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Empowerment e fundraising: un binomio vincente

Valorizzare la diversità e l'inclusione è essenziale per creare un ambiente dove girano idee diverse, dove collaborazione ed innovazione si diffondono: ecco come si riesce a fare un fundraising che non lascia da parte nessuno

di Marco Dotti

Oggi il fundraiser si confronta con sensibilità e contesti sempre più attenti alla diversity e dell'empowerment. Temi al centro del Festival del Fundraising che il 15 maggio prossimo apre la sua XII edizione e che ritrovate nello speciale di 10 pagine sul numero di maggio di Vita, dedicato a "L'altro welfare", in uscita il 7 maggio prossimo. ​Noi abbiamo fatto qualche domanda a Virginia Tarozzi, che vive e lavora a Londra, dove ha fondato The Tin Can Collective, un network di freelance specializzati in strategia digitale e contenuti.

Come sta mutando la professione del fundraiser?
C'è un'attenzione senza precedenti alla diversità e all'inclusione di persone con esperienze di vita diverse – minoranze etniche e religiose, disabili, persone che si identificano LGBTIQ, e cosi' via. E questo si riflette nei consigli di amministrazione, nei team di fundraising e nei contenuti che vengono pubblicati. Finora, il mondo del fundraising è stato composto principalmente da persone strettamente inglesi, di pelle bianca, relativamente benestanti, per cui anche i contenuti prodotti non sempre erano rappresentativi della comunità di riferimento. Ma come puoi combattere efficacemente di ingiustizia e discriminazione, se sei parte del problema tu stesso? La nostra piccola agenzia creativa e' un esempio – gestita da donne, la meta' appartenenti alla comunità LGBTIQ, un quarto di noi sono europei, il 40% di colore… e ne siamo molto orgogliosi!

Lei lavora a Londra, riscontra differenze (quali le più importanti) tra la cultura del fundraising italiana e quella di matrice anglosassone?
Sicuramente in Inghilterra la presenza della Chiesa e delle associazioni di matrice religiosa è molto molto minore. In Italia la presenza religiosa è ovunque e la differenza si sente, nel tipo di conversazioni che si hanno tra fundraiser, nei messaggi che vengono diffusi dalle organizzazioni, nel linguaggio dei mailing e delle pubblicità. Si traduce in un tipo di fundraising che io chiamerei più "caritatevole", dove il beneficiario e' qualcuno da aiutare; qui il fundraising e' più "partecipativo", il benificiario e' protagonista attivo del suo futuro e vengono prese azioni concrete per assicurarsi che l'impatto sia sostenibile. Questo si riassume in un termine che purtroppo e' intraducibile in italiano, ma che io trovo meraviglioso – empowerment.

Che cosa possiamo imparare dall'esperienza inglese in ambito di fundraising?
Sicuramente gli aspetti indicati di sopra. Valorizzare la diversità e l'inclusione è essenziale per creare un ambiente dove girano idee diverse, dove collaborazione ed innovazione si generano e si diffondono e dove si riesce a fare un fundraising che non lascia indietro nessuno. E l'empowerment del beneficiario è un'altro aspetto che mi piacerebbe vedere di più. Per dare un'esempio concreto – se l'organizzazione in cui lavoro crea servizi per persone disabili, perché il consiglio d'amministrazione è interamentecomposto da persone non-disabili? E perche' continuiamo a rappresentare le comunita' in paesi africani come fossero vulnerabili, dipendenti dalla nostra carita' e bisognose, quando invece con gli strumenti giusti e risorse adeguate avrebbero la capacità di risolvere i propri problemi da sole?

Quali invece i nostri punti forti?
Decisamente il livello formativo. Mentre chi entra nel molto fundraising in Inghilterra tende ad entrarci un po' per caso, i giovani fundraiser italiani sono preparatissimi, pieni di energia. I corsi a disposizione sono incredibilmente formativi, e l'impressione che ho quando partecipo ad eventi di fundraising in Italia e' che c'è un' armata di giovani che sono incredibilmente ambiziosi e motivati, altamente specializzati, che hanno imparato a pensare strategicamente e hanno le conoscenze per farlo. Questi saranno i futuri leader del nonprofit in Italia, e c'è solo da esserne orgogliosi!


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