Famiglia & Minori

Genitori in carcere, come supportare i loro figli?

Si dice che un bimbo con la mamma o il papà in carcere sia “un bimbo con un segreto”. Il genitore in prigione diventa, nelle parole del bambino, “malato”; “in viaggio”; “assente per lavoro”. Come recuperare il rapporto tra loro?

di Anna Spena

Si dice che un bimbo con la mamma o il papà in carcere sia “un bimbo con un segreto”. Il genitore in prigione diventa, nelle parole del bambino, “malato”; “in viaggio”; “assente per lavoro”. Finanziato dal Bando Prima Infanzia, approvato dell’impresa sociale Con i Bambini, "la barchetta rossa e la zebra" vuole combattere la povertà educativa minorile dei figli di genitori detenuti nel carcere maschile Marassi e nella casa Circondariale femminile Ponte Decimo di Genova. L'iniziativa sviluppata in sinergia con l’Amministrazione penitenziaria locale e dell’esecuzione penale esterna, il Comune di Genova e le Associazioni territoriali del Terzo Settore: la Cooperativa Sociale Il Biscione, Veneranda Compagnia di Misericordia, il Centro Medico psicologico pedagogico LiberaMente, ARCI Genova e CEIS Genova. Si avvale inoltre del supporto dell’Associazione BambiniSenzaSbarre Onlus, impegnata nella tutela dei diritti dei figli dei detenuti. La Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus è promotore del progetto e la Cooperativa Sociale il Cerchio delle Relazioni ne è Capofila. Dopo una prima fase del progetto che prevedeva la ristrutturazione di alcuni spazi, la seconda fase, dove i bimbi possono attendere il momento del colloquio in un ambiente bello, sereno, adatto alla loro esigenze. È in atto una terza fase che fa da collante tra le prime due dove si sono organizzati dei momenti di formazione per i genitori detenuti, per gli assistenti sociali, e per la polizia penitenzia per spiegare qual è la strada più idonea per entrare in relazione con i minori che vivono un momento delicato del loro percorso di crescita accentuato dall’assenza di uno o di entrambi i genitori. La pedagogista Vanessa Niri e la coordinatrice del lavoro degli operatori che seguono gli adulti, Livia Botto, spiegano com’è lavorare con questo tipo di fragilità.

Quello dei bambini con i genitori in carcere è un racconto che si fa poco. Ma come vivono i bambini in questa condizione che pur non essendo orfani vivono l’assenza di uno o entrambi i genitori?
VN: Non esiste una condizione omogenea, tra i bambini che vivono l’assenza del papà o della mamma perché in carcere. Ogni famiglia si relaziona all’evento in modo diverso: ci sono quelli che non dicono la verità ai figli, e sono moltissimi, raccontando che il papà è andato a lavorare all’estero per un periodo. Ci sono quelli invece che scelgono la via della verità, con tutta la fatica che questa comporta. Ci sono poi le famiglie che scelgono una via di mezzo, ed è spesso il caso dei genitori con figli sotto i sei anni, che in qualche modo contano sulla parziale comprensione delle cose dei bambini: sono i casi delle famiglie che portano il bambino alle visite in carcere, ma che raccontano una realtà parallela, come ad esempio che il luogo dove vanno a trovare papà ( o la mamma ) è una caserma, un centro segreto controllato dalla polizia, un luogo misterioso dove il genitore deve lavorare per un periodo.

In che modo il progetto la barchetta rossa e la zebra sostiene questi bambini?
VN:Il progetto sostiene sia i bambini che i genitori. Per i bambini, e in particolare i più piccoli, tra gli 0 e i 6 anni, il progetto La barchetta rossa e la zebra, ha innanzitutto ristrutturato lo spazio accoglienza delle famiglie della Casa circondariale di Marassi, e presto ristrutturerà anche quella di Pontedecimo. Sono spazi all’interno dei quali i bambini e le famiglie passano almeno un’ora a settimana, in attesa di entrare in carcere per la visita al familiare, ma spesso anche due o tre. Il progetto Barchetta ha permesso di ripensare questo luogo come accogliente nei confronti dei bambini, non soltanto dotandolo di giochi, tavolini, fasciatoio, libri e cuscini morbidi, ma anche garantendo la presenza di educatori sempre presenti negli orari di visita. Gli educatori che lavorano con i bambini, si mettono a loro disposizione, facilitando il loro accesso ai giochi e diventando un punto di riferimento adulto presente esclusivamente per relazionarsi con loro. Questa presenza ribalta la consuetudine dei bambini in carcere, abituati a stare ai margini dei bisogni dei genitori, che hanno una sola ora di colloquio a disposizione per parlarsi e gestire tutte le difficoltà economiche, burocratiche, familiari e legate al processo o alle misure alternative alla pena.

LB: Il lavoro sui genitori mira proprio a rafforzare le competenze genitoriali "recluse" e a far chiarezza sulle zone d'ombra: "cosa penserà mio figlio di me? Sarò ancora autorevole? fin dove e cosa, posso raccontare a mio figlio?" Queste domande che ogni genitori si pone, se affrontate nella solitudine, generano una situazione di ansia che a sua volta è portata in sede di colloquio con i figli, innescando un ingorgo nella comunicazione che in molti casi viene poi interrotta dall'una o dall'altra parte. Il grande merito del progetto Barchetta nei confronti dei bambini, io credo, è quello di rimettere al centro il tema della cura, dell’attenzione e dell’ascolto dei bambini figli di detenuti e di valorizzare il ruolo del genitore sebbene deviante. È un progetto di accoglienza in un luogo le cui inevitabili regole risultano respingenti e spaventose, per i più piccoli: nello spazio, invece, i bambini trovano non solo dei giochi, ma soprattutto la possibilità di costruire una relazione con un adulto a prescindere dalla propria condizione di figli di detenuti. Parimenti l'adulto trova uno spazio di ascolto e di confronto che non può che essere di giovamento per il benessere del bambino.

