Cooperazione & Relazioni internazionali

Inclusione sociale, l’Italia scende in classifica

Presentata oggi a Roma la quinta edizione del We World Index, l’unico al mondo che misura l’inclusione di bambini, adolescenti e donne, in 171 Paesi. In vetta la Norvegia, ultima la Repubblica Centrafricana. L’Italia passa dalla18esima posizione del 2015 alla 27esima

di Cristina Barbetta

Giunto alla sua quinta edizione, il WeWorld Index è l’unico rapporto al mondo che misura l'inclusione di bambine, bambini, adolescenti e donne, in 171 Paesi al mondo. È promosso da WeWorld-Gvc Onlus, organizzazione italiana indipendente che lavora in 29 Paesi, compresa l’Italia, per promuovere progetti di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario. Il WeWorld Index è stato presentato oggi a Roma.

Il rapporto utilizza 34 indicatori, non solo economici ma anche sociali, 14 dei quali riguardano il contesto in cui vivono i bambini: ambiente, accesso all’acqua, presenza o meno di conflitti, democrazia… Ci sono poi circa 20 indicatori che riguardano gli ambiti sociali specifici degli under18 e delle donne. L’inclusione è intesa in un’accezione innovativa, nella prospettiva degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Riguarda non solo la sfera economica, ma tutte le dimensioni del sociale: educativa, economica, sanitaria, culturale, politica, ambientale…

Il focus tematico dell’edizione 2019 sono i conflitti come barriera all’educazione. «Nel mondo, oltre 100 milioni di bambini e bambine che non vanno a scuola vivono in contesti di crisi create da conflitti e guerre», dichiara Marco Chiesara, presidente di WeWorld-Gvc Onlus. «Le scuole sono sotto attacco e non possiamo aspettare la fine delle crisi per sostenere l’istruzione. Non può esserci, infatti, progresso senza pace e stabilità. È quindi necessario avviare programmi di educazione in emergenza prima possibile, per creare un ambiente scolastico ed educativo pulito, sano e sicuro (specie per le bambine). Oltre un terzo dei nostri programmi nel mondo, 40 su 120, riguardano contesti di emergenza, in cui l’aiuto ai bambini, alle bambine e agli insegnanti è per WeWorld-Gvc una priorità».

  • La classifica

WeWorld Index 2019 misura 171 Paesi, comparando le condizioni e la qualità della vita di donne e bambini e raggruppando i Paesi in una classifica finale, da quelli con miglior tasso di inclusione ai Paesi caratterizzati da gravissima esclusione.

«Promuovere e difendere i diritti dei bambini insieme a quelli delle donne è importante perché si tratta delle categorie più a rischio di povertà, esclusione e violazioni di diritti umani», commenta Stefano Piziali, Responsabile Advocacy, Policy e Partnership WeWorld Onlus.

In vetta all’indice per inclusione di bambini/e, adolescenti e donne ci sono i Paesi del Nord Europa. Il primo Paese in classifica è la Norvegia, seguita da Islanda, Svezia e Danimarca, Svizzera e Finlandia. Seguono il Canada, la Nuova Zelanda e l’Australia. Questi Paesi si confermano le aree con le migliori condizioni di vita per bambine/i, adolescenti e donne. «Il posizionamento dei Paesi del Nord Europa fa riflettere sul grado di forza del loro sistema di welfare, che è ineguagliabile a livello mondiale», spiega Stefano Piziali. Buona inclusione anche in Francia, Germania e Gran Bretagna, mentre solo sufficiente l’inclusione negli Stati Uniti (appena un punto in più dell’Italia).
L'ultimo Paese in classifica è la Repubblica Centrafricana (171°), che si conferma per il quinto anno consecutivo il peggior Paese al mondo per l’inclusione di bambini/e e donne. Rispetto al 2018 il divario tra il primo paese in classifica e l’ultimo è peggiorato di 6 punti, perché il paese africano continua ad allontanarsi dalla media mondiale.

Uno degli elementi più significativi dell’edizione 2019 dell’index è il progresso indiano: grazie all’ingresso dell’India nella categoria dei Paesi con insufficiente inclusione diminuisce di circa 1,4 miliardi la popolazione dei Paesi con gravi forme di esclusione di bambine/i adolescenti e donne.

