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Cooperazione & Relazioni internazionali

In tutto il mondo le frontiere fanno rima con abuso e violenza

Le politiche securitarie con respingimenti e abusi hanno dimostrato la propria inutilità, ma soprattutto hanno messo in evidenza la capacità delle reti criminali di adattarsi alle esigenze di migranti e rifugiati più di quanto lo facciano gli apparati statali. Una verità che si rende evidente dal Messico, alla Serbia fino al Bangladesh. Ovunque ci sia qualcuno costretto a scappare

di Regina Catrambone

Il fenomeno migratorio ormai da anni è diventato parte integrante della nostra quotidianità. Si continua a parlare di emergenza anche per fenomeni strutturati in varie regioni del mondo dal Mediterraneo alla crisi dei Rohingya in Bangladesh fino alla carovana che attraversa parte dell’America Latina per bussare alle porte degli Stati Uniti.

Il tratto distintivo finora è stato il fatto che solitamente i migranti fossero costretti a nascondersi per paura di essere scoperti e riportati indietro. Così si è sviluppato un linguaggio aggressivo nei loro confronti che tende a vederli come “clandestini” o “illegali”, mentre sarebbe molto più corretto parlare di “persone entrate in modo irregolare” in un Paese.

Inoltre, dobbiamo anche ricordare che la Convenzione di Ginevra del 1951 all’Art. 31 prevede specificatamente l’eventualità che si entri illegalmente in un Paese in cerca di asilo e vieta ai firmatari di applicare sanzioni purché la persona entrata illegalmente avvii subito la procedura per richiedere protezione. Eppure, nella prassi quotidiana questo punto viene spesso disatteso e i migranti sono vittime di abusi e violazioni orrende durante il loro cammino verso un luogo sicuro.

A fine estate 2018, si ritornò a parlare di rotta balcanica, seguendone l’evoluzione dopo la sua apparente chiusura. Quando si pensava che la rotta fosse stata chiusa o dismessa, eccola ricomparire sotto un’altra forma con una recrudescenza di violenze ai danni dei migranti. In seguito queste violenze sono state documentate ed appurate con dovizia di particolari e dovrebbero farci vergognare: pestaggi, trattamenti degradanti e abusi contro chi tenta di passare la frontiera serba. C’è chi addirittura ha raccontato di essere stato privato delle scarpe prima di venire costretto a camminare nella neve scalzo. In questi giorni, Amnesty International ha pubblicato un report in cui si l’Europa viene accusata di complicità. I governi europei infatti non starebbero soltanto chiudendo un occhio di fronte agli assalti della polizia croata, ma ne finanzierebbero addirittura le attività e dunque starebbero esacerbando una crescente crisi umanitaria ai confini dell’Unione Europea.

Quello che emerge dal report di Amnesty è un mondo di abusi terribili, di famiglie separate arbitrariamente, di bambini perennemente affamati, di donne che per la paura abortiscono al sesto mese e di violazioni contrarie a qualsiasi norma internazionale in materia di diritti umani. Tutto questo ad un passo dall’Europa, poco lontano dal suo cuore istituzionale e di fatto dalle nostre case.

Nel frattempo, i Rohingya continuano ad essere argomento di discussione ma non è stata trovata alcuna soluzione concreta per aiutare loro e il Bangladesh che ultimamente ha dichiarato di spendere centinaia di migliaia di dollari ogni mese per ospitarli sul territorio nazionale. Attualmente si stima che siano circa 900.000 i rifugiati Rohingya nel Paese. Eppure, il loro dramma non è certo una novità inattesa visto che sono da sempre discriminati in Myanmar, tanto che già nel 2016 Xchange aveva pubblicato un report che illustrava le loro condizioni di vita. Per questo, a seguito di un nuova ondata di violenze nell’agosto 2017, abbiamo deciso di aiutarli fornendo assistenza medico-sanitaria e training di preparazione alla stagione monsonica. Il loro esodo, purtroppo, continua ancora oggi spesso in modi drammatici. Nel 2015 si accennò al fenomeno delle imbarcazioni fantasma che solcavano il mare delle Andamane con un “carico umano” di disperati. Proprio questi attraversamenti -taciuti e sottovalutati dai media- ricordano quelli sulla rotta da e verso lo Yemen di cui ho parlato più volte per sottolineare come sia inutile tentare di bloccare o contenere le persone in fuga.

Dall’altra parte del mondo, gli Stati Uniti devono affrontare una prova epocale di fronte alla carovana di migranti che preme ai confini. Diversamente da qualsiasi altro fenomeno migratorio, la carovana non ha mai mirato a nascondersi, non ha cercato di mimetizzarsi per tentare la fortuna ed entrare in America. Forse è stato proprio questo il suo tratto distintivo: centinaia di migliaia di persone in viaggio da vari Paesi del continente sud-americano si incontrano lungo la rotta che percorrono col sogno della salvezza. Madri, padri, bambini, adolescenti fuggono da luoghi devastati dalla povertà e dalle violenze, ma vengono bloccati dall’ostinazione di chi non comprende la loro tragedia di esseri umani.

Come ci insegna la storia, chiusa una rotta se ne aprirà una più pericolosa a meno che non vengano eliminate le ragioni della fuga. Vi ricordate quando i cubani lasciavano la propria terra avventurandosi in terribili attraversamenti verso gli Stati Uniti? Quanto tempo ci vorrà prima che i trafficanti si organizzino per offrire pericolosi attraversamenti via mare, una volta fallite le rotte via terra? È così assurdo pensare che anche qui si verifichino pericolosi attraversamenti di imbarcazioni cariche di disperati come nel Mediterraneo? E chissà se un giorno le spiagge di San Diego non si sveglieranno coi cadaveri dell’ultimo naufragio che si sarebbe potuto evitare, come accade da anni sulle nostre coste o su quelle libiche?

Le politiche securitarie con respingimenti e abusi hanno dimostrato la propria inutilità, ma soprattutto hanno messo in evidenza la capacità delle reti criminali di adattarsi alle esigenze di migranti e rifugiati più di quanto lo facciano gli apparati statali. Il crimine purtroppo trova risposte molto più immediate di chi si ostina a negare la realtà pur di non concedere tutele legali a chi fugge da situazioni di povertà estrema o conflitti. Ma se non si offrono alternative sicure e legali, non resterà che affidarsi ai trafficanti e rischiare la vita per raggiungere la salvezza.

A fronte del moltiplicarsi delle rotte migratorie col loro terribile fardello di sofferenza umana e abusi, perché non ci impegniamo a costruire ponti e percorsi di vera integrazione invece di finanziare inutili muri per barricarci in una finta sicurezza? Perché non scegliamo di usare per accogliere i fondi destinati a respingere? Vogliamo capirlo o no che non esiste un muro abbastanza alto per chi cerca una vita migliore?


*Regina Catrambone è co-fondatrice e direttrice MOAS


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