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Cooperazione & Relazioni internazionali

Lo strano caso del ritorno del TTIP

L'accordo di liberalizzazione commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea sembrava definitivamente tramontato nel 2016 con la Brexit e la scelta francese di sfilarsi. Nonostante però nel contratto di Governo giallo-verde sia prevista l'opposizione su questo tema Donald Trump e Jean-Claude Junker hanno sottoscritto una dichiarazione comune per raggiungere un nuovo accordo, denominato TTIP light. Il punto della campagna Stop TTIP Italia

di Lorenzo Maria Alvaro

Era il 2016 quando, dopo tre anni e 14 round di negoziazioni Usa-Europa, era arrivato il verdetto: il Ttip – Transatlantic Trade and Investment Partnership, Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti – non si sarebbe fatto. I motivi erano la fresca notizia dell’uscita ufficiale della Francia dalla mediazione («Non c’è alcuna possibilità che si chiuda la partita prima della fine dell’amministrazione Obama, data l’inconciliabilità delle posizioni delle parti», dichiarava l'allora ministro francese al Commercio estero Matthias Fekl), seguito a ruota dall’esternazione dell’omologo italiano Carlo Calenda («Manca la fiducia: salterà non solo la collaborazione con gli Stati Uniti ma anche quella già avviata con il Canada, il Cepe») e soprattutto allo scossone che la Ue aveva appena ricevuto con la Brexit. Una congiuntura che si riteneva avesse dato il colpo di grazia al progetto.

Oggi, tre anni dopo, in realtà il TTIP è più vivo che mai. E rimane un rischio concretissimo. A dirlo è la campagna Stop TTIP Italia che ha pubblicato un documento (“I pericoli del TTIP zombie” a cura di Monica Di Sisto, una delle portavoce della campagna) in cui affronta sei temi chiave della vicenda.


È falso che non esista un nuovo TTIP

  1. Nessuna affermazione potrebbe essere più scorretta di questa, anche se è la Commissione Ue in primis, seguita inaspettatamente anche da alcune forze politiche italiane, a sostenerla. Il 25 luglio scorso, infatti, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Junker hanno sottoscritto una dichiarazione comune per raggiungere un nuovo accordo di liberalizzazione commerciale tra USA e UE che “aprirà mercati per agricoltori e lavoratori, aumenterà gli investimenti e porterà a una maggiore prosperità sia negli Stati Uniti che nell'Unione europea. Renderà anche il commercio più equo e più reciproco”ii. Che il punto centrale dell’accordo non sia la cosiddetta “guerra dei dazi” e le tasse sull’acciaio, lo dimostra il fatto che questo argomento sia posto in coda al documento di impegni. Nel complesso, le due parti si sono date 4 priorità condivise: “lavorare insieme per azzerare i dazi, le barriere non tari arie e i sussidi per i prodotti industriali non legati al settore delle auto. Lavoreremo anche per ridurre gli ostacoli e aumentare il commercio di servizi, prodotti chimici, prodotti farmaceutici, prodotti medici e soia”;
  2. “rafforzare la nostra cooperazione strategica in materia di energia. L'Unione europea vuole importare più gas naturale liquefatto (GNL) dagli Stati Uniti per diversi care il proprio approvvigionamento energetico”;
  3. “avviare uno stretto dialogo sugli standard al ne di facilitare gli scambi, ridurre gli ostacoli burocratici e tagliare i costi”; Proprio come il TTIP, che ancor prima del lancio dei negoziati u ciali, portò su pressione USA alla revoca del divieto di importazione in Europa di carni di manzo lavate con l’acido lattico, contro il parere delle organizzazioni dei consumatori che bollarono la scelta come un colpo alla sicurezza alimentare nell'UEiii;
  4. sostenere la proposta USA di riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio, che solleva enormi preoccupazioni nella società civile internazionaleiv. Sotto la bandiera della "riforma" della WTO, infatti, gli Stati Uniti e i Paesi industrializzati sembrano determinati ad imporre nuovi “obblighi” ai Paesi in via di sviluppo, seppellendo i pochi risultati da essi raggiunti su sicurezza alimentare e servizi pubblici con l’Agenda di sviluppo di Doha (DDA).

Le quattro priorità rispecchiano in sostanza gli obiettivi di un “TTIP Light” – lo stesso fortemente sostenuto dall’ex ministro Pd allo Sviluppo economico Carlo Calendave aspramente criticato dal M5S nel momento del rilancio del negoziatovi– con una forte impronta geopolitica sbilanciata verso l’Atlantico.

