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L’insolenza arrogante del social media manager di Inps

La pagina Facebook dell’ente si è esibita in un atteggiamento irridente nei confronti degli utenti (spesso evidentemente persone in difficoltà) che commentavano il reddito di cittadinanza. La vicenda è stata bollata come esilarante dai più. Ma apre invece una riflessione necessaria sulle relazioni al tempo dei social e di quanto ancora ci sia da imparare nella gestione della disintermediazione

di Lorenzo Maria Alvaro

L’ultimo post della pagina Facebook di Inps per la Famiglia (l’ambito Inps alle prese con il Reddito di Cittadinanza) si scusa con gli utenti che «possano essersi sentiti toccati od offesi da alcune nostre risposte» oltre a chiarire che «risponderemo solo a commenti inerenti agli aspetti tecnici delle prestazioni erogate da Inps» in linea con «quanto previsto dalla netiquette e dalla social media policy della pagina».

Perché un post del genere? Perché la pagina è stata presa d’assalto dagli utenti proprio in materia di Reddito Di Cittadinanza. Tanti cittadini hanno deciso di usare il canale social per porre quesiti, lamentarsi, chiedere delucidazioni e litigare.

E con buona pace della netiquette e della social media policy di Inps il social media manager dell’ente si è esibito in una serie di risposte sempre più aggressive, ironiche e irriverenti.

Ora è del tutto evidente che moltissimi dei commenti erano e sono scritti in un italiano stentato, spesso anche di difficile comprensione. È altrettanto vero che in molti si sono rivolti alla pagina Facebook come se si trattasse dello sportello Inps, chiedendo vere e proprie analisi dei singoli casi. Moltissimi poi hanno usato la pagina per sfogare la propria frustrazione rispetto all’esito delle loro richieste e agli importi deludenti rispetto alle attese.

Ma è proprio per questo che esistono i social media manager e vengono retribuiti: gestire la complessità della gestione di nuovi canali di relazione in un’epoca totalmente disintermediata. Senza contare che la magior parte delle persone che ha commentato sulla pagina di Inps per la famiglia vive evidentemente situazioni di grande disagio.

Leggere minacce di segnalazioni alle autorità con pene fino a sei anni di carcere con relativa predica etica all’indirizzo di chi sottolineava come il proprio figlio avesse fin a quel momento lavorato in nero, oppure commenti denigratori nei confronti di utenti che affermavano di avere difficoltà tecnologiche per l’utilizzo che gli stessi fanno dei propri social non ha nulla a che vedere con la netiquette, con le policy e a dire il vero neanche con il buongusto.

Ma non è un tema etico o di bon ton. La vicenda porta a galla una serie di questioni che vanno ben oltre l’eleganza e l’educazione.

In primo luogo lascia pensare la sconcertante franchezza di quanti si sono affidati a quel "luogo" virtuale e pubblico, portando allo scoperto situazioni personali difficili, molto dure, alcune imbarazzanti e altre palesemente illegali. Una dimostrazione del cambiamento anche antropologico che la tecnologia e i nuovi strumenti hanno generato.

C’è poi il ruolo dei social media: ormai immaginarli come qualcosa di separato dalla vita reale è semplicemente sbagliato. Nel rapportarsi con il mondo social è necessario cominciare a considerarlo come un ambito della realtà relazionale a tutti gli effetti. Soprattutto se quel social non è solo una pagina personale ma un canale aziendale.

Che spesso nell’uso dei social il singolo si lasci andare a toni e modi che mai si avrebbero nella vita reale, complice la distanza e la mancanza della fisicità dell’interlocutore è un tema culturale. E come tale è difficile da affrontare con efficacia. Che lo stesso avvenga in un ambito professionale invece è molto più grave. È del tutto impensabile che un cittadino venga trattato con la sfacciataggine e l’insolenza usata su Facebook ad uno sportello fisico Inps. Come è possibile che non ci sia cultura nell’uso di questi strumenti neanche in ambito professionale e per giunta in un ente pubblico?

Ogni volta di più ci troviamo di fronte alla necessità di imparare ad usare questi mezzi nel modo giusto. Già il solo fatto che l’Inps parli di social media policy della propria pagina Facebook, chiedendo agli utenti di non comunicare fra loro e non intavolare discussioni, come se la piattaforma fosse dell’ente di previdenza lascia capire quanto non abbiamo idea di come funzioni e come si usi Facebook.

Vogliono imporre le proprie policy aziendali agli “utenti” di un’altra azienda utilizzando il prodotto di quella azienda. Una pretesa insensata, oltre che inutile. Questione che si complica perché quegli stessi “clienti” Facebook sono anche “clienti” Inps. Quindi in una sola mossa il social media manager Inps offende i propri clienti, i clienti di un’altra azienda, pretende di dettare regole nel perimetro di un prodotto di quell’altra azienda che però usa, non conoscendone le regole, per informare chi chiede informazioni su un servizio Inps.

Un ginepraio che sarebbe il caso di cominciare a prendere in considerazione seriamente.


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