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Terzo settore o settore terziario? L’avanguardia passa per l’economia civile

In questo anno è parso che il governo volesse togliersi di dosso la società civile come si fa con un cagnolino attaccato al polpaccio e che non molla la presa. Eppure all’inizio non era andata così. Una parte del Terzo settore aveva sostenuto queste forze così fuori dalle segreterie dei partiti perché si aspettava con speranza, per fare un esempio, una regolamentazione del gioco d’azzardo, solo timidamente accennata nel “Decreto Dignità” e che adesso è sostanzialmente ferma al palo

di Angelo Moretti

Archiviata la campagna elettorale, tra pochi giorni il governo gialloverde compirà il suo primo giro di boa.

Rispetto alle tante attese verso un governo che si presentava, almeno apparentemente, così fuori all’establishment, oggi nessuna persona intellettualmente onesta può negare che la sintesi del primo anno si racchiuda in due dati culturali: i PortiChiusi e il conseguente attacco al Terzo settore, cioè quella società civile elogiata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel proprio discorso di fine anno, ma disprezzata dal governo fino ad essere bollata come “mangiatoia”.

In questo anno è parso che il governo volesse togliersi di dosso la società civile come si fa con un cagnolino attaccato al polpaccio e che non molla la presa.

Eppure all’inizio non era andata così. Una parte del Terzo settore aveva sostenuto queste forze così fuori dalle segreterie dei partiti perché si aspettava con speranza, per fare un esempio, una regolamentazione del gioco d’azzardo, solo timidamente accennata nel “Decreto Dignità” e che adesso è sostanzialmente ferma al palo. Gli “arrabbiati” si aspettavano la riduzione dei privilegi e dei compensi alla casta dei parlamentari, per il momento ridotta al solo ricalcolo dei vitalizi. Gli ambientalisti si aspettavano nuove e forti prese di posizione in tema di energie rinnovabili, non ancora arrivate a destinazione.

Per il Reddito di Cittadinanza, tutto l’enorme lavoro fatto dalla società civile riunitasi nell’Alleanza contro la Povertà, che aveva portato il precedente governo a varare la misura storica del “Reddito di Inclusione”, è stato considerato poco più che carta straccia e le audizioni con i rappresentanti dell’Alleanza si sono svolte sotto l’incombenza di un Decreto Legge surreale che dava il Reddito di Cittadinanza come già vigente e l’imminente scadenza elettorale da onorare, nella quale il Movimento si aspettava di riscuotere un algoritmo positivo del rapporto tra distribuzione del Reddito e Consenso.

Parti del Terzo settore italiano si aspettavano di poter raggiungere più risultati “dal basso” in un governo meno “strutturato” e dunque ipoteticamente più bisognoso di concertazione e di dialogo per nuove norme “del cambiamento”, ma si sono ritrovate inaspettatamente ad essere individuate come principali avversari politici. Un vero e proprio bersaglio, subito dopo il Pd.

Ha un fine tutto questo? Probabilmente non un fine in sé, ma è certamente un mezzo necessario per affermare una nuova politica fondata sulla fusione di due matrici culturali: da una parte l’autoritarismo del “sovranismo” e del “celodurismo” leghista, diventato “maggioranza percepita” prima ancora che reale, dall’altra l’anomia relazionale della rete digitale dei 5 stelle, nella quale non contano le organizzazioni, ma contano i singoli like e le singole visualizzazioni dei milioni di individui connessi.

Il 1 giugno prossimo si chiuderà certamente uno degli anni in cui gli italiani del web hanno maggiormente espresso condivisione al governo in carica rispetto ai governi precedenti. Non la società reale, non la società civile delle organizzazioni e dei corpi intermedi, ma i follower: questi hanno espresso profonda simpatia e hanno addirittura preso la briga di difendere il governo dagli attacchi e dalla critiche della società civile che arrivavano via web, dai Tribunali, addirittura dall’ONU. Per molti simpatizzanti l’affermazione “piove, governo ladro” è divenuta “piove, povero governo subissato dai ladri”.

Che fare? Che fare di fronte allo smembramento del dialogo con i corpi intermedi in un dialogo tra un governo a trazione sovranista e mille individui digitali?