Peccato che nel Contratto di Governo Lega e M5S avessero assicurato che “per quanto concerne Ceta, MESChina, TTIP e trattati di medesimo tenore intendiamo opporci in tutte le sedi, in quanto determinano un eccessivo affevolimento della tutela dei diritti dei cittadini, oltre ad una lesione della concorrenza virtuosa a scapito della sostenibilità del mercato interno”

Chi ha fatto pressione per il nuovo TTIP
Per istruire il nuovo TTIP la Commissione europea ha organizzato, no a ne novembre 2018, 49 riunioni e ha incontrato per il 90% gruppi di lobbisti delle corporations, tra i quali il colosso farmaceutico statunitense Eli Lilly, la società agroalimentare statunitense Bunge e la società automobilistica tedesca Volkswagen, la Confindustria europea BusinessEurope e la Camera di commercio statunitense. Solo 5 incontri (il 10% del totale), sono stati organizzati con rappresentanti di sindacati, associazioni, consumatori, cioè realtà che agiscono per l’interesse pubblico. Anche il ministero per il Commercio americano si è consultato con tutti gli stakeholders coinvolti dopo il rilancio del negoziato e conserva sul suo sito un’ampia collezione di 167 atti depositati dalle corporations USA e UEix: vogliono tutte, in grande sintesi, abbattere le regole europee in vigore che proteggono la sicurezza della chimica, dei lavoratori, dei prodotti e degli impianti, oltre alla sicurezza alimentare e dell’ambiente, perché le ritengono costose e immotivate. Non vi sembra abbastanza per essere seriamente preoccupati?

Che cosa si negozia nel nuovo TTIP
Con due successive decisioni – la prima nel Consiglio europeo del 21-22 marzoxe la seconda del 15 aprile–la Commissione europea ha ottenuto dai Governi dell’Ue – compreso quello italiano ed esclusi la sola Francia, che ha votato contro, e il Belgio che si è astenuto – due mandati molto brevi, vaghi e dunque ampi in base ai quali negoziare il TTIP zombie. L’implementazione di entrambi i mandati e del conseguente trattato, inoltre, prevede come nel vecchio TTIP, la creazione di una struttura di comitati tematici non meglio precisati, rigorosamente riservati e di cili da tracciare.

Il primo mandatoha come obiettivo la eliminazione reciproca di tutti i dazi, tasse doganali, costi e tari e sull’export “non giusti cati”in vigore sui prodotti industriali, esclusi quelli agroalimentari (art.4). Si richiede alla Commissione di svolgere quanto prima una valutazione d’impatto della sostenibilità (SIA) del nuovo TTIP, da tenere in considerazione ma non vincolante ai fini della sua forma, in dialogo con i principali portatori d’interesse e la società civile (art. 3).

Si chiede (art. 6) di facilitare gli scambi tenendo conto delle regole di origine dell’UE, dalle quali scaturiscono alcuni regimi preferenziali, ma senza fissare alcun vincolo specifico nel merito.

Si prevede anche che il trattato includa un “e cace e vincolante meccanismo di risoluzione delle dispute” tra le Parti, senza meglio precisarne competenze e funzionamento, in totale sovrapposizione con il Dispute Settlement Body (DSB) della WTO di cui entrambi i Paesi sono membri, sul modello degli altri trattati bilaterali europei.

Il secondo mandato avvia un negoziato sulla valutazione di conformità delle merci che signi ca, in pratica, come decidiamo che un prodotto o un servizio sia commerciabile nel mercato europeo o statunitense. Dal marchio CE alle etichette per gli alimenti, alle istruzioni per l’uso e le certificazioni di sicurezza per i farmaci, i prodotti ammessi a entrare e circolare nel mercato europeo devono ottenere specifiche autorizzazioni certi cate da enti terzi e informare dettagliatamente il consumatore a riguardo. Queste operazioni ci rassicurano sulla loro origine e qualità, ma pesano sulle tasche dei produttori che da tanti anni vorrebbero ridurle al minimo, se non addirittura eliminarle perché in molti Paesi concorrenti, come Cina e Usa, le merci circolano senza averne bisogno. La decisione su come s debbano fare questi controlli e quali informazioni siano davvero essenziali per i consumatori, però, deve essere assunta in una sede tecnica, e non all’interno di un trattato commerciale che mette la riduzione dei costi e dei controlli al promo posto rispetto a sicurezza e saluto. Invece grazie al secondo mandato del nuovo TTIP questo negoziato i prodotti agroalimentari non sono esclusi, e con essi sono sul tavolo i prodotti chimici, i farmaci, e tutti quei meccanismi di veri ca di qualità e sicurezza e di immissione in commercio che in Europa sono molto più restrittivi che negli USA. Siamo, insomma, alla vecchia cooperazione regolatoria contenuta nel TTIP anche se raccontata con altre parole.

