Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Cooperazione & Relazioni internazionali

I 50 dispersi e il paradosso dell’accusa dei “guardacoste” libici all’Italia

I 50 migranti dispersi a largo di Zwara dopo la prima segnalazione di lunedì da parte di Alarm Phone alle autorità competenti, il paradosso della cosiddetta Guardia Costiera libica che ora accusa i “colleghi” italiani e i 64 da poco salvati salvati dalla nave Alan Kurdi di Sea Eye, unico mezzo navale delle Ong ora nel Mediterraneo

di Alessandro Puglia

Il pattugliatore dell’umanità si chiama oggi Alan Kurdi della Ong tedesca Sea Eye, l’unico mezzo navale della società civile al momento presente nel Mar Mediterraneo che ha da poco tratto in salvo 64 migranti, tra cui 10 donne, 5 bambini e un neonato. La notizia è stata data su Twitter dalla stessa organizzazione umanitaria che ha comunicato il riuscito soccorso e ha pubblicato una sequenza di foto dove tra i migranti tratti in salvo si vede un uomo in ginocchio con le mani rivolte al cielo. La nave Alan Kurdi si trovava a largo della Libia dopo aver cercato a lungo i 50 migranti dispersi di cui non si hanno più notizie da lunedì alle 22,02 dopo l’ultimo contatto con Alarm Phone, la piattaforma che presta servizio telefonico per supportare le operazioni di soccorso dei migranti e che ha lanciato l’Sos.

Una ricerca estenuante per la nave della Ong tedesca che nonostante il salvataggio delle ultime ore ripensa a quei 50 migranti, tra cui donne e bambini, che potevano essere salvati, ma che ora si aggiungono all’elenco sterminato dei dispersi in mare, lo stesso elenco in cui si trovano i 41 migranti della settimana scorsa di cui si sono perse le tracce.

Cinquanta dispersi più quarantuno che chiamano ancora una volta in causa il Governo italiano e la cosiddetta Guardia Costiera libica che ora tramite il suo portavoce attacca chi, tra violazioni dei diritti umani, la sta rendendo un poco celebre: «le chiamate degli italiani alla Guardia Costiera libica senza particolari e notizie vere sono inaccettabili», dice Ayoub Quasem, il portavoce della Marina militare libica all’agenzia Nova.

L’inferno dei 50 a largo di Zwara comincia lunedì, a dare l’allarme è Alarm Phone che avvisa la Guardia costiera libica e successivamente la Guardia costiera italiana. Alarm Phone rende noti tramite il suo canale Twitter i vari passaggi che seguono il primo Sos di lunedì e che pubblichiamo per intero:

Dove sono? Ieri sera alle 22.00 CEST circa 50 persone inclusi uomini, donne e bambini su una barca vicino alla #Libia hanno chiamato l’Alarm Phone. Ci hanno mandato la posizione GPS ma la comunicazione è stata interrotta. Siamo riusciti a ricontattarli solo una volta, alle 22.02.

Da ieri sera abbiamo cercato di contattare la c.d. ‘Guardia Costiera’ libica ininterrottamente su diversi numeri di telefono. Quando abbiamo informato #MRCC #Roma della mancanza di risposta della #Libia ci hanno passato un numero che avevamo già tentato diverse volte senza esito!

Da circa 12 ore nessuno risponde al telefono del gruppo di #migranti. Siamo preoccupati perchè nessuna autorità è disponibile a soccorrere. La @guardiacostiera italiana non fornisce informazioni. Non ci comunicano neanche se sono riusciti a contattare le autorità libiche.

Ieri, martedì 2 aprile, alle 17.10 la Guardia Costiera italiana diffonde il comunicato stampa a seguito dell’allarme ricevuto da Alarm Phone «in merito a una probabile partenza di un barcone dalla Libia con circa 50 persone a bordo», dove veniva riferita la sempre “probabile” posizione dell’unità a nord di Zwara: «essendo la posizione segnalata all’interno dell’area sar di responsabilità libica – prosegue il comunicato – la Guardia Costiera italiana ha immediatamente inoltrato le informazioni ricevute alla Guardia Costiera libica che ha assicurato l’avvenuta ricezione degli elementi forniti, per le successive azioni di competenza», conclude il comunicato.

