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Se burocrazia e politica senza visione fermano l’innovazione sociale

L'amministrazione capitolina pratica «un ottuso legalitarismo, che produce esclusivamente spazi vuoti». Questa l'amara riflessione del Ceo di Human Foundation pensando alla chiusura dello spazio di co-working l'Alveare: «Un modello dal basso, in antitesi a quei percorsi, sostenuti anche dall’attuale Amministrazione Comunale, che si “raccontano” come esperienze di rigenerazione e, nella sostanza, si limitato alla locazione di spazi che dovrebbero avere, essendo beni comuni, un uso comunitario»

di Federico Mento

Roma è una città complicata, solo chi la vive quotidianamente è in grado di comprendere a pieno questa affermazione. Urbanisticamente immensa, centinaia di chilometri quadrati privi di un disegno regolatore che possa dar forma al suo caotico sviluppo.
Estremamente fragile, anche a causa di una macchina amministrativa obsoleta, pachidermica e farraginosa. Profondamente diseguale, con poderose differenze di reddito che sono andate ad aumentare la distanza sociale tra le aree più centrali e le grandi periferie. Negli ultimi 15 anni, nessuna esperienza di governo della città ha espresso delle determinazioni che andassero ad affrontare le radici di quei problemi. Alla toponomastica della bontà dell’ultimo Veltroni, è seguita le tragicomica esperienza degli ex ragazzi del Fronte della Gioventù di Alemanno, passando per Marino, sindaco per caso fatto dimettere con la congiura del notaio, infine la sindaca Raggi. Rispetto a quest’ultima, faccio un’enorme fatica a trovare un’impostazione programmatica, o quanto meno delle suggestioni circa lo sviluppo della città. Si ha l’impressione di una gestione che non riesca mai ad alzare la testa, sempre in debito d’ossigeno, in una città che avrebbe bisogno di un pensiero vivace, in grado di decodificare e processare ciò che accade.

La vicenda della chiusura dell’Alveare, spazio di co-working dedicato a neo genitori in una zona periferica della città, dimostra appunto l’incapacità dell’Amministrazione, di leggere e comprendere i bisogni e, soprattutto, definire il ruolo che intende giocare nel grande scacchiere metropolitano. L’Alveare è un’esperienza davvero virtuosa, sia nella genesi, una cooperativa di donne che viene gemmata da un’esperienza associazionistica, sia nella valorizzazione di bene pubblico inutilizzato. Un modello dal basso, in antitesi a quei percorsi, sostenuti anche dall’attuale Amministrazione Comunale, che si “raccontano” come esperienze di rigenerazione e, nella sostanza, si limitato alla locazione di spazi che dovrebbero avere, essendo beni comuni, un uso comunitario.

Un’amministrazione locale sensibile e calata nella città, avrebbe saputo comprendere le potenzialità dell’esperienza dell’Alveare, individuare i dispositivi più efficaci per la gestione dello spazio, interpretando, appunto, il ruolo di un soggetto “abilitatore”. In tempi di contrazione di bilancio, di risorse insufficienti ad affrontare nuovi e vecchi bisogni, l’Amministrazione dovrebbe esercitare oggi compiti differenti, ad esempio attraverso un piano strategico relativo all’utilizzo del proprio patrimonio, che può divenire uno degli asset necessari alla creazione di processi di innovazione: spazi di co-working, incubatori/acceleratori, fablab ecc. Generare così una serie di infrastrutture sociali smart che nella città siano i nodi di un nuovo tessuto produttivo basato sulla conoscenza e che, al contempo, possano divenire una componente dell’offerta di welfare comunitario.

Al contrario, l’unico paradigma praticato dall’Amministrazione si basa sull’applicazione di un ottuso legalitarismo, che produce esclusivamente spazi vuoti. Davvero un peccato, mi auguro si possa avviare un confronto costruttivo affinché l’attuale Amministrazione comprenda la strategicità di politiche che supportino i processi di innovazione che nascono nella città.

Nonostante la severità della nuova sfida, sono certo che le ingegnose socie dell’Alveare sapranno costruire, anche grazie alle relazioni di buon vicinato che hanno saputo stringere con le reti cittadine, una soluzione che restituisca uno spazio alle tante e tanti cowokers che in questi anni si sono rivolti all’Alveare per trovare un luogo che potesse favorire la conciliazione tra il tempo della vita e quello del lavoro.

*Ceo di Human Foundation

In apertura foto della piazza del Campidogio (CC BY-SA 3.0)


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