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Social, blackout, maiuscole e humor: la risposta è Marta

Periodicamente qualcuno tira fuori l’ironia per giustificare una frase che svela quanto le persone con disabilità – soprattutto quelle con disabilità intellettiva – la società le guardi ancora dall’alto al basso, al massimo come oggetto a cui dare assistenza e cura, non certo come soggetto di pari diritti. Casalino, Grillo, Travaglio… oggi lo sconosciuto Casali. Alla sua foto rispondiamo con il bel volto di Marta, che il 21 marzo parlerà all'Onu

di Sara De Carli

E quindi il «Sovranista Militante, Social Media Manager e appassionato di Geopolitica», tutto rigorosamente con le MAIUSCOLE sul suo profilo Facebook «esulta» (sì, esulta) per essere finito «pure quest’anno sull’intera cronaca nazionale». Ci è finito, Augusto Casali, grazie a un tweet che ci rifiutiamo di rilanciare, in cui ironizzava – dice lui – sul blackout di Facebook, Whatsapp e Instagram (i social ieri pomeriggio sono stati “down” per un po') con la foto di tre bambine con sindrome di Down. «In queste ore sta avvenendo su Twitter una polemica su di un mio presunto post contro persone affette da sindrome di down», ha scritto poi. Lamentandosi di «quelli che infamano per un discutibile post di black humor».

Spiace dover tornare ai fondamentali. Ancora. All’abc. Partiamo dalle Maiuscole, che il Sovranista Militante tanto ama quando parla di sé ma non evidentemente quando parla di altri. Perché ecco, sì, invece la maiuscola nell’espressione sindrome di Down ci vuole, perché è il nome del medico britannico John Langdon Down che la descrisse nel 1866, benché poi venne identificata solo nel 1959 da Jérôme Lejeune come una trisomia del cromosoma 21. Se uno avesse saputo questo, avrebbe capito da solo che fare una presunta ironia giocando su Down e down (giù in inglese) non c’azzeccava per nulla. Ma proprio zero. A meno che non pensasse proprio quello che tiene "su" la “battuta”: ovvero che le persone con sindrome di Down siano tutte esse stesse "giù" per definizione… down, giù, sotto, meno, fuori-uso, difettose… il campo è quello.

E già che ci siamo – sì, faccio la maestrina con la penna rossa – diciamo pure che nemmeno l’espressione «persone affette da sindrome di down» va bene (ci era già cascato anche Matteo Renzi, ma poi sua moglie Agnese su Vanity Fair scrisse un pezzo bellissimo sulla nipotina con sindrome di Down). Perché la sindrome di Down non è una malattia che affligge chi ne è stato colpito. È una battaglia che le persone con sindrome di Down e le associazioni che le rappresentano stanno portando avanti da tempo: persone con sindrome di Down, è così difficile? Una caratteristica, da dire senza connotarla ed etichettarla. Persone, l’accento mettiamolo lì. Stop.

E poi l’ironia. Ma quale ironia? Periodicamente c’è qualcuno che tira fuori ‘sta storia dell’ironia per giustificare il fatto che culturalmente ancora purtroppo le persone con disabilità – soprattutto quelle con disabilità intellettiva – le guardiamo dall’alto al basso, al massimo come oggetto a cui dare assistenza e di cui prenderci cura, non certo come soggetto di pari diritti. Vi serve un elenco? Novembre 2018, Rocco Casalino; ottobre 2018, Beppe Grillo; settembre 2017, Marco Travaglio… Spesso la toppa è stata peggio del buco, perché ha svelato quanto il pensiero fosse radicato e non – appunto – una battuta. Augusto Casali questo pomeriggio ha chiuso il suo profilo Twitter. Tanta era la vergogna? Speriamo.

La donna che vedete in copertina, nella foto, si chiama Marta Sodano. Ha 25 anni, vive in provincia di Bergamo ed è una giovane donna con sindrome di Down. Lavora con soddisfazione in una azienda, con mansioni amministrative. Il prossimo 21 marzo sarà al quartier generale delle Nazioni Unite di New York, dove interverrà a nome di CoorDown in occasione della conferenza “Leave no one behind in education” per la Giornata Mondiale sulla sindrome di Down (WDSD – World Down Syndrome Day), insieme a numerosi speaker da tutto il mondo. Marta porterà la sua storia e la sua esperienza educativa, raccontando le difficoltà e le conquiste del suo percorso scolastico e di quanto questo sia stato decisivo per la sua attuale inclusione sociale e lavorativa. Ad maiora. Altro che down.


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