Cooperazione & Relazioni internazionali

Negli ultimi sei mesi sono 600 le famiglie pronte ad ospitare un profugo

Sono i nuclei che hanno dato disponibilità per partecipare al progetto Refugees Welcome. Circa 100 al mese. «A dimostrazione di come il desiderio di aiutare chi è costretto ad abbandonare la propria casa rimanga forte», sottolinea Fabiana Musicco, direttrice dell’associazione

di Redazione

Sono circa 600 le “famiglie” italiane che negli ultimi sei mesi hanno dato disponibilità ad ospitare un rifugiato nell’ambito del progetto Refugees Welcome Italia. Circa 100 al mese, a dimostrazione di come il desiderio di aiutare chi è costretto ad abbandonare la propria casa a causa di conflitti, persecuzioni o miseria rimanga forte, nonostante il clima politico non sia dei più favorevoli. Anzi, il più delle volte è proprio il desiderio di fare qualcosa di concreto in un momento così critico a spingere le persone ad iscriversi sul sito di Refugees Welcome.

«In questo periodo, molte persone ci scrivono per condividere con noi l’esigenza di fare qualcosa di concreto: vedono nell’accoglienza in famiglia una risposta, un modo per dire chiaramente da che parte si sta», afferma Fabiana Musicco, direttrice dell’associazione.

È il caso, ad esempio, di Guido, Giovanna e Laura che condividono la casa e un pezzo di vita con Layla, irachena, arrivata in Italia con un corridoio umanitario dal Libano.

«Da tempo avevamo scelto tutti insieme di ospitare nella nostra famiglia una persona rifugiata. Per molte ragioni: in primo luogo come rifiuto di sentirci complici di scelte politiche non condivisibili; ma anche perché siamo una grande famiglia – tanti figli, fratelli e amici – per cui la condivisione (e la solidarietà) sono per noi un fondamento».

A volte le motivazioni possono essere anche più personali, legate, ad esempio, al desiderio di dare un esempio ai propri figli. Come Camilla e Paolo, che hanno aderito al progetto «perché vorremmo fare capire ai nostri figli, Vincenzo di 14 anni, Miriam di 11 e Pietro di 10, quanto sono fortunati. Accogliere Hafsa, una ragazza somala di 18 anni, è stato facile, è diventata subito un membro nella nostra pazza famiglia. Siamo contenti. Ogni volta che lei parla o sorride si apre un nuovo mondo».

Con più di 150 convivenze realizzate, 200 attivisti, e oltre 20 gruppi territoriali attivi in altrettante città italiane, Refugees Welcome Italia promuove dal 2015 un modello di accoglienza in famiglia, per rifugiati e titolari di altra forma di protezione, basato sul coinvolgimento diretto dei cittadini. Le regioni che hanno accolto di più sono il Lazio e la Lombardia, mentre la città più ospitale è stata Roma.

L’associazione è attualmente presente in tutte le regioni Italiane, tranne l’Abruzzo, la Calabria, l’Umbria e il Friuli Venezia Giulia. Le famiglie “accoglienti” sono principalmente coppie con figli (30% delle convivenze), seguite da persone singole (28% dei casi), da coppie senza figli (23%) e da coppie con figli adulti fuori casa (11%). In questi ultimi sei mesi, grazie al progetto Young Together, realizzato in collaborazione con il CIR – Consiglio Italiano per i Rifugiati, con l’obiettivo di promuovere il co-housing fra giovani rifugiati e italiani under 36, sono iniziate anche le prime convivenze fra giovanissimi. Come Giulia, Tommaso e Amira, rispettivamente 27, 28 e 25 anni. «Aprire le porte di casa? Se non lo facciamo noi giovani, chi dovrebbe farlo? Ci dicono sempre che siamo il “futuro”, allora cerchiamo di esserlo davvero. Con Amira è stato un colpo di fulmine: ci siamo trovati in sintonia fin dal primo incontro. Sappiamo che ci potrebbero essere dei momenti di difficoltà, ma non ci spaventano». Ha meno di 30 anni anche Annika, che divide il suo appartamento con Anna e, da maggio, con Sahal, 25 anni, della Somalia. «Ho studiato e lavorato in diverse città europee, vivendo sempre in case in condivisione e non mi è mai importato il colore della pelle dei miei coinquilini. Ho visto da vicino le difficoltà che vive ogni giorno chi è costretto a lasciare il proprio Paese per cercare fortuna altrove: gli sguardi diffidenti, la fatica di trovare un lavoro. È giusto che chi ha la possibilità faccia la sua parte».


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