Nelle due categorie della grave o gravissima esclusione coi sono solo Paesi africani oltre a alcuni Paesi del Medio Oriente, dell’Asia e del Pacifico: Yemen (165°), Afghanistan (162°), Siria (153°), Pakistan (145°), Papua Nuova Guinea (141°), Haiti (134°), Bangladesh (131°), Iraq (129°), Timor Est (125°). In fondo alla classifica si confermano i Paesi dell’Africa subsahariana. Un fattore che accomuna quasi tutti i Paesi che si sono posizionati in fondo alla classifica è la presenza di conflitti interni o internazionali o un alto grado di insicurezza (Repubblica Centrafricana, Ciad, Mali, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Niger, Yemen, Afghanistan, Burkina Faso Siria, Burundi). Il cambiamento climatico è un altro fattore di crisi che colpisce vari Paesi che si sono posizionati tra gli ultimi.

L’Italia, dal 2015, prima edizione del WeWorld Index, ha continuato a perdere posizioni in classifica e anche il suo punteggio si è abbassato: dalla 18esima posizione nel 2015 con 66 punti è passata alla 27esima posizione del 2019 con 57 punti. La sua performance è classificata come solo “sufficiente” rispetto alla “buona inclusione” della maggior parte dei Paesi europei. I motivi per cui l’Italia ha perso 9 posizioni sono diversi e complessi: in primo luogo si deve tenere conto dell'avanzamento di altri Paesi. L’Italia è scesa in classifica perché altri Paesi (Bulgaria, Portogallo, Repubblica Ceca) l’hanno superata. In secondo luogo bisogna tenere conto dei cattivi risultati del nostro Paese in alcune dimensioni dell’Index. «Mentre per le dimensioni relative a salute, capitale umano ed economico (indicatori relativi alla salute, accesso all’istruzione, ricchezza prodotta), l’Italia continua a beneficiare di una discreta rendita di posizione costituita nei decenni precedenti, non altrettanto si può dire per le dimensioni ambientali, l’inclusione economica delle donne, la partecipazione, e l’accesso alle cariche politiche delle donne e l’inserimento lavorativo dei giovani», spiega una nota dell'organizzazione. Rimane anche nel 2019 la povertà educativa, esaminata nel rapporto del 2018 come una delle 5 barriere che impediscono l’accesso a un’educazione di qualità e inclusiva, dal momento che l'impoverimento sociale legato alla dimensione educativa continua. Non migliorano neanche gli indicatori relativi alla violenza di genere e sui bambini.

«Solo puntando sulla promozione di politiche sociali indirizzate a favorire l’inclusione economica e politica delle donne, il mantenimento nei percorsi di istruzione dei giovani studenti, l’abbassamento del tasso di disoccupazione e maggior attenzione alla sostenibilità ambientale, in particolar modo in zone periferiche e svantaggiate, l’Italia può sperare di tornare ai livelli delle principali democrazie europee», conclude Chiesara.

  • Conflitti come barriera all’educazione

I conflitti costituiscono una delle principali barriere all’accesso all'educazione in diversi paesi del mondo. Nel WeWorld Index 2019 vengono esplorate le conseguenze dei conflitti sull’educazione, poiché in molti paesi costituiscono la principale ragione dell’interruzione dei percorsi d’istruzione: nel mondo su 302 milioni di bambini che si trovano fuori dalla scuola, più di 104 milioni vivono in contesti di emergenza.

In Siria per esempio oltre 700.0000 bambini non hanno accesso a un’educazione. Oltre un milione rischia di abbandonarla, in seguito alla distruzione delle scuole e all’abbandono della professione da parte degli insegnanti. Inoltre le scuole spesso sono trasformate in caserme, quando non sono bombardate e danneggiate. Il diritto all'istruzione e gli istituti scolastici/universitari sono sotto attacco: «Uccisione di studenti, insegnanti e personale, distruzione di edifici e infrastrutture, stupri e violenze, arruolamento di bambini e bambine, minori migranti sfollati e rifugiati, negazione degli aiuti umanitari, utilizzo degli edifici scolastici a fini militari», spiega una nota di WeWorld-Gvc.

L’Index racconta buone pratiche di intervento di WeWorld-Gvc per garantire l’educazione in aree di conflitto. Tra le azioni di WeWorld-Gvc per l’educazione di emergenza c’è il Community Protection Approach, che consente di promuovere programmi multisettoriali per le popolazioni più vulnerabili, creando un ambiente favorevole alla loro responsabilizzazione: le comunità beneficiarie diventano protagoniste dei processi di aiuto nel loro territorio.

Foto: © WeWorld-Gvc Onlus


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