Welfare & Lavoro

Bandi accoglienza migranti: le organizzazioni lombarde chiedono l’annullamento

L’iniziativa di Confcooperative e Legacoop Lombardia e di Uneba che, insieme, hanno presentato alla prefettura milanese e ad altre prefetture lombarde, quelle che hanno pubblicato i bandi, ovvero Monza e Brianza, Varese, Lodi, Mantova, Pavia un’istanza di annullamento in autotutela. Valeria Negrini, portavoce dell'Alleanza cooperative sociali della Lombardia: “Riteniamo questi bandi illegittimi per la palese volontà di penalizzare integrazione e inclusione”

di Riccardo Bonacina

Alla vigilia del bando pubblicato dalla prefettura di Milano per assegnare la gestione di strutture per totali 2.500 posti con scadenza 14 marzo arriva l’iniziativa di Confcooperative e Legacoop Lombardia e di Uneba che, insieme, hanno presentato alla prefettura milanese e ad altre prefetture lombarde, quelle che hanno pubblicato i bandi, ovvero Monza e Brianza, Varese, Lodi, Mantova, Pavia un’Istanza di annullamento in autotutela.

Gli enti del terzo settore che attualmente gestiscono i Centri accoglienza contestano, punto per punto, gli avvisi di gara che prevedono tariffe di 21,90 euro al giorno per ogni migrante accolto, sfamato, accompagnato e seguito nei suoi bisogni sociosanitari, legali e personali, contro i precedenti 35 euro, previsti prima del decreto Salvini sulla sicurezza.

I bandi, in Lombardia come in ogni parte d’Italia seguono lo schema di Capitolato licenziato dagli uffici del Viminale lo scorso 20 novembre, prot. N. 14801/2018 (qui un’analisi di quel capitolato ripreso da tutte le prefetture).

Queste le tariffe previste nei bandi delle prefetture lombarde 21,90 euro al giorno pro capite per centri collettivi con capacità ricettiva da 51 a 300 posti, 23 euro al giorno pro capite per centri di accoglienza collettiva con capienza sino a 50 posti, e 18 euro al giorno pro capite per servizi di gestione in unità abitative singole.

Nella lettera inviata dalle organizzazioni alle prefetture e datata 5 marzo, si dice che i nuovi schemi di capitolato reletivi alla fornitura di beni e servizi relativi alla gestione e al finanziamento delle strutture dei migranti risulta del tutto incongrua rispetto ai costi minimi che l’operatore economico sarebbe tenuto a sostenere in caso di aggiudicazione, e, in punta di diritto si citano pronunciamenti dei Tar e pareri dell’Anac sul dovere di valutare la congruità dell’offerta economica delle stazioni appaltanti.

Si contestano in particolare l’assenza di costi per la sicurezza; l’insufficiente valutazione del costo del lavoro e delle spese generali, la mancanza dei costi dei medicinali e delle prestazioni sanitarie specialistiche e infine, riguardo alle unità abitative, la sottostima dei costi standard per gli alloggi.

Secondo le organizzazioni i bandi presentano “manifesti vizi di legittimità” che ne impongono l’immediato annullamento, “fatto salvo il diritto degli operatori economici, che si vedano pregiudicata la stessa possibilità di presentare un’fferta economica di ricorrere avanti le sedi comptenti”.

Valeria Negrini, portavoce dell'Alleanza cooperative sociali della Lombardia spiega: “Contestiamo la legittimità di questi bandi che derivano dalle indicazioni del Ministero degli Interni che escludono gli attori sociali e che propongono cifre che non solo non hanno nessuna rispondenza nella realtà ma che negano ogni possibilitàdi integrazione e inclusione alle persone ospitate».

L’iniziativa delle organizzazioni lombarde segue iniziative analoghe in altre parti d’Italia come ad esempio in Friuli dove le cooperative sociali già l’11 febbraio avevano rilevato come “il nuovo schema delle gare d’appalto contiene una serie di errori macroscopici, ad esempio non sono previsti i costi sulla sicurezza, per questo abbiamo deciso di contestare il bando recentemente emesso dalla Prefettura di Udine che si basa su quello predisposto dal Ministero dell’Interno. Abbiamo chiesto l’annullamento del bando ma non abbiamo ricevuto risposta, abbiamo così fatto ricorso al Tar del Lazio”. Richiesta poi respinta dal Tar e che ha spinto le cooperative a rivolgersi ora al Consiglio di Stato.

Un percorso che potrebbero seguire anche le organizzazioni lombarde. Valeria Negrini precisa: «Stiamo anche lavorando per costruire un'azione più specifica per i possibili ricorsi delle singole cooperative che non vogliono ridursi a fare gli albergatori dei migranti e che non accettano di tagliare tutti i servizi e i sostegni necessari ad una vera integrazione a partire dai corsi di italiano. Invitiamo le cooperative che eventualmente verranno contattate dalle Prefetture per una proroga dei contratti in essere ma alle cifre nuove di non aderire. E ringraziamo le cooperative che già hanno deciso di dare continuità ai servizi per l'integrazione e l'inclusione, tra cui linserimeto al lavoro, senza le quali non c'è vera sicurezza, con risorse proprie e raccolte sui territori consapevoli del rischio economico che correranno».

Resta, una volta di più, da sottolineare che l’idea sbagliata, dietro le scelte del Viminale, applicate dalle diverse Prefetture, è che l’accoglienza diffusa costi di meno. Ad esempio perché le persone cucinano da sole. Ma non tiene in conto che il costo degli affitti e delle utenze è proporzionalmente più alto (più appartamenti invece di un unico grande centro) o che un operatore in una struttura collettiva fa il giro delle stanze in pochi minuti, invece nell’accoglienza diffusa deve fare il giro di dieci appartamenti. Nella logica ministeriale gli immigrati devono stare per conto loro nell’appartamento e ogni tanto andare in un ufficio per risolvere i problemi. Ma in realtà l’accoglienza diffusa è più difficile e più costosa. Invece i grandi centri riceveranno di più e spenderanno di meno, grazie ai tagli dei servizi.

Senza tacere che nella filiera dei capitolati il migrante è uno scarto da accudire in una prima e sommaria accoglienza senza nessuna prospettiva di integrazione. L'Italia rischia di essere l'unico Paese dell'Unione europea a non insegnare ai richiedenti asilo la lingua del Paese ospitante, con quella che è una politica del disprezzo per quanto riguarda la partecipazione di queste persone alla vita pubblica.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA