Welfare & Lavoro

Educatori professionali e pedagogisti: 15 domande a Vanna Iori

La comunità professionale ha raccolto le domande più scottanti e concrete sulle conseguenze delle novità introdotte dalle ultime due leggi di bilancio. Risponde la senatrice Vanna Iori (Pd), è prima firmataria della proposta di legge per il riconoscimento e la disciplina di queste professioni. L'occasione per chiarire un'infinità di dubbi interpretativi che riguardano la recente normativa

di Jennifer Mastroianni* e Fabio Ruta

Ancora molti dubbi e interrogativi attraversano il mondo delle professioni educative dopo le innovazioni normative contenute nelle due ultime leggi di bilancio. Dubbi che riguardano la corretta interpretazione di una congerie di norme piuttosto complessa ed in alcuni punti in parte contraddittoria. In assenza di una attesa ed organica legge quadro di riferimento ed in presenza di un albo professionale per gli Educatori Professionali inserito nelle professioni sanitarie. Scelta che ha fatto e farà discutere. L'intervista alla senatrice Vanna Iori che segue è scaturita da una raccolta di domande fra le Educatrici e gli Educatori, le Pedagogiste ed i Pedagogisti che si confrontano nella "Agorà per le Professioni Educative dei M.i.l.l.e". ove l'acronimo M.i.l.l.e. significa "Movimento Indipendente Liberi Lavoratori della Educazione" e contiene un riferimento alla spedizione unitaria garibaldina). La Agorà rappresenta uno spazio di confronto sui temi professionali su Facebook (con già 1700 membri) ma anche e soprattutto l'embrione di una costituenda associazione professionale che intende raccogliere l’eredità del Comitato degli Educatori Professionali post '99 per la equipollenza ed aprire un cantiere unitario per educatori con diverso background formativo e pedagogisti: centrato sul tema della dignità delle professioni educative". Vanna Iori, senatrice del Partito Democratico, pedagogista e accademica, è la parlamentare che più si è battuta per accendere i riflettori sul lavoro pedagogico ed educativo troppo a lungo trascurati dal legislatore e dal mondo politico.

Alcuni educatori criticano la divisione del profilo di educatore professionale, mentre altri la apprezzano perché prima dei commi Iori contenuti nella L. 205/2017 la parte maggioritaria degli educatori – laureata in Scienze dell’Educazione – era priva di un riconoscimento normativo chiaro. Come risponde alle critiche?
In parte la risposta è contenuta nella sua domanda. Quei commi hanno infatti iniziato a mettere ordine in un caos normativo derivante da una confusa stratificazione legislativa. Quanto alla divisione del profilo, è importante fare un brevissimo accenno alla normativa precedente che dapprima aveva fatto rientrare l’educatore nelle “figure atipiche e di dubbia ascrizione” (Decreto Degan del 1984) e successivamente definiva per la prima volta, con la L. 520/98, “l’educatore professionale” come una figura che si forma presso la Facoltà di Medicina, con laurea triennale abilitante, a numero chiuso, con 1.500 ore di tirocinio. Il corso prevedeva anche la possibilità di interfacoltà (con almeno 35 CFU di ambito sanitario) che è stata sostanzialmente disattesa e l’impostazione è divenuta progressivamente più sanitaria. Contemporaneamente la Facoltà di Scienze della Formazione formava educatori (senza l’aggettivo “professionale”), con laurea triennale non abilitante, senza numero chiuso, e con 300 ore di tirocinio e un indirizzo più pedagogico-umanistico. È quindi evidente che la divisione risale a vent’anni fa, ben prima della L. 205/2017. Aggiungo che la difformità dei due corsi di laurea è rilevabile anche nei numeri (fonte Miur) degli iscritti e frequentanti: 600 al corso di Medicina e 46.466 a Scienze dell’Educazione. È corretta quindi la sua affermazione sul riconoscimento normativo, poiché fino ai commi della L. 205/17, chiunque poteva essere assunto come educatore, con qualsiasi titolo di studio. Sancendo l’obbligatorietà della laurea si è affermato invece un principio irrinunciabile: educatori non ci si improvvisa, ma è necessaria una solida preparazione professionale e scientifica, che si traduce in un miglioramento dei servizi e del welfare educativo. Oltre al titolo vengono inoltre definiti gli ambiti occupazionali. Si sono poste così le basi, che considero punto di partenza perché ancora restano passi da compiere, per dare dignità professionale a una figura spesso poco valorizzata ma sempre più indispensabile per rispondere alle molteplici e nuove sfide educative.

Fino ai commi della L. 205/17, chiunque poteva essere assunto come educatore, con qualsiasi titolo di studio. Sancendo l’obbligatorietà della laurea si è affermato invece un principio irrinunciabile: educatori non ci si improvvisa, ma è necessaria una solida preparazione professionale e scientifica, che si traduce in un miglioramento dei servizi e del welfare educativo. Oltre al titolo vengono inoltre definiti gli ambiti occupazionali. Si sono poste così le basi – che considero punto di partenza perché ancora restano passi da compiere – per dare dignità professionale a una figura spesso poco valorizzata ma sempre più indispensabile per rispondere alle molteplici e nuove sfide educative.

Vanna Iori

Fraintendimenti circolati ed amplificati sui social riguardano l'esistenza o meno dell'albo degli educatori professionali sociosanitari, istituito insieme ad altri dalla cosiddetta "Legge Lorenzin". È possibile finalmente chiarire chi è vincolato alla iscrizione all'albo e chi no?
Per gli educatori professionali socio-pedagogici, cioè i laureati nella classe L19 (o con qualifica equivalente) non esiste al alcun albo. Il comma 594 della L. 205 lo specifica in modo chiaro. Per i laureati da Medicina (classe Snt/2) è invece previsto dalla legge 3/2018 (Decreto Lorenzin) un albo professionale che confluirà nell’Ordine multiprofessionale del TSRM (professioni sanitarie tecniche della riabilitazione e della prevenzione). L’albo suddetto attende ancora i decreti attuativi ed è stato criticato dall’Antitrust.

Chi possiede sia una laurea in Snt2 (o titolo equipollente) che una in Sde o una Laurea Specialistica in ambito pedagogico è comunque vincolato alla iscrizione all'albo o può avvalersi dell'emendamento 517 approvato nella recente legge di stabilità (perlomeno per il settore sociale e sociosanitario)?
Può fare ciò che desidera: sono aperte entrambe le opzioni. Se intende acquisire un ruolo TSRM dovrà iscriversi all’albo, mentre se intende continuare a svolgere attività educativa all’interno si strutture sociosanitarie può avvalersi del comma 517 della legge 145/2018, se ha almeno 36 mesi di servizio anche non continuativi.

Nonostante il comma 517, i concorsi per educatore nelle Asl continuano ad escludere gli educatori professionali sociopedagogici. Come si può modificare questa situazione? Segnalando alle aziende che il comma 517 è legge e non ha bisogno di alcun decreto attuativo. Poi, se la segnalazione non basta, occorrerà procedere a ricorso contro questa inottemperanza. A meno che non si espliciti chiaramente nel bando che non si svolgeranno attività educative. Come poi si possa fare un bando per educatori che non svolgano attività educative sarebbe interessante capirlo….

Vanna Iori

Nonostante il comma 517, i concorsi per educatore nelle Asl continuano ad escludere gli educatori professionali sociopedagogici. Come si può modificare questa situazione?
Segnalando alle aziende che il comma 517 è legge. E non ha bisogno di alcun decreto attuativo. Poi, se la segnalazione non basta, occorrerà procedere a ricorso contro questa inottemperanza. A meno che non si espliciti chiaramente nel bando che non si svolgeranno attività educative. Come poi si possa fare un bando per educatori che non svolgano attività educative sarebbe interessante capirlo….

Lei è favorevole alla compresenza di educatori professionali sociosanitari e sociopedagogici nei medesimi settori di lavoro come strumento di scambio i saperi ed armonizzazione?
Sono molto favorevole alla compresenza e all’armonizzazione delle due figure. Il percorso mi sembra più percorribile della unificazione vera e propria, poiché le molte differenze formative tra le due figure, e soprattutto la questione dell’Albo, rende difficile costruire un profilo unico. Ma sono disponibile a lavorarci anche con l’istituzione di un tavolo di lavoro apposito comprendente associazioni, sindacati, conferenza delle regioni, ministeri, cooperative sociali, mondo accademico.

