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Di Maio: «Terzo settore? Nessun sospetto, ma guardia alta contro i “furbetti”»

«Il ministero che guido e il governo in generale guardano a questo mondo con grande attenzione, ma non possiamo tollerare chi se ne approfitta». Le ong? «Contrastiamo solo quelle che non rispettano la legge». Intervista a tutto campo con il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali

di Redazione

l primo giugno 2018 entrava in carica il governo Conte. Il capo politico del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, assumeva la responsasbilità di vicepremier e quella di ministro del Welfare. A quasi un anno di distanza in questo dialogo con Vita Di Maio dà conto del modello di convivenza sociale che ha in testa e del suo “feeling” nei confronti dei corpi intermedi e del Terzo settore dopo le polemiche delle ultime settimane. Si parte dal welfare propriamente detto per arrivare alle organizzazioni non governative. L'intervista completa sul numero del magazine in distribuzione.

Secondo welfare
Le spese dirette delle famiglie per il welfare sono in costante crescita: nel 2018 (rapporto Mbs) ogni famiglia italiana ha speso mediamente 5.611 euro, pari al 18,6% del reddito medio netto familiare (pari a 30.134 euro). Dopo le molte novità introdotte dalle tre precedenti manovre, l’ultima, siglata dal vostro governo si limita a indicare che parte delle risorse stanziate attraverso il Fondo per le politiche della famiglia saranno destinate a iniziative di conciliazione vita-lavoro e di “welfare familiare aziendale”. Qual è la sua posizione sul cosiddetto secondo welfare? Vede un rischio dal punto di vista dell’universalismo dei diritti?

Il secondo welfare nella società contemporanea assume sempre più rilevanza e anche in Italia inizia ad essere strutturato e riconosciuto. Ma dobbiamo concentrarci, in questo momento, sul come colmare il divario dell’offerta di welfare nel nostro Paese. Parto da un dato, al 15 aprile ci sono 11.023 contratti di II livello attivi nel nostro Paese e 5.733, il 52 %, prevedono misure di welfare aziendale, con una netta spaccatura però tra aree del Paese. Il 76 % dei contratti attivi con misure di welfare sono concentrati nel nord dell’Italia, il 16% al centro Italia e solo l’8% nel Mezzogiorno. È un dato su cui bisogna lavorare e che offre uno spaccato del mercato del lavoro italiano che continua a viaggiare a due velocità. La sfida che ci proponiamo è quella superare questo gap anche con il supporto delle imprese che si occupano di welfare che possono essere promotrici di un diverso approccio aziendale anche nel Mezzogiorno in modo da far decollare le politiche di welfare nel nostro Paese. La normativa attualmente in vigore ha lo scopo di incentivare il welfare aziendale come strumento in grado di favorire uno scambio virtuoso fra il miglioramento del benessere e del reddito dei lavoratori e una maggiore efficienza produttiva dell’impresa, una riduzione dell’assenteismo e un rafforzamento dell’engagement tra impresa e collaboratori. Iniziamo a far sviluppare il welfare aziendale e di pari passo cresceranno le politiche di secondo welfare.

Terzo settore
Prima il raddoppio (poi rientrato) dell’Ires, quindi lo “spazzacorrotti” che equiparava gli enti non profit ai partiti politici in termini di vincoli di trasparenza. Malgrado lei recentemente in sede di commento ai risultati delle elezioni regionali abbia messo l’accento sulla necessità di recuperare il dialogo col volontariato e i soggetti sociali, in alcuni passaggi apparentemente tecnici questo governo sembra guardare con sospetto agli enti non profit. Come si piega questo atteggiamento? A proposito di Terzo settore e della sua recente riforma: quando vi attendete il via libera da parte di Bruxelles ?

Mi permetta di non essere d’accordo in ordine al presunto sospetto con il quale questo Governo guarderebbe al Terzo settore. L’azione governativa del ministero del Lavoro e delle politiche sociali in particolare, ha fatto segnare importanti traguardi, a partire dalla finalizzazione dei correttivi al codice del Terzo settore (d.lgs .n.105/2018) e alla disciplina dell’impresa sociale ( d.lgs.n.95/2018). La costante attenzione dedicata dal ministero al mondo del Terzo settore ha trovato una conferma nell’inserimento, all’interno del decreto legge n.119 del 2018 , di misure fiscali di modifica al codice, particolarmente attese dalle organizzazioni. Lo scorso mese di marzo, è stata convocata per la prima volta la cabina di regia, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha espresso il proprio parere positivo su due schemi di decreti, quello sulle attività diverse e l’altro sul bilancio sociale. Vorrei inoltre ricordare l’atto di indirizzo da me adottato per l’anno 2018 sull’utilizzo dei fondi ministeriali destinati a sostenere le attività del Terzo settore, basato su due aspetti fondamentali: l’aggancio dei progetti da finanziare agli obiettivi dell’agenda Onu sullo sviluppo sostenibile come previsto dal contratto di governo in più parti e la regionalizzazione di più della metà dei fondi. Quest’ultimo riferimento fornisce anche il senso del metodo di lavoro seguito dal ministero, basato su due parole chiave: collaborazione istituzionale con i diversi livelli di governance e dialogo sociale. Sul punto vorrei ribadire che questo Governo non è assolutamente contro questo mondo, ma è contro chi vuole artatamente usare il nome di Terzo settore, per godere di benefici che non spettano o, peggio ancora, per perseguire scopi non leciti. In questo senso, la guardia contro tali comportamenti deve essere sempre alta, da parte di tutti, sia della pubblica amministrazione, sia degli stessi enti del Terzo settore, sia dei cittadini. Per quanto riguarda l’autorizzazione alla Commissione europea, il quadro normativo di riferimento è stato definito nel dicembre 2018 con la conversione in legge del già ricordato decreto legge n.119: in base a ciò, gli uffici del ministero stanno predisponendo la richiesta, attraverso un lavoro coordinato con le altre amministrazioni coinvolte. Un lavoro di squadra di grande portata innovativa.

Povertà
Dopo il varo del reddito di cittadinanza rimangono due questioni aperte: il pericolo che circa la metà dei bambini a rischio povertà non beneficino della misura e l’inadeguatezza dei centri per l’impiego a fornire una valutazione multidimensionale del soggetto preso in carico, e in generale una complessità di rapporti fra Centri per l’impiego e Comuni. Come intendete procedere su questi due fronti?

Il reddito di cittadinanza è una misura che mette insieme sia la ricerca di lavoro sia il sostegno economico a chi è in difficoltà. Ci siamo assunti la responsabilità di occuparci di una parte del Paese che vive quotidianamente in condizioni di difficoltà. Il punto focale della misura è questo. E lo abbiamo realizzato con un approccio sistemico per creare finalmente nel nostro Paese un nuovo metodo di contrasto alla povertà. PER CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI

Nella foto: Luigi Di Maio durante una seduta al Senato – Ag. Sintesi


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