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I sogni degli italiani non hanno quartiere sui media

Più spazio al merito e ai più capaci e meritevoli, distribuzione più equa delle risorse, più welfare e protezione sociale, minore aggressività e rancore verso gli altri. Sono questi i desideri delle persone in Italia. A dirlo è la ricerca “Cosa sognano gli italiani” realizzata dal Censis per il Conad e presentati a Roma da cui emerge anche che due italiani su tre non vogliono uscire dall’euro e sono contrari alla sovranità nazionale come fuga dalla Ue

di Paolo Biondi

Per gli italiani i fattori irrinunciabili per crescere e tornare a sognare sono: più spazio al merito e ai più capaci e meritevoli, distribuzione più equa delle risorse, più welfare e protezione sociale, minore aggressività e rancore verso gli altri mentre – a sorpresa – due su tre non vogliono uscire dall’euro e sono contrari alla sovranità nazionale come fuga dalla Ue. Si tratta di dati diversi da quelli che vengono raccontati ogni giorno in tv dai talkshow e sono il risultato di una ricerca su “Cosa sognano gli italiani” realizzata dal Censis per Conad e presentati a Roma.

«L’1,2% delle famiglie italiane possiede il 21% della ricchezza del Paese: pensare allo sviluppo dell’Italia significa intervenire su questa polarizzazione. Non possiamo solo pensare al profitto, ma a quello che ne deriva. In questo discorso di una necessaria ridistribuzione della ricchezza non può essere escluso lo Stato», ha detto l’amministrazione delegato di Conad Francesco Pugliese commentando la ricerca ed ha aggiunto che «il Paese ha bisogno di una classe dirigente credibile, di equità e di meritocrazia, di una politica che premi l’impegno e promuova la solidarietà, i legami sociali e il senso di responsabilità. Sono i presupposti necessari per condividere un grande sogno collettivo, il più potente motore della crescita».

Parlando da imprenditore, Pugliese ha concluso che «per le imprese si parlava un tempo del loro posizionamento nella capacità produttiva. Oggi si parla di reputazione e per avere reputazione bisogna saper prendere posizione».

Ma se il sentire degli italiani è quello espresso della ricerca, come è possibile una così marcata differenza da quello che viene quotidianamente raccontato dai mezzi di comunicazione? «Oggi per notizia si intende solo una cattiva notizia; quelle buone non hanno dignità per essere raccontate. Va dunque rovesciata questa concezione», ha risposto il direttore del Foglio Claudio Cerasa, che ha moderato la tavola rotonda.

Illustrando la ricerca, Francesco Maietta, responsabile dell’area Politiche sociali del Censis, ha detto che «secondo gli italiani la situazione generale sta peggiorando sotto due aspetti: l’economia (peggiorata negli ultimi 12 mesi secondo il 55,4% degli Italiani e peggiorerà ulteriormente per il 48,4%) e la sicurezza (peggiorata per il 42,3%). La percezione di vita tocca due ambiti decisivi: evidentemente quello che è stato fatto dal governo non è riuscito ad invertire il trend. Il peggioramento dell’economia è percepito maggiormente dai redditi bassi, mentre la percezione di insicurezza è più distribuita. La gente ha fiducia solo nei grandi scienziati (41%), nel Presidente della Repubblica e nel Papa (30%), nei vertici delle forze dell’ordine (25,5%). Il problema è che si crea una psicologia del peggio, che è il contrario del sogno e non ci sono miti risolutivi. L’idea che dobbiamo uscire dall’Europa non convince gli italiani (il 66,2% è contro l’uscita dall’euro e il 65,8% è contro il ritorno alla sovranità nazionale, il 52% contro ristabilire barriere doganali e confini impermeabili). Il primato assoluto è quello della libertà individuale che è il fattore primo del sogno italiano».

Questa conclusione è stata però contestata dal direttore Area lavoro di Confindustria, Pierangelo Albini, secondo il quale vanno definiti «i bisogni e l’utopia verso la quale andare ed è una avventura che non si può fare da soli, ma che deve essere condivisa in una comunità. Ritrovare il senso di marcia vuol dire ritrovare la dimensione europea come approdo. In questo viaggio i corpi intermedi hanno una grande responsabilità e costituire un collante vuol dire costruire una civiltà, una comunità». L’utilità di una visione diversa dei corpi intermedi è stata sottolineata anche dal segretario confederale della Cgil, Tania Scacchetti, mentre l’economista Irene Tinagli ha detto che dobbiamo scegliere fra «una risposta con misure che vadano incontro alla persona individualmente intesa (come sono il reddito di cittadinanza e quota 100, così come in passato lo sono stati gli 80 euro) oppure cercare di innescare percorsi più collettivi come sono gli incentivi sul lavoro, o al Terzo settore, o agli investimenti. La politica deve tornare a fare affidamento su scelte di lungo periodo e non a cicli immediati da spendere subito in campagna elettorale».

Massimiliano Valeri, direttore generale del Censis, ha concluso che «le democrazie liberali hanno bisogno di crescita, perché si sorreggono sulla soddisfazione dei bisogni, benessere e consumi di massa, uguaglianza delle opportunità, processi di mobilità sociale per i ceti meno abbienti. Altrimenti vince il rancore, che non fa sviluppo».


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