Sono molto favorevole alla compresenza e all’armonizzazione delle figure di educatore professionale sociosanitario e sociopedagogico. Il percorso mi sembra più percorribile della unificazione vera e propria, poiché le molte differenze formative tra le due figure, e soprattutto la questione dell’Albo, rende difficile costruire un profilo unico. Ma sono disponibile a lavorarci anche con l’istituzione di un tavolo di lavoro apposito

Vanna Iori

Secondo molte interpretazioni giuridiche (tra cui quella di CGIL) il DM 520/98 che definisce la figura dell'Educatore Professionale non sarebbe stato superato dalle normative vigenti, pertanto gli educatori professionali sociosanitari e gli equipollenti regionali sarebbero tuttora abilitati ad operare nell'ambito sociopedagogico: lei cosa ne pensa?
Vero per la prima parte. L’interpretazione è formalmente corretta, poiché al comma 596 sta scritto “fermo restando” quanto previsto dalla 520/98. Quindi è indubbio che l’educatore sociosanitario continui legittimamente a farvi riferimento. Ma se leggiamo l’art. 1 della 520, vediamo che l’educatore professionale è definito “l’operatore sociale e sanitario” che “attua specifici progetti educativi e riabilitativi, nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato da un’equipe multidisciplinare…”. Pertanto questo ambito “terapeutico” dice anche che cosa significa attenersi alla 520 e qualifica quella figura professionale in modo certamente diverso dagli ambiti e competenze del sociopedagogico contenuti nel comma 594. Questo è un altro dei punti da chiarire nella prospettiva di armonizzazione delle due figure.

Sebbene siano stati pensati per gli operatori privi di titolo, molti educatori professionali sociosanitari richiedono di frequentare i corsi da 60 CFU per ottenere una qualifica in ambito sociopedagogico. Ritiene che sia improprio per chi ha già una laurea o titolo equipollente come educatore professionale?
No. Non mi sembra improprio. Ma anche questo è un punto che necessita di chiarimento. In alcuni casi sarebbe opportuno al momento che guardando i piani di studio dei laureati Snt/2 emerge una predominanza di competenze sanitarie a scapito di quelle pedagogiche, sociologiche, psicologiche, indispensabili per chi intenda lavorare negli ambiti del sociopedagogico. In altri atenei si è data attenzione all'area pedagogica. Dunque il titolo identico comprende competenze diverse. Aggiungo comunque che per chi è già in servizio è scritto nella L. 205 che non possono essere retrocessi o spostati di mansione.

I corsi da 60 CFU conferiscono una qualifica in ambito sociopedagogico o un titolo equipollente alla Laurea Triennale in Scienze dell'Educazione?
I 60 CFU conferiscono una qualifica, non la laurea, ma è titolo spendibile a tutti gli effetti come la laurea L19 per ogni concorso. Anche quando non viene esplicitato nei bandi.

I corsi da 60 CFU una volta conseguiti consentono l'accesso diretto ai corsi di laurea specialistica?
No, perché non sono una laurea triennale ma una qualifica. Hanno la durata di un solo anno e sono privi di tesi finale. Si configurerebbero come una ingiusta scorciatoia rispetto a chi ha seguito tre anni di studio e la tesi finale. Tuttavia gli atenei risconoscono quei 60 CFU per l’ammissione alla laurea (di fatto è possibile l’iscrizione al secondo anno).

Alcuni osservatori ritengono che tra i requisiti per il riconoscimento automatico della qualifica in ambito socio pedagogico per gli operatori senza titolo con anni di servizio pregresso la anzianità anagrafica pesi paradossalmente di più del cumulo di anni di servizio. A cosa si deve questa scelta?
Nella discussione in commissione e in quella d’aula, nessuno ha segnalato questa osservazione, poiché si era originariamente convenuto che 20 anni di servizio o 50 anni di età fossero criteri sufficienti per indicare una esperienza pregressa che non richiedesse ulteriore formazione; successivamente è stato fatto rilevare che i 50 anni potessero anche riguardare persone aventi pochi anni di servizio, ed è per questa ragione si è stabilito di aggiungere i 10 anni di servizio. Tutte decisioni prese all’unanimità.