Anche se si chiede che “un alto livello di protezione sia pienamente preservato in Europa” (art. 4), scopo esplicito di questo secondo pilastro del negoziato è di “facilitare il commercio tra UE e USA attraverso lo sviluppo di processi semplificati per facilitare il riconoscimento dei risultati delle valutazioni di conformità” dei prodotti al mercato di sbocco.

Mentre in nessun passaggio del mandato si cita il Principio di precauzione europeo, pur contenuto nei trattati fondativi dell’Unione, ci si aspetta che questo negoziato (art. 5) “introduca requisiti di valutazione della conformità meno onerosi basati sulla valutazione del rischio connesso al prodotto”, quindi facendo prevalere l’approccio al rischio di stampo americano – meno costoso per le aziende – su quello precauzionale tipicamente europeo. Si chiede inoltre (art. 6) alle parti di “elaborare requisiti che consentano ad una parte importatrice di accettare i risultati delle valutazioni di conformità rilasciate dagli organismi di valutazione dell'altra parte”, gettando ombre lunghe sui meccanismi di controllo previsti, ad esempio, nel caso dell’autorizzazione al commercio in Europa di prodotti speciali come farmaci, prodotti chimici e OGM, che vengono oggi riesaminati dalle agenzie nazionali ed europee pubbliche competenti. Il negoziato potrebbe, inoltre, cominciare da quegli accordi di mutuo riconoscimento già in vigore (art. 9) tra i quali ricordiamo quello doganale, ma anche i complessi casi dei farmaci e dei prodotti dell’agricoltura biologica. Chi vorrebbe che fossero le ragioni del commercio a mettere le mani per “semplificare” controlli tanto delicati?

L'agricoltura non è fuori dal nuovo TTIP
In promo luogo è un fatto che il nuovo TTIP, ancora prima del suo lancio, abbia già aumentato – per diretta, compiaciuta ammissione della Commissione UE – del 112% le importazioni europee di soia statunitense, in gran parte OGM, destinata a nutrire il bestiame (tra cui polli, maiali e bovini) destinato alla macellazione e alla produzione di latte. Inoltre, sempre sotto la spinta del negoziato, nel settembre 2018 l’Unione europea ha riaperto il negoziato sulla percentuale della quota annua di 45 tonnellate di carne bovina priva di sostanze proibite in Europa provenienti dai Paesi extra UE. Ora gli USA potrebbero aggiudicarsene addirittura 35xvi. Quindi che l’agricoltura sia “off topic” nel tavolo USA-UE è abbastanza risibile già così, senza pensare che anche i rappresentanti dell’agrobusiness nostrano premono perché le trattative siano il più ampie possibili.

Trump e i negoziatori americani sostengono che l’agricoltura, in virtù del documento Junker-Trump del 25 luglio 2018, sia pienamente sul tavolo negozialee il secondo mandato a da, infatti, alla nuova trattativa di valutare quanto possano essere semplificate le valutazioni di conformità di tutti i prodotti alle richieste del mercato dell’altra parte, comprese le etichettature, i requisiti di sicurezza, quelli sanitari e ambientali. Nei propri obiettivi per il negoziato annunciati a gennaio 2019, gli Stati Uniti sono stati abbastanza chiari nel voler stabilire, attraverso questo secondo pilastro negoziale “un meccanismo per rimuovere barriere celeri e ingiustificate che bloccano l'esportazione di prodotti alimentari e agricoli statunitensi al ne di ottenere un accesso al mercato UE più aperto, equo e reciproco”.

Il Ministro dell'Agricoltura degli Stati Uniti Sonny Perdue ha chiarito che i divieti UE sulle pratiche comuni negli Stati Uniti, come l'uso della ractopamina farmaceutica che promuove la crescita nella produzione del maiale, o il cloro e altri risciacqui chimici per disinfettare carcasse di pollo e verdure, sono i tipi di "barriere ingiustificate" dalle quali si aspettano che il nuovo TTIP li liberi. Nei recenti incontri con i membri del Congresso, Perdue ha ra orzato queste affermazioni, affermando che l'Europa "pagherà un prezzo" se limiterà “la scienza” che promuove pesticidi come quel RoundUp a base di glifosato pluri-condannato dalle Corti USAxxie francese come cancerogeno, o se continuerà a voler tenere sotto controllo il gene editing e le altre nuove biotecnologie. Non dimentichiamo che la stessa Commissione europea indicava, in un memo del 2018 rinvenuto e reso pubblico di straforo , dedicato alle possibili aree di cooperazione regolatoria tra Usa e Ue nel nuovo TTIP, oltre a quelle dei farmaci e dei dispositivi medici, proprio quella della sicurezza alimentare.

Sarebbe da veri irresponsabili delegare agli Stati Uniti l’autorità di controllare “in proprio” se il cibo diretto verso il mercato europeo è contaminato o meno. Come spiega l’esperta americana dell’organizzazione agricola americana IATP Sharon Anglin Treat, l'amministrazione Trump sta riducendo del 40% gli ispettori indipendenti impiegati dal Governo, mentre consente illimitate velocità di processo dei macelli autorizzando, in sostanza, il settore ad autoregolarsi. Delegare l'autorità di controllo dell'USDA (l’agenzia americana per la sicurezza alimentare) ai dipendenti delle fabbriche di carne, che non sono in grado di fermare le linee di produzione quando i prodotti a base di carne sono contaminati, sta mettendo a grave rischio i consumatori americani e sarebbe un grave rischio anche per noi. Questa scelta bloccherebbe, per di più in un trattato commerciale, la capacità delle future amministrazioni e del Congresso americani di invertire la privatizzazione dell'ispezione delle carni come di molte altre misure di sicurezza alimentare.

L'impatto del nuovo TTIP sull'ambiente
La Commissione europea, nella pagina webin cui indica i principali successi dell’accordo informale Junker-Trump dello scorso luglio che ha aperto la strada al nuovo TTIP, elenca, oltre alla crescita del 112% delle importazioni europee di soia OGM dagli USA, (per gli allevamenti intensivi di bestiame e il bio diesel), un aumento anche dell’arrivo di gas liquido statunitense, per lo più ottenuto con la super-inquinante tecnica del fracking. Risultati estremamente dannosi per la stabilità climatica come ammette la stessa Commissione UE che, in altri documenti, denuncia che il biodiesel prodotto con la soia è ben due volte più inquinante del vecchio diesel da fonti fossili.

Un'Europa ancora più dipendente dalle importazioni di combustibili fossili, peraltro, non è in linea con l'accordo di Parigi contro i cambiamenti climatici di cui si dichiara paladina. Con questa mossa, invece che svoltare con decisione verso le rinnovabili, l’UE è diventata di fatto il primo importatore di gas liquido naturale statunitense e l’italiana ENI risulta alla Reuters essere tra i bene ciari di questi nuovi contratti insieme alla francese EDF. Eppure il Parlamento europeo, nel luglio scorso, ha adottato un Rapporto sulla diplomazia climatica che impegna la Commissione a considerare la rati ca e l'attuazione dell'Accordo di Parigi una condizione vincolante per scegliere i propri partner commerciali e gli accordi da fare.

Nel primo mandato che il Consiglio europeo ha a dato alla Commissione, le si sottolinea che “I potenziali impatti economici, ambientali e sociali delle disposizioni del presente accordo dovrebbero essere esaminati il più presto possibile mediante una valutazione dell'impatto sulla sostenibilità (SIA), tenendo conto degli impegni dell'UE in accordi internazionali, compreso l'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici”. Tuttavia non vengono indicati tempi, modalità, né eventuali vincoli conseguenti a una possibile valutazione negativa degli impatti sociali o ambientali connessi alla trattativa. All’art. 5 si spiega i risultati della SIA, comprese le eventuali differenze di regolazione tra USA e UE che dovessero causare differenti impatti ambientali legati alle principali linee tari arie da abbattere, dovrebbero essere considerati valutati quanto prima nel corso delle trattative, ma non si vincola ad essi in alcun modo l’esito delle stesse.

Climate Action Tracker, che calcola quale sarebbe un contributo equo verso il raggiungimento degli obiettivi di Parigi per ogni Paese (basato sulla responsabilità storica e sull'attuale capacità di ripresa economica), ha giudicato "insufficiente" la promessa di riduzione delle emissioni degli Stati Uniti sotto Obama. Sotto il presidente Donald Trump, la politica climatica degli Stati Uniti è valutata "criticamente insufficiente", coerente con un disastroso riscaldamento di 4 gradi Celsius o più. Inseguire Trump lungo questo dirupo non è accettabile né intelligente.

Il vecchio TTIP è ancora sul tavolo
I negoziatori europei potranno contare sul mandato concesso loro nel 2013 dai governi nazionali allora in carica per mettere sul tavolo della loro controparte degli argomenti più interessanti o delle concessioni ulteriori per chiudere il nuovo TTIP. Il nuovo negoziato, infatti, in base alla decisione del Consiglio europeo (art. 3) del 18 gennaio 2018, si basa sulle considerazioni e valutazioni condotte n dal 2012xxxi. La decisione del Consiglio che ha autorizzato il negoziato sull’azzeramento dei dazi lo definisce “obsoleto”, ma nei fatti non lo abroga.

Inoltre, il Parlamento europeo ha provato a ottenere dal Consiglio, con alcuni emendamenti alla propria risoluzione di indirizzo del nuovo negoziato, l’abrogazione del vecchio mandato, per confinare il negoziato nel (pur ampio e vago) perimetro dei due nuovi mandati. Ma la risoluzione, alla fine, è stata bocciata e dunque, in assenza di indicazioni nel merito, i governi dell’Unione hanno scelto di lasciare le mani dei negoziatori il più libere possibile. Una scelta davvero scellerata, se si pensa che stiamo andando incontro alle nuove elezioni europee e che dunque, per un efficace controllo parlamentare sull’operato dei negoziatori, si dovrà aspettare l’autunno, visto che la prima riunione di insediamento della commissione Commercio del Parlamento UE è convocata per luglio 2019.

Che fare?
Innanzitutto non dobbiamo farci prendere in giro: il negoziato transatlantico pone alla protezione dei diritti e della qualità normativa e democratica dei Paesi dell’Unione gli stessi problemi del vecchio TTIP. Problemi aggravati dal fatto che la commissaria al Commercio UE, Cecilia Malmström, vuole chiudere il nuovo TTIP entro il 1 novembre prossimoe che per essi, soprattutto per quanto risultante dal mandato relativo ai dazi parte, potrebbe anche profilarsi un voto finale al Parlamento europeo, senza passaggio nei Parlamenti nazionali.

Bisogna monitorare il negoziato il più possibile, e chiedere al Governo italiano almeno quanto chiesto al suo predecessore:

  • di assumersi pienamente la responsabilità di quanto ha avallato con il suo appoggio all’avvio del negoziato, assicurando che attraverso la Commissione UE, ai sensi dell’art. 11 del primo mandato (6052/19 ADD 1) e 13 del secondo mandato (6053/19 ADD 1), i rappresentanti del Parlamento e della società civile italiana abbiano piena trasparenza del negoziato;
  • di sostenere nelle appropriate sedi istituzionali nazionali ed europee, sulla base degli impegni assunti in campagna elettorale dalle forze di governo, un ampio e informato dibattito sulle alternative tecnicamente e politicamente proponibili alla campagna di liberalizzazioni commerciali forzata dalla Commissione europea, che coinvolga con trasparenza e criteri di ampia partecipazione la società civile italiana ed europea;
  • di esigere che la Commissione, come da mandato, conduca e chiuda al più presto una valutazione d’impatto economico, sociale e ambientale del negoziato che sia vincolante al ne del sostegno del nostro Paese al negoziato;
  • di condurre una valutazione d’impatto economico, sociale e ambientale del nuovo TTIP a livello nazionale approfondita e indipendente, svolta con il coinvolgimento del Parlamento italiano e della società civile, che segua passo a passo le evoluzioni del negoziato;
  • di bocciare nel Parlamento italiano il trattato di liberalizzazione degli scambi e degli investimenti tra Europa e Canada (CETA) per impedire l’entrata in vigore del meccanismo arbitrale (ISDS/ICS) a vantaggio delle imprese e riaprire, così, un ampio negoziato sulle politiche commerciali più appropriate a un’agenda politica nazionale ed europea che abbia al centro il destino e i diritti delle persone e dell’ambiente più che i soliti, vecchi profitti.



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