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Sri Lanka, Papa Giovanni XXIII: «Restiamo qui per condividere lo sgomento»

A parlare è Giovanna Fattori, che da tre anni presso la Diocesi di Ratnapura, vicino a Colombo, si prende cura di ragazzi con handicap e malattia mentale, per conto dell’associazione. «È un Paese accogliente dove non abbiamo mai vissuto o avuto sentore di discriminazioni nei confronti dei cattolici o di tensioni a sfondo religioso. Questa violenza è stata un fulmine a ciel sereno»

di Lorenzo Maria Alvaro

Nel giorno di Pasqua un attentato multiplo che ha colpito contemporaneamente tre città diverse dello Sri Lanka ha provocato la morte di almeno 359 persone diventando il più sanguinoso attentato terroristico asiatico e il secondo al mondo dono l’11 settembre. Le esplosioni principali si sono verificate in tre chiese e in tre alberghi. L’attacco più grave dovrebbe essere stato quello alla chiesa di San Sebastiano a Negombo, poco a nord della capitale Colombo, dove sono morte oltre 100 persone. L’azione è stata rivendicata dall’Isis.

Proprio a pochi chilometri da Colombo vive e lavora, ormai da tre anni, Giovanna Fattori, che presso la Diocesi di Ratnapura, si prende cura di ragazzi con handicap e malattia mentale, per conto dell’associazione Papa Giovanni XXIII. L’abbiamo intervistata.


Qual è il vostro impegno nel Paese?
Qui abbiamo una realtà di accoglienza per disabili aspetta nel 2005 e che si prende cura di una decina di giovani, maggiorenni, cresciuti per lo più in istituto o comunque rifiutati dalle proprie famiglie. Sono divisi in due casi, una maschile e una femminile. Il nostro impegno è quello di fare famiglia e condividere la vita con gli “scarti” di questa società. La condivisione come via per integrare le persone rigettate dalla comunità locale. Farli sentire importanti e dargli dignità. Per farlo evitiamo di tenerli nascosti ma, dove è possibile, dargli visibilità per far godere anche agli altri a bellezza che queste persone rappresentano e il loro essere felici di vivere nonostante tutto.

Com’è la vita di un cattolico in Sri Lanka?
In generale la vita qui non conosce ostacoli particolari. Ognuno può vivere la propria fede tranquillamente. Buddisti, musulmani, indù e cristiani hanno i propri luoghi di culto e convivono pacificamente e tranquillamente. Non ci sono preclusioni o chiusure né tensioni. Per questo gli attentati a mio avviso non erano prevedibili o preventivabili. A 10 anni dalla fine degli scontri etnici sembrava si fosse ritrovata una dimensione di vita nella convivialità delle differenze, usando un’espressione cara a don Tonino Bello.

Il giorno di Pasqua lo Sri Lanka è stato sconvolto da una serie di attentati che, colpendo alcune chiese e alberghi del Paese, hanno ucciso 359 persone. Dopo tre giorni nonostante ci siano ancora molti dubbi sembra che a organizzare il massacro sia stata una cellula estremista islamica locale con il sostegno di Isis. Qual è il clima in questo momento?
Questa violenza, giunta come un fulmine a ciel sereno, ha lasciato un clima di sgomento e di paura. C’è grande preoccupazione perché non si sa ancora quanto durerà questa minaccia e che conseguenze potrà avere. Noi cerchiamo di condividerlo con le persone essenzialmente stando qui e continuando nel nostro impegno.

Dunque contrariamente a quello che dice la stampa quella dell’islamismo radicale non era una presenza percepita?
Assolutamente. Quello che invece oggi è percepito in modo chiaro è l’instabilità sociale e politica che gli attentati hanno generato. Ma è qualcosa che fino a prima di Pasqua non sembrava neanche esistere come preoccupazione o minaccia.


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