Come devono essere calcolati i 20 anni di servizio? Possono essere non continuativi?
Sì, data la grande mobilità dei lavoratori, si intende che i 20 possono certamente essere non continuativi, benché nel comma 598 non venga esplicitato, ma viene esplicitato nel 599.

Il calcolo degli anni per acquisire la qualifica di operatore sociopedagogico include anche gli anni prestati in ambito sociosanitario?
Sì, purché il servizio sia stato di carattere educativo, come è logico che sia per un educatore.

Include anche i servizi prestati con denominazioni differenti come “animatore sociale”?
Questa è la questione più complessa, poiché la CGIL ha riportato in audizione il rilevamento di ben 156 attestati con denominazioni diverse per il lavoro educativo, varanti da regione a regione e da periodo a periodo. Pertanto credo sia utile una dichiarazione dell’Ente che attesti che sotto quella determinata denominazione si svolgeva lavoro educativo.

Il pedagogista è riconosciuto come figura apicale ma molto spesso è escluso dalle piante organiche di servizi pubblici e privati, oppure erroneamente considerato solo come figura professionale rivolta alla prima infanzia. Come si può correggere questa tendenza?
Purtroppo la proposta di legge a mia prima firma al Senato (2443) non è stata approvata e ne sono stati stralciati alcuni passaggi da inserire il legge di bilancio 205 nei commi 594-601. In questo stralcio sono stati in parte soppressi articoli riguardanti la figura del pedagogista. E alcune precisazioni non figurano nei commi citati. È tuttavia rimasto indicato in molto chiaro nel comma 594 l’elenco degli ambiti professionali del pedagogista, l’attribuzione della abilitazione (che precedentemente non esisteva), e la qualifica del settimo livello. Entrare nelle piante organiche sarà un processo graduale ma ineludibile.

Il pedagogista è da considerarsi per “assorbenza” anche “educatore professionale sociopedagogico”?
Non esiste nella legge 205 una precisazione in tal senso, ma è ovvio che il titolo superiore sia spendibile e comprenda anche il livello inferiore, dal momento che per accedere alla Laurea Magistrale (LM 50, LM 57, LM 85, LM 93) è obbligatorio che la commissione crediti di ogni Facoltà valuti i CFU presentati da chi intende iscriversi non provenendo da L19, e stabilisca se debbano essere sostenuti esami (e quali) per l’accesso alla LM Pedagogica.

Precisiamo inoltre che, in costanza alla presente intervista alla Senatrice Iori, con domande raccolte in seno alla comunità professionale, si è tuttora in attesa della implementazione di quanto previsto nella legge finanziaria (comma 537). Ovvero in merito alla apertura di liste speciali ad esaurimento a cui dovranno iscriversi coloro che hanno svolto, pur in assenza di titolo abilitante, professioni sanitarie per un periodo minimo di trentasei mesi. Questo provvedimento, voluto fortemente dalle organizzazioni sindacali per la salvaguardia del posto di lavoro di una quota non trascurabile di operatori, avrebbe già dovuto essere attuato da diverso tempo. Si attende a breve di sapere che forma prenderà la sua attuazione. Inoltre, nonostante sia stato sollecitato da una mozione approvata in Consiglio Regionale del Piemonte e da diverse interrogazioni parlamentari (Borghi, Iori) ancora non si é visto il necessario ed urgente provvedimento di equipollenza alla laurea per gli Educatori Professionali con titolo regionale conseguito successivamente al 2005. Questi operatori (che da molti anni operano nei servizi) e le loro famiglie aspettano con ansia che sia finalmente risolto il loro problema, sentendosi beffati poiché il loro piano di studi è identico a quello dei colleghi che hanno conseguito il titolo in precedenza, ma privo del medesimo riconoscimento. Chissà se il movimentato mondo politico, in altre vicende affaccendato, troverà un minuto per loro.

*Jennifer Mastroianni è educatrice professionale e pedagogista

**Fabio Ruta è educatore professionale post 99 con circa 25 anni di servizio in tipologie di servizio e con utenze diverse. Laureato in Sde e Consulenza Pedagogica e Ricerca educativa. Attualmente lavora nel settore delle disabilità

Foto Pixabay


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