In prima battuta viene da dire che c’è da fare una severa autocritica.

Il Terzo settore Italiano in questi ultimi anni è sempre cresciuto: all’ultimo censimento contava 336.275 organizzazioni (+10% rispetto al 2011), quasi 800 mila occupati (+15%) e 5,5 milioni di volontari (+16%). Dagli anni ‘90 le reti locali hanno generato in tutte le provincie italiane nuove forme organizzative collettive, come i Centri Servizi al Volontariato; i corpi intermedi hanno portato alla riforma del 2017; i Forum del Terzo Settore hanno potuto spendere importanti cifre per la formazione dei quadri e dei dirigenti; le Organizzazioni di Volontariato e le Cooperative Sociali, così come le Caritas e altre grandi centrali associative, hanno mostrato il volto dell’Italia dai cuori aperti, con 180 mila richiedenti asilo accolti ogni anno.

Nonostante questa galassia abbia tutti i dati a proprio favore sente un fallimento culturale, come si suol dire “l’operazione è riuscita ma il paziente è morto”. Se, infatti, tutti i dati numerici indicano che la Società Civile Organizzata è cresciuta, ma sono contemporaneamente aumentati i dati di spopolamento, invecchiamento, povertà educativa, denatalità, frammentazione sociale, della disuguaglianza e c’è stata l'impennata del “solipsismo digitale nella politica, forse siamo davanti a una trasformazione da “terzo settore” a “settore terziario”.

La carica trasformativa e generativa non è stata, insomma, pari alla crescita. Il Terzo settore pioniere dell’antimafia, del contrasto alle droghe, della psichiatria di stampo basagliano, dell’impegno in carcere, dell’accoglienza, del contrasto all’indigenza economica, del soccorso sanitario, della cooperazione internazionale, è stato fin troppo irreggimentato. È cresciuto senza crescere dentro.

Troppe volte è stato “contoterzista” di politiche pubbliche sbagliate, come quando ha aperto cliniche private sull’onda della Riforma Basaglia, snaturandola, o ha gestito Centri di Accoglienza Straordinari (CAS) in accordo con Prefetture che organizzavano l’accoglienza solo come fenomeno emergenziale di ordine pubblico, stravolgendo per troppo tempo quelle che potevano essere le corrette pratiche di accoglienza del Sistema di Protezione dei Richiedenti Asilo e dei Rifugiati (SPRAR). Mentre la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ci condannava ripetutamente per il trattamento inumano in cui vivevano e vivono tuttora i nostri detenuti nelle carceri sovraffollate, troppo Terzo settore offriva servizi nei carceri, senza pretendere che quell’assetto di pena “ingiusta” si modificasse in cambio dei servizi resi.

L’autocritica serve, il Terzo settore non è una borghesia, non è una corporazione e non è un partito che deve dichiarare di vincere sempre. Il Terzo settore è una società aperta, capace di mettere in crisi i sistemi precostituiti e mettere in crisi se stesso.

Ed oggi che un governo in carica si prende la briga di prenderlo a bersaglio, questo corpo sociale può addirittura gioirne, perché implicitamente il potere esecutivo rilancia il suo essere una forza culturale del paese e non solo una forza economica e sociale. Ma in questi anni è anche avvenuta un’importante novità, che il governo al momento sottovaluta. Il posto di avanguardia non si può dire che sia stato lasciato vuoto. Mentre svolgevano i tanti impegni gestionali di contrasto all’eslcusione, quegli stessi enti hanno fatto anche nuovi reti con il mondo accademico, con il mondo profit e della buona amministrazione pubblica, provocando l’emersione di una nuova frontiera culturale: la galassia dell’economia civile. Una nuova alleanza, trasversale ai mondi del primo, secondo e terzo settore. L’Economia civile si è fatta spazio nei mondi associativi, nei dibattiti politici, nelle Università, nei piccoli e grandi comuni, nel panorama internazionale, fino a vincere diversi premi Nobel, ed in Italia ha celebrato il suo primo festival, a Firenze, nel 2019. La finanza etica e cooperativa ha raggiunto in questi anni successi da capogiro, mentre il resto della finanza tradizionale e speculativa faceva affondare piccole e grandi banche.

