé l’attitudine a guardare l’altro non nel suo limite, ma per la potenzialità a cui può dare espressione. Questo accordo si inserisce inoltre nel solco della riforma del terzo settore, relativamente alla realizzazione sinergica di azioni tra gli enti pubblici e il privato sociale. Insieme dobbiamo imparare a fare ‘sistema’ per contribuire alla soluzione del disagio alla realizzazione del bene comune».


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