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Il senso della velocità: un “ABC” della Tav

Scorrere le pagine dell’Analisi Costi Benefici redatta dalla commissione di esperti guidata dal professor Marco Ponti lascia di stucco: è un libro sul futuro in cui a fronte di una serie di dati espressi in misure assolute e percentuali si cerca di giustificare l’opportunità o meno di ridurre la durata del viaggio di un treno merci di un’ora, nel 2053. Ma conviene davvero non investire sul nostro domani?

di Angelo Moretti

Scorrere le 79 pagine dell’Analisi Costi Benefici redatta dalla commissione di esperti guidata dal professor Marco Ponti lascia davvero di stucco. È un libro sul futuro in cui a fronte di una serie di dati espressi in misure assolute e percentuali si cerca di giustificare l’opportunità o meno di ridurre la durata del viaggio di un treno merci di un’ora, nel 2053. Questo almanacco del futuro, scritto con tono più pacato che tecnico, leggibile e godibile anche per non esperti, anche se non del tutto intellegibile per i non addetti ai lavori, è davvero un pezzo di letteratura contemporanea.

Questo gruppo di cinque esperti, quattro tecnici, ingegneri ed architetti, ed un economista, ricava un’ipotesi da una serie di tesi e di variabili: aumento del pil nei prossimi trent’anni, flusso dei trasporti su gomma e su ferro nel 2035 e 2053, flusso di passeggeri di tangenziale ed autostrade che potrebbero agevolarsi della deflazione del traffico nel 2053, costo dei biglietti, aumenti delle accise e dei pedaggi. Il compito dell’Analisi Costi Benefici sintetizzata nelle ultime pagine delle conclusioni è dire se “conviene o meno” investire 5 miliardi e mezzo di euro, circa, per raggiungere il risultato di un’ora di tempo in meno in un viaggio di un treno merci di 1300 km, con una equivalenza di risparmio per i singoli camionisti che gli analisti ritengono si aggiri intorno ai 50,00 euro a viaggio, che risparmierebbero dal fatto di non dover attraversare i trafori del Frejus e del Monte Bianco.

Il ’900 era detto il secolo breve per l’accelerazione delle sue trasformazioni, il 2000 è certamente un secolo ancora oscuro da definire, gli antropologi piuttosto unanimamente la chiamano post-modernità per indicare che è un’era “post” ancora non definita. L’idea che un libro di 79 pagine possa discutere circa l’utilità strategica o meno di ridurre di un’ora un viaggio nel 2053 un tragitto ferroviario deve farci riflettere parecchio.

I detrattori della TAV la chiamano “opera inutile” perché la spesa non vale l’impresa e la distruzione ambientale che consegue alla sua costruzione non è pari ai vantaggi ambientali che dal 2053 in poi si ricaverebbero dall’uso sostitutivo degli autoveicoli. I fautori della TAV la reclamano a gran voce perché la mancanza di questa infrastruttura comporta un rischio di isolamento commerciale dell’area, che per questo diventa anche meno competitiva, a fronte di altre tratte europee già meglio servite ed in più difendono l’idea che un cantiere così importante in tempo di crisi, pagato in buona parte da fondi Europei e transnazionali, sia sempre fonte di ricchezza ed un’occasione da non perdere.

Leggendo il libro del futuro viene in mente altro: l’occasione da non perdere è proprio avere un futuro da progettare di così lunga durata. Ed il futuro può essere in mano solo ad ingegneri ed economisti?

Possibile che in una commissione così importante non ci si possa arricchire del punto di vista degli antropologi, dei sociologi, dei filosofi e delle culture umaniste in genere? Si può progettare il futuro calcolando il costo “vita” di un incidente mortale senza le conseguenze che le morti hanno per i sopravvissuti cari al defunto? Si può calcolare il grado di nervosismo e di frustrazione generato dalla perdita di una valle ritenuta “sacra” per i suoi abitanti o dal traffico mai decongestionato con le giuste opere alternative alla circolazione stradale attuale?

Pare che nel 1240 Federico II di Svevia volle a Castel del Monte, Andria, quel castello in pianta ottagonale ancora praticamente intatto, per dare la possibilità ai grandi scienziati di saperi diversi,sia nelle scienze umane che naturali e fisiche, di discutere in modo sinergico di tutti i temi che interessavano il mondo di allora, potrebbe essere utile ancora oggi.

Inoltre: in un’analisi sulla riduzione del tempo di viaggio di un treno di merci, non sarebbe importante aggiungere anche il contributo dei demografi e discutere del fatto che senza una vera politica di accoglienza l’Italia resterà per quella data un paese abitato essenzialmente da anziani?

Chi guiderà quei camion? I container che andranno verso Lione avranno tutti una scritta cinese sui fianchi ora che siamo ufficialmente sulla via della Seta? Per chi stiamo costruendo o bocciando una nuova ferrovia?

Molti adolescenti in queste settimane, sulla spinta di Greta, hanno gridato nelle piazze che bisogna agire ora per fermare il cambiamento climatico, perché non abbiamo un pianeta B. Il problema è che i dati sulla distribuzione di ricchezza ci dicono che un pianeta B esiste già, ed è quello accessibile solo ai ricchi ed i benestanti. Oggi l’alta velocità è già una grande occasione per unire il centro-sud Italia al Nord in modo ecologico ed efficiente, ma nel frattempo divide le persone ed i cittadini in classi sociali. Da un lato quelli che possono permettersi i treni passeggeri ad alta velocità e che possono entrare nelle sale d’attesa delle stazioni, che fino a ieri erano accessibili a tutti, perché hanno le carte “fedeltà” adatte, dall’altra coloro che non hanno il biglietto ed hanno ed avranno treni sempre più scandenti a servirli. Senza uno studio che contempli anche gli effetti della diseguaglianza sociale negli anni a venire, la cui forbice è in continuo allargamento secondo tutti gli studi mondiali, nessuna valutazione con cognizione di causa è possibile fare sul mondo del 2053.

Un’ora in meno può essere molto o poco importante, migliaia di lavoratori assunti saranno certamente importanti, ma ciò che dovrebbe più di ogni cosa essere chiarito è il senso di questa velocità, verso quale mondo stiamo andando?

L’ACB non lo dice e per questo è un’analisi profondamente monca, un’analisi tecnica basata su quel sapere che Edgar Morin definisce “ binario” e che oggi non è più utile a leggere ed interpretare una società complessa: i cantieri della realtà sono molto più complessi e variopinti dei cantieri teorici dei laboratori scientifici.

Una grande opera deve dirci, complessivamente, che società intende contribuite a costruire, non i pochi o tanti effetti reali che produrrà ( un’ora in meno, 50 euro in meno, 5 milliardi in meno, disoccupazione in più…) in una società in continuo mutamento.


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