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Un centinaio i profughi in servizio civile con le ambulanze

I giovani - una cinquantina in Toscana - sono impegnati soprattutto nei servizi di accompagnamento di anziani e disabili. «Uno stimolo all'integrazione» osserva Caudia Barsanti responsabile servizio civile delle Misericordie

di Antonietta Nembri

Indossano la divisa delle Misericordie, li si può veder scendere da un mezzo attrezzato per il trasporto di anziani e disabili, più raramente da un’ambulanza: sono i giovani profughi che fanno servizio civile come volontari delle Misericordie, un centinaio in tutta Italia, una cinquantina nella sola Toscana.
«Hanno tutti preso il brevetto di primo soccorso e qualcuno anche il livello avanzato», racconta Claudia Barsanti Responsabile servizio civile delle Misericordie. Sono giovani tra i 19 e i 29 anni e spesso sono in Italia da meno di due anni. Stanno ancora imparando l’italiano. «Per loro è un’esperienza importante, ma a volte gli enti che gestiscono i centri di accoglienza ci mandano dei ragazzi che non parlano l’italiano e nel nostro servizio è importante relazionarsi, e purtroppo non riescono a passare la selezione del colloquio. Alcuni dei nostri giovani sono nei centri gestiti dalle Misericordie e allora sono gli stessi migranti a chiedere di fare volontariato con noi», continua Barsanti.

«Si danno davvero da fare anche perché si rendono conto che questa loro attività è importante per la loro integrazione, ma non mancano i problemi perché capita che vengano spostati da un Cas a un altro, oppure ottengono il permesso di soggiorno e non essendo autonomi si trasferiscono per cercare lavoro» racconta. Sottolineando come la conoscenza della lingua sia fondamentale «molti di questi giovani facendo servizio come volontari imparano anche sfumature della lingua che permette loro di entrare in sintonia con gli utenti».

Non si è mai lamentato nessuno, i pregiudizi? «Gli utenti difficilmente si lamentano o hanno qualcosa da ridere, piuttosto sono gli altri, quelli che guardano, i passanti… ci sono stati dei cittadini che vendendo un ragazzo di colore scendere da un mezzo abbia avuto qualcosa da ridire», afferma Barsanti che ricorda invece come il fare volontariato per questi giovani sia una grande spinta all’integrazione, ma anche a trovare un lavoro. «Una ventina di questi giovani che ha fatto servizio con noi ha trovato lavoro, chi stagionale chi annuale. Il passaparola soprattutto nei piccoli centri funziona ancora».

I cento giovani in servizio con le Misericordie sono un bell’esempio di integrazione che rischia di restare isolato perché, spiega Barsanti «oggi le convenzioni impongono un minimo di corso di italiano che quanto meno dà una base. Ma se non si insegnerà più la lingua come si possono integrare le persone?».