Questo nuovo mondo sta aggregando consenso attorno a sé e dissenso verso le politiche sia neoliberiste che sovraniste, sta ipotizzando percorsi nuovi, sta muovendo critiche alle storture sistemiche dei processi culturali di governo che inneggiano a chiusura e odio, ma anche al precedente establishment incapace di generare novità.

Il pionierismo di chi diceva “no” alla mafia negli anni ‘80, di chi accoglieva tossicodipendenti e urlava il suo “no” alle droghe negli anni ‘70, di chi diceva “no” alla guerra negli anni 60 e ancora prima, non va oggi rintracciato in chi offre servizi efficienti a persone svantaggiate, ma a chi riesce a dire “no” al modello culturale di questa economia che provoca esclusione, rabbia e chiusura.

Oggi il pericolo per il potere del governo gialloverde non viene dai tanti volontari e operatori che si impegnano nel sociale o per l’ambiente – e che, abilmente, adesso il governo butta in pasto al pubblico digitale come ha già fatto con i migranti e le ONG – ma dai “terzi”, da chiunque riesca a non entrare in logiche corporative, neanche di terzo settore, per mettere al centro le politiche economiche generative dei territori.

La tensione tra Stato e società civile non può ridursi a una guerra di posizione per difendere la dignità dei volontari, ma una tensione per affermare una società capace di generare forme nuove di convivenza e di inclusione.

In queste settimane lo scontro tra le retoriche di attacco alla “mangiatoia” e alle Caritas, come paradigma dell’impegno sociale “interessato” (molti grillini hanno salutato con entusiasmo il Reddito di Cittadinanza come la fine delle Caritas) e le retoriche di difesa basate sul: “venite a vedere quanto facciamo”, sono state un gioco a perdere.

Meglio sarebbe stato ripetere l’adagio di Luciano Tavazza, padre ispiratore per tanti volontari degli anni ‘90: “la vittoria del Volontariato è la sua morte”.

Il problema non è rivendicare la gestione efficiente dei servizi educativi, sociali e socio-sanitari, il problema è capire quanto il cambiamento dei modelli economici e politici discenda da quei servizi.

Per rispondere agli attacchi di questo governo, logorroico nei social e striminzito nei provvedimenti normativi, bisogna chiedergli a gran voce come ha innovato il rapporto tra Politiche Pubbliche e Finanza Globale. In che cosa questo governo populista è stato diverso dai precedenti in campo economico? Quale meccanismo di finanza etica e di salvataggio della biodiversità bancaria è stato posto in essere? Cosa è stato fatto per i territori, per le scuole e le piccole imprese in termini di redistribuzione delle ricchezze nazionali? Come si è concretamente agito per ridurre la disuguaglianza sociale che anche in Italia separa sempre di più i già ricchi dai sempre più poveri?

Il Terzo settore può tranquillamente scioperare e chiudere tutte le attività sociali, ma cosa avrà fatto il governo perché la sua “morte” sia un agio e non un disagio per il popolo?

Per il futuro è indubbio che da questo primo anno di rottura con il governo in carica viene fuori un’esigenza impellente: rinnovare lo spirito profetico della società civile organizzata per essere argine verso la deriva semplicisticamente “gestionale”, al suo interno, e verso nuovi poteri autoritari e divisivi, al suo esterno.

Che fare per reagire? Il Terzo settore all’epoca dell’economia civile non deve difendersi, deve attaccare, è più un genius loci che un gruppo. È la via italiana per una terza via, non più tra liberismo e socialismo, ma tra autoritarismo e populismo digitale, tra sistemi politici neoliberisti che hanno generato disuguaglianza e derive sovraniste che generano esclusione e linguaggi violenti. Oggi più che mai la società civile non deve mollare il polpaccio del governo ed essere compatta nel chiedere cambiamenti veri, deve sentirsi attrice non dei servizi, ma della cultura sociale e democratica di questo paese.

* L'autore, Angelo Moretti è direttore del Consorzio "Sale della Terra"


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