Quali sono le attività che fate con loro? Come le avete strutturate e perché avete pensato a questo tipo di intervento
VN:
Inizialmente avevamo immaginato lo spazio come un luogo dove poter organizzare laboratori e giochi strutturati. La quotidianità ci ha invece insegnato che i bambini sono spesso perfettamente capaci di autorganizzarsi, di scegliere tra i giochi e i materiali a disposizione quelli con cui vogliono relazionarsi, permettendo agli adulti di mettersi più in una posizione di facilitatori che di animatori sociali. Attraverso il gioco e i disegni, spesso i bambini scelgono di raccontare qualcosa agli educatori – le loro paure, i loro dubbi, le loro fatiche – e la nostra presenza permette di non lasciar cadere questi bisogni, ma di intercettarli, raccoglierli e prendercene cura, nei limiti di un tempo inevitabilmente limitato dall’organizzazione interna. Le mamme che accompagnano i bambini settimanalmente nello spazio sono unanimi nel rappresentarci l’aumento del benessere dei bambini, da quando esiste lo spazio, e la diminuzione delle loro ansie all’idea di portare i figli nella casa circondariale.
A partire da aprile di quest’anno, inoltre, abbiamo provato a far fare un passo ulteriore al progetto: grazie alla grande disponibilità della Direzione e degli Agenti, abbiamo iniziato ad organizzare un appuntamento al mese per le famiglie. Per due ore, i papà detenuti, le mamme e i figli si incontrano all’interno del campetto di Marassi, dove trovano gli educatori dello spazio accoglienza che propongono loro una semplice attività laboratoriale, sportiva o di ascolto.
Sono momenti davvero magici, perché sono gli unici nei quali il nucleo familiare si riunisce intorno al bambino, che riconquista una centralità, e si mette in gioco giocando, dipingendo, ascoltando una storia. Per molte di queste famiglie, l’idea di dedicare due ore a giocare tutti insieme con il figlio, non esisteva neppure al di fuori delle mura del carcere.

Quali sono invece le attività previste per gli adulti? Come vive il genitore in carcere il fatto che non può partecipare attivamente al percorso di crescita del proprio figlio?
LB: Parallelamente vi sono operatori specializzati che seguono i genitori detenuti, in esecuzione penale esterna o liberi, aiutandoli a rimettere in discussione la propria dimensione genitoriale. Il progetto prevede incontri individuali, di gruppo e formazione.La dimensione della genitorialità in carcere è comunque difficoltosa. Quello che ogni genitore libero può fare(e spesso dà per scontato) per il genitore detenuto è interdetto: sa che un figlio, per esempio, è malato, non può però sapere se è guarito o è peggiorato se non con la telefonata programmata o il colloquio, quindi possono passare giorni. Se, alla base, la capacità genitorialedel genitore recluso (al di là del comportamento deviante) è buona o anche molto buona, il carcere devasta la relazione innescando sentimenti di abbandono nel bambino e autocolpevolizzazione nell'adulto che spesso non vengono affrontati nè tantomeno risolti. Nel caso di genitori fragili e poco "attrezzati" a crescere il proprio figlio, talvolta la carcerazione è l'evento che interrompe il rapporto. Nel mezzo vi è un'ampia casistica, ma tutte le situazioni hanno in comune che la vittima è sempre il bambino. Il lavoro sull'adulto non è quindi finalizzato ad un generico benessere del genitore, ma fortemente incentrato a restituire al minore un genitore il più possibile capace di interloquire con lui. Al genitore, con la formazione viene anche fornito un quadro teorico semplificato attraverso la formazione.

Quanti sono i beneficiari del progetto?
VN,LB:I bambini coinvolti in questo primo anno di progetto sono un centinaio. Il turn over è abbastanza alto, e a breve partiremo con le attività anche nel Carcere di Pontedecimo. Pensiamo di coinvolgere quindi più di duecento minori da qui alla primavera del 2020. Gli adulti, ad oggi sono circa 60.

Vanessa Niri
Coordinatrice pedagogica, esperta in pedagogia della memoria e progettazione socio educativa per i contesti di periferia urbana.
Dal 2013 coordina l’equipe infanzia e adolescenza di Arci Genova, e dal 2018 il Gruppo nazionale infanzia, adolescenza e politiche educative di Arci Nazionale.
All’interno del progetto “La barchetta rossa e la zebra” coordina gli spazi accoglienza e le attività per minori e famiglie.

Livia Botto
Dal 2000 lavora nelle carceri e in collaborazione con l'Ufficio Esecuzione Penale Esterne e l'Ufficio Servizio Sociale Minorenni del ministero di Giustizia, attivando reti di collaborazioni tra vari enti finalizzati all'implemento di attività di reinserimento sociale e crescita personale di autori di reato maggiorenni minorenni e delle loro famiglie con l'obiettivo del contrasto alla recidiva e della ricostruzione di obiettivi di vita incentrati sulla legalità. All'interno del progetto si occupa di coordinare il lavoro degli operatori che seguono gli adulti e collabora ai percorsi di formazione.


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