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“Demenza: le parole contano”, arriva la guida

Come scegliere i termini corretti e rispettosi? Una pubblicazione online della federazione Alzheimer Italia presenta le parole amiche delle persone con demenza e di chi si occupa di loro, familiari e caregiver. Le cose che si dicono possono avere infatti un impatto significativo su come le persone sono viste e trattate. L'obiettivo del resto è costruire Comunità dementia friendly

di Redazione

Una Comunità Amica delle persone con demenza: ovvero una rete di cittadini consapevoli impegnati ogni giorno nel rendere la propria città – con i suoi spazi, le sue iniziative, le sue relazioni sociali – pienamente fruibile anche dalle persone malate insieme alle loro famiglie, senza escluderle né stigmatizzarle cerca di ascoltare, accogliere, comprendere, coinvolgere le persone con demenza.
Ma come mettere in pratica un’azione tanto complessa?
La Federazione Alzheimer Italia, che ha dato vita tre anni fa al progetto “Comunità Amiche delle Persone con Demenza” in Italia, propone come punto di partenza l’uso di un linguaggio adeguato, che sia specchio di questa volontà di rispettare e non isolare le persone con demenza.Nasce così “Demenza: le parole contano”, una guida che la Federazione ha preparato per le Comunità ma anche per chiunque desideri impegnarsi a scegliere con cura le parole da utilizzare (La guida è online).

L’essere “amico della demenza” e il “fare rete” in una Comunità parte infatti anche da un uso appropriato, inclusivo e non stigmatizzante del linguaggio, che non ferisca chi vive ogni giorno a contatto con la demenza.Sono da preferire per esempio i termini “demenza” oppure “malattia di Alzheimer e altre forme di demenza” che ben descrivono ciò che la demenza effettivamente è: non un’unica e specifica malattia, ma un insieme di sintomi causati da una patologia del cervello; ne esistono infatti molte forme, ciascuna con la propria causa. Di contro, andrebbero evitati termini imprecisi come l’ormai superato “demenza senile”, utilizzato quando si pensava erroneamente che la perdita di memoria o altri problemi cognitivi fossero parte del normale invecchiamento e non di specifiche patologie cerebrali.Oltre alla correttezza nell’utilizzo del termine “demenza”, vanno considerate le innumerevoli accezioni che riguardano le persone che effettivamente vivono ogni giorno a contatto con essa: i malati, i familiari, i caregiver.

Le parole possono avere infatti un impatto significativo su come le persone sono viste e trattate nella Comunità. Regola principe della Federazione è che le persone con demenza siano prima di tutto persone, e la loro diagnosi non significhi che la loro vita sia finita.
“Persona con demenza”, “persona che convive con la demenza”, “persona con diagnosi di demenza” sono termini che mantengono la dignità dell’individuo, senza giudizio sulla sua condizione, e sono da preferire rispetto agli avvilenti “vittima” e “sofferente”, che contribuiscono invece ad alimentare lo stigma poiché la persona è dimenticata. E così, termini dispregiativi come “demente” rischiano di anteporre la condizione di demenza alla persona.La demenza può compromettere la memoria, il linguaggio, il pensiero e in alcuni casi anche il comportamento e la capacità di agire nella vita quotidiana; può avere conseguenze sulla vita familiare, sociale e lavorativa della persona. Ciò significa che ogni malato, ogni familiare, ogni assistente può vivere un’esperienza differente. Ed è vero che solo una persona con demenza può comprendere realmente cosa significhi convivere con la demenza, così come solo chi assiste conosce nel concreto cosa significa aiutare.Per loro è opportuno e rispettoso utilizzare termini emotivamente neutrali, cancellando “carico” o “peso” che etichettano l’assistenza come estremamente difficile, nonostante sia certo importante raccontare e non dare per scontata la complessità della cura quotidiana.

Allo stesso modo, quando si parla dell’impatto che la demenza ha nella vita quotidiana, differente da persona a persona, è importante essere realistici e veritieri usando termini come “cambiamento di vita” e “invalidante”, evitando “penoso” e “senza speranza”, che sottolineano solo pessimismo, paura e incapacità di far fronte alla situazione.

L’utilizzo di un linguaggio corretto e rispettoso è un primo passo da intraprendere per diventare “amico della demenza”, anche nel rispetto del motto delle Comunità Amiche “working to become”.