Welfare & Lavoro

Le “case famiglia”? Un luogo per sperimentare che una vita diversa è possibile

Samantha Tedesco, responsabile programmi e advocacy di SOS Villaggi dei Bambini ribalta la prospettiva del ministro Salvini: «questi non sono luoghi dove i bambini vengono sottratti, ma luoghi in cui i bambini vengono protetti da famiglie maltrattanti. Solo in Italia abbiamo l’idea che i problemi vadano risolti in casa, costi quel che costi. Ma con questa prospettiva non favoriamo la possibilità di sperimentare vite diverse»

di Sara De Carli

Storie di resilienza. E di bellezza. «Noi vorremmo raccontare le cose positive che succedono in accoglienza, la bellezza di percorsi che portano bambini e ragazzi che hanno conosciuto la violenza a diventare adulti capaci di fare famiglia e di prendersi cura dei propri figli, senza più bisogno dei servizi. Tanti ragazzi ripetono questo bisogno, di sentire su di loro, da parte dell’opinione pubblica, uno sguardo che permetta di valorizzare l’esperienza che hanno vissuto». Samantha Tedesco è la responsabile programmi e advocacy di SOS Villaggi dei Bambini Italia e risponde così al dibattito sul presunto business delle "case famiglia" riacceso in questi giorni dalla Lega. SOS Villaggi dei Bambini ha otto programmi attivi in Italia, di cui beneficiano 1.213 persone fra bambini, giovani e adulti; 32 in particolare sono le Case Famiglia e 21 le Case dei Giovani o appartamenti autonomia, per 334 bambini e ragazzi, fra cui 64 neomaggiorenni.

Cosa accade qui dentro? «I ragazzi che arrivano da noi non hanno mai imparato a fidarsi degli altri, perché quegli adulti che dovrebbero proteggerli sono gli stessi che agiscono il maltrattamento. Tutti noi tendiamo a replicare da adulti i comportamenti appresi in famiglia, di conseguenza l’aver conosciuto in comunità degli adulti con comportamenti diversi, consente di imparare che se c’è affetto autentico non si può non rispettare l’altro… Allora piano piano si scardinano meccanismi inconsci e si diventa capaci di avere fiducia nell’altro, non replicando quanto si è visto e appreso in famiglia», racconta Samantha. «Tanti ragazzi allora ci dicono “sono quello che sono grazie all’essere andato in comunità”, ho imparato che possono fidarmi, rispettare, ambire a un futuro positivo per me… Perché chi vive in situazioni di deprivazione è abituato ad accontentarsi, con poche possibilità di ambire il futuro». Ecco allora che cos’è l’esperienza della comunità: «un luogo di protezione e una finestra su un’altra possibilità di vita e di futuro». Anche «alcuni genitori trascuranti a distanza di tempo dicono “grazie”. Grazie al fatto che io per un periodo di tempo ho potuto “lasciarmi curare”, ho riscostruito una relazione con i miei figli», afferma Samantha. E che dire delle tantissime mamme, accolte insieme ai loro figli nelle 13 case mamma-bambino di SOS Villaggi dei Bambini? «Sono mamme che hanno trovato qui la possibilità di sfuggire a un destino di maltrattamenti e vessazioni», sottolinea.

Dinanzi a chi parla delle case famiglia come realtà «che tengono in ostaggio migliaia di bambini», come ha fatto nei giorni scorsi il ministro Salvini, per Samantha al contrario «è utile sottolineare che in Italia in realtà si allontana poco e che troppi bambini restano in famiglie maltrattanti. Da noi l’allontanamento ha più che altro un’accezione negativa, mentre in altri Paesi le famiglie vanno spontaneamente ai servizi per chiedere aiuto, non c’è idea che il figlio ti sia sottratto… Siamo solo noi ad avere l’idea che i problemi vadano risolti in casa, costi quel che costi. Con questa prospettiva però non favoriamo la possibilità di sperimentare vite diverse e di interrompere le difficoltà». Samantha, che nelle comunità ci lavora, ribalta la prospettiva: «questi non sono luoghi dove i bambini vengono sottratti, ma luoghi in cui i bambini vengono protetti e tutelati, perché in un certo periodo della loro vita non riescono ad avere attenzioni da famiglia. Dobbiamo parlare in termini di protezione. I dati più recenti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, raccolti nel Quaderno 42, descrivono un quadro sostanzialmente stabile da un decennio, non c’è un allarme collocamento fuori famiglia. Casomai quello che emerge è che che tanti bambini maltrattati on hanno misure di protezione, se un allarme c’è, è quello. C’è poi un cambiamento nel profilo dei minori accolti, che sono cresciuti di età: vuol dire che si interviene sempre più tardi, la contrazione dell’investimento del pubblico fa sì che l’allontanamento sia una misura presa tardi, nella preadolescenza, dopo aver subito maltrattamenti e abusi per anni. La protezione andrebbe ripensata come uno strumento da mettere in campo, fra gli altri, e non come ultima spiaggia e sempre con un’accezione negativa».

Foto di Ugo Panella per SOS Villaggi dei Bambini


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