I cinquanta dispersi però non si trovano e secondo quanto riferito dal portavoce della Marina militare libica, Ayoub Quasem, all’agenzia Nova: «la controparte italiana non ha comunicato la posizione dell’imbarcazione andata dispersa davanti alle coste di Zuara». La cosidetta Guardia costiera libica, secondo quanto riferito da Qasem, non aveva quindi le coordinate per poter intervenire. Il portavoce ha inoltre aggiunto che «la telefonata della guardia costiera italiana potrebbe essere una scusa: non potevamo certo uscire in mare per sapere dove andare».

La fantomatica Guardia Costiera libica rimanda così le responsabilità al mittente, nonostante il barcone con 50 persone a bordo fosse all’interno della da poco esistente Sar (zona di ricerca e soccorso) libica. Un vero e proprio pasticcio, l’ennesimo che si commenta a suon di comunicati, e di cui a farne le spese sono sempre i migranti di cui non si ha più traccia.

Scrive Alarm Phone il giorno dopo l’Sos su Twitter:

50 persone sono ancora scomparse. Ti abbiamo cercato tutta la notte. La coordinata è conosciuta per la guardia costiera libica dal 2. Aprile alle ore 05.20 UTC. Il Watch The Med-Alarmphone ha condiviso l'ultima posizione conosciuta.

Ieri sera un portavoce della guardia costiera libica annuncia che, ovviamente, solo poi si manderanno navi libiche, se la posizione del pericolo fosse nota. A quanto pare i partner europei in Libia non hanno capito cosa significa #sar (#Search & #Rescue)

L’ultimo tweet di Alarm Phone non rasserenante sul destino dei 50 dispersi risale ad oggi, qualche ora prima dell'avvenuto soccorso dei 64:

Abbiamo cercato di contattare ininterrottamente la c.d GC Libica ieri notte e stamattina. L’ultimo contatto con le persone in pericolo è stato più di 38 ore fa. In mancanza di cooperazione da parte delle autorità, non ci è rimasto altro che sperare che siano sopravvissuti.

Che i 50 migranti dispersi siano salvi lo spera anche un’umanità che resiste, le Ong chi per un motivo o un altro sono tenute lontane dalla zona di ricerca e soccorso, le associazioni governative e non, l’ultima l’Oim che ha dichiarato come la Libia non è da considerarsi un porto sicuro. Scrive il Centro Astalli in merito ai 41 dispersi più gli ultimi 50 di cui non si hanno più notizie: «Diventa sistematica la violazioni di leggi, convenzioni e norme cogenti per cui non si possono lasciar morire in mare uomini e donne. Chi ricopre ruoli istituzionali non può derogare alla sua precisa responsabilità di tutelare la vita, la dignità e i diritti di ogni essere umano. Classificazioni, distinguo, esclusioni e discriminazioni, quando vi sono in gioco diritti inalienabili, minacciano la libertà e la vita di tutti anche di quei cittadini che si dichiara, in una costante campagna elettorale, di voler difendere dalla presunta invasione. Il Centro Astalli chiede canali umanitari, programmi di reinsediamento, quote e visti di ingresso in Europa strutturali e a lungo termine. Nell’immediato chiede il ripristino di azioni di ricerca e soccorso di quanti rischiano la vita in mare, in mancanza di alternative legali».

I sessantaquattro migranti salvati oggi dal pattugliatore Alan Kurdi, che prende il nome del bambino siriano di tre anni morto nella spiaggia di Bodrum in Turchia, non danno una speranza ai dispersi, ma una consolazione per chi si è riuscito a salvare. Succede